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Francesco Tedeschi

Francesco Tedeschi

The Sandman Vol. 4 – Distruzione

È sempre mancato qualcuno, all’appello. Gli Eterni sono sette, il numero magico per eccellenza, ma da quando abbiamo iniziato a seguire le avventure di Morfeo e dei suoi fratelli, non abbiamo mai fatto la conoscenza di Distruzione. Questo perché il colosso barbuto, bevitore e dalle sembianza di vichingo, se n’è andato da tempo. Tra le pagine dello splendido volume Notti Eterne, nella storia dedicata a Destino, vediamo sette statue (che alcuni giurano d’aver visto muoversi), e una di queste dà le spalle ai visitatori, mettendo in mostra il proverbiale fagotto portato in punta al bastone. Poco più avanti, in una grande stanza dello stesso castello, il vecchio cieco col libro incatenato alle mani passa dinanzi a sette cornici. Cinque portano i ritratti di Sogno, Morte, Delirio, Disperazione e Desiderio, una racchiude uno specchio (il castello è la dimora di Destino), mentre l’ultima è coperta da un lenzuolo. La domanda, pertanto è sempre la stessa: dov’è andato Distruzione? Perché ha abbandonato la sua natura? Questo è proprio ciò che si chiede Delirio, la più giovane e controversa degli Eterni che un tempo era Delizia (ma a cosa porta il piacere senza la sua controparte?). Ella un giorno, nel suo regno, sente il bisogno di conoscere le sorti del suo fratello scomparso, quello che amava di più.

Ma andiamo con ordine, analizzando il quarto volume della serie omnibus del capolavoro assoluto di Neil Gaiman che RW / Lion propone dal principio.
Distruzione si apre con Paura di cadere, una storia breve ma intensissima: Todd, un regista teatrale in crisi, ha deciso di abbandonare la sua professione. Una scelta sofferta e dolorosa, che tradisce un disagio quotidiano che tutti ci siamo visti costretti ad affrontare, almeno una volta. Ma la genialità di Gaiman sta anche nel riuscire a trattare con lo stesso coinvolgimento temi profondamente diversi tra loro, sia per presunta importanza del fatto in sé che per ambientazioni, generi e situazioni. Così Todd non affronta una crisi professionale, ma una vera e propria apocalisse personale, che affonda le radici in un inconscio antico e profondo. E in quale regione, se non nel sogno, l’inconscio fluisce senza argini, barriere e limitazioni? Sarà proprio in un sogno, anzi, in un incubo popolato da streghe, che il regista incontrerà qualcuno che lo costringerà, col suo carattere ruvido e senza mezzi termini, ad affrontare la sua paura più grande… Quella di cadere, appunto. Ma, per fortuna, “a volte ci si sveglia, e a volte, sì, si muore. Ma c’è anche una terza alternativa.” Ai disegni un etereo Kent Williams, il cui tratto, sintetico e sporco al tempo stesso, acuisce la sensazione di muoversi in una terra molto lontana dalla realtà.

Seguono due story-arc fondamentali per l’intera saga: Il canto di Orfeo e Vite brevi. Il primo ripercorre la storia di Orfeo ed Euridice, uno dei più struggenti miti della Grecia antica: qui Gaiman dà ancora una volta prova della sua incredibile abilità nel destrutturare, reinterpretare e ricostruire il mito senza assolutamente stravolgerlo. Tutti conoscono la tragica storia: durante le nozze, Euridice viene morsa da un serpente letale. Non riuscendo a rassegnarsi alla morte dell'amata, Orfeo scende negli inferi e implora Ade e Persefone di restituirgli colei che ama. Commossi dalla musica celestiale del ragazzo, le divinità dell'oltretomba acconsentono a lasciar tornare Euridice tra i vivi, ma a patto che Orfeo non si volga mai a guardare la sposa durante l'uscita dal regno dei morti. Orfeo fallisce, perdendo così per sempre Euridice e andando incontro a un ancor più tragico epilogo. Nella versione di The Sandman, Orfeo, che qui Gaiman ha voluto figlio di Morfeo (anziché del sovrano trace Eagro, come invece narra la mitologia classica), e della musa Calliope (personaggio già incontrato nella breve storia omonima, in cui il Plasmatore interviene per liberare la sua vecchia fiamma da uno scrittore che l'ha imprigionata e che la sevizia), prima di recarsi nell'oltretomba chiede aiuto al padre, un Sandman assai diverso da come appare nella narrazione contemporanea e che ancora non ha attraversato una serie di eventi che lo porteranno in seguito ad ammorbidirsi. Sogno rifiuta l'aiuto al figlio: Euridice è morta, e morta deve rimanere. Orfeo avrà più fortuna con sua zia, Death (qui Teleute), come sempre dolce e comprensiva verso l'umanità che paradossalmente tanto ama. Gli eventi che seguono coincidono col mito, ma Orfeo sopravvive, o almeno una parte di lui, che tutto vorrebbe tranne l'immortalità. Ma Sogno, offeso dalle parole che il figlio gli ha ringhiato contro nel momento del suo rifiuto, non lo aiuta a porre fine alle sue sofferenze... Ed è proprio questo intensissimo e brutale momento che dà il via a una concatenazione di eventi che, in un crescendo sconvolgente, porteranno all'epica conclusione della saga di The Sandman.
Il canto di Orfeo è un gioiello, un piccolo capolavoro di sceneggiatura in cui il mito rivive, ma in una chiave se possibile ancora più avvincente e romantica, forte di una reinterpretazione rispettosa ma innovativa, perfettamente in linea con l'intero capolavoro di Neil Gaiman. I disegni, opera del mostro sacro Bryan Talbot, traducono perfettamente in immagini dettagliate le variegate atmosfere della storia: le ambientazioni bucoliche e infernali ritratte coinvolgono gli occhi del lettore e rendono i personaggi ancora più profondi e intensi.

Vite brevi, il lungo story-arc che segue, è forse uno dei migliori dell'intera serie e, sicuramente, quello che più di ogni altro delinea le entità concettuali per eccellenza, gli Eterni, in una chiave umana, con tanto di sentimenti, pulsioni, gioie e dolori.
Come già detto, la piccola Delirio, sentendo la mancanza del fratello scomparso, Distruzione, chiede ai suoi famigliari di accompagnarla nella ricerca. Nessuno vuole aiutarla, eccetto Sogno, che ha appena subito una bruciante delusione d'amore, e che quindi vede nel viaggio in compagnia di Delirio un'occasione per sfuggire al dolore. La ricerca nel mondo degli umani e l'improbabile accoppiata Sogno/Delirio forniscono a Gaiman l'occasione di mettere in scena numerosi conflitti sia tra gli Eterni e la realtà ordinaria (memorabile il comico viaggio in macchina con Delirio alla guida), sia tra i due fratelli, lontanissimi per carattere, aspetto e universo di provenienza, ma in un qualche modo complementari: non a caso, quando, durante la ricerca, Sogno ha un tracollo psicologico, sarà Delirio a trovarsi costretta a sostenere la prova più difficile, ovvero fare appello a quel poco di razionalità che le rimane e negare temporaneamente non solo il proprio carattere (ben marcato, come quello di tutti i suoi fratelli), ma il suo stesso regno, e, di conseguenza, l'elemento di cui è intessuta la sua natura più profonda, il delirio, appunto. La ricerca assume ben presto le caratteristiche di un viaggio iniziatico corale, vissuto col medesimo coinvolgimento da parte di tutti i personaggi anche se su binari paralleli. Vite brevi comprende anche più sub-plot legati a figure umane, le cui storie, come di consueto, si intrecciano con quelle degli Eterni, influenzandole e rimanendone influenzate.
Nelle ultime battute di questo lungo arco narrativo incontreremo, tra le altre, due vecchie conoscenze del Plasmatore: la dea-gatta egizia Bastet, da sempre innamorata di Sogno, e Orfeo, ormai divenuto un oracolo, che acconsentirà ad aiutare il padre (qui modellato dagli eventi e molto meno intransigente), ma a un prezzo. E la saga Le Eumenidi è sempre più vicina.
Le ammirevoli tavole di Jill Thompson riescono alla perfezione nell'arduo compito di valorizzare il binomio che si instaura tra la realtà e ciò che accade "dietro le quinte" in cui si muovono i due Eterni, un perfetto connubio di follia (anzi, di delirio) e ordine naturale delle cose.

Chiudono il volume I fiori dell’amore e L’incontro con se stessi, apparse originariamente sui numeri 1 e 3 di Vertigo winter’s edge e disegnate rispettivamente da John Bolton e Michael Zulli, due storie brevi in cui l'Uomo della Sabbia non appare, ma che contribuiscono ad arricchire il vastissimo affresco narrativo di The Sandman.

Infine, vale la pena spendere alcune parole sull'edizione proposta da RW / Lion. Il quarto volume omnibus, che, come gli altri, differisce dalla versione absolute originale americana (che conta cinque volumi, quattro che ripropongono la serie regolare più un ultimo dedicato agli speciali, contro i sette previsti in Italia), riconferma lo standard qualitativo che accompagna gli omnibus fin dal primo volume, Sogno, uscito per Planeta DeAgostini: la copertina nera con le scritte dorate, la fettuccia-segnalibro, l'alta qualità della carta e la colorazione restaurata sono la cornice perfetta per la versione definitiva del capolavoro assoluto di Neil Gaiman. Uniche pecche, il prezzo (non certo eccessivo, ma non si capisce perché i volumi costino ben cinque euro in più in seguito al passaggio da Planeta a RW), e la minore quantità di contenuti extra di "Distruzione" rispetto ai precedenti tomi, che comprendono due saggi (comunque molto interessanti), una breve postfazione di Gaiman e una gallery d'immagini.

In definitiva, questi cicli narrativi di The Sandman (come d’altronde tutti gli altri), consacrano ancora una volta la saga del Signore dei Sogni, assegnandole un posto d'onore nel pantheon dei fumetti più significativi dell’intera storia della Nona Arte.

Moby Dick

Uno degli incipit più famosi di tutta la storia della letteratura racchiude in sè la chiave di lettura e d’interpretazione dell’intero romanzo di Herman Melville, "Moby Dick". Non “sono Ismaele”, nè “il mio nome è Ismaele”, ma “chiamatemi Ismaele”.
Il mozzo protagonista non è umano, ma un’entità che sale a bordo della Pequod per testimoniare ciò che sta per succedere, ciò che è ineluttabile: l’eterna lotta tra due forze uguali e contrarie, uno scontro che proseguirà fintanto che una delle due parti cadrà e che affonda le radici in un archetipo ormai così tanto radicato nell’inconscio collettivo da risultare meravigliosamente scontato. “Ismaele” è un nome biblico, e significa “Dio ascolta”. Non è un caso che sia proprio lui l’unico a salvarsi in seguito alla distruzione della baleniera di Achab: Ismaele sopravvive in quanto testimone, in quanto voce di ciò che è accaduto (il termine “angelo” significa “annunciatore”), mentre tutti gli altri che hanno seguito il baleniere dalla gamba d’avorio vengono puniti per la loro tracotanza, per avere osato sfidare il leviatano.

Riadattare in una versione a fumetti un mastodonte della letteratura come "Moby Dick" è tutt’altro che semplice: il rischio di realizzare un’opera riduttiva e non sintetica è infatti sempre in agguato, così come lo è anche quello di non sfiorare neanche lontanamente l’intensità di cui è pervasa l’odissea di Melville. Eppure Bill Sienkievicz, coadiuvato da Dan Chichester nella selezione e nell’adattamento della componente testuale, ci riesce, e ci riesce alla perfezione. A stupire, infatti, non è solo l’altissima qualità delle splendide tavole che scandiscono la discesa agli inferi della Pequod e del suo equipaggio, di cui parleremo in seguito, ma anche il grande lavoro di sintesi del testo originale che non tralascia nessun punto saliente, garantendo al lettore un’opera compiuta e completa, che riesce tra l’altro a carpire appieno lo spirito del romanzo: l’ossessione di Achab, il terrore che Moby Dick (non un capodoglio, ma un vero e proprio demone marino) suscita nei balenieri, l’onestà e il coinvolgimento emotivo di Quiqueg, Tashtego e di tutti gli altri… Tutto rivive nelle tavole vibranti di Sienkiewicz, che sembrano trascinare il lettore verso il tragico finale, che di certo già conosce, ma che non esita a divorare con la fame di chi si trova faccia a faccia con la trama di "Moby Dick" per la prima volta.

I disegni di Sienkiewicz sono espressionismo pittorico allo stato più puro, romantici come la storia originale, violenti come la furia della Balena Bianca. Qui l’autore americano dà prova non solo di essere un grandissimo illustratore, ma anche un incredibile designer: per impostazione, dinamicità e ritmo, oltre che, ovviamente, per livello qualitativo, le tavole del suo Moby Dick non avrebbero potuto esprimere meglio la carica struggente e crepuscolare del capolavoro di Melville, facendo trasparire la potentissima vena tragica che la vicenda di Achab trasuda.

L’edizione proposta da Nicola Pesce Editore rende giustizia all’opera di Sienkiewicz, forte di un grande formato e di una carta d’altissima qualità.
Splendido, non c’è altro da dire.

Moonshadow

A volte ci si imbatte in opere che sfuggono a ogni tipo di classificazione ed etichetta. Moonshadow, che la RW / Lion distribuisce in edizione integrale, è senza dubbio una di queste. Nel masterpiece di J. M. DeMatteis, Autore arcinoto tra i suoi altri pregi per l’estrema versatilità, confluiscono generi incredibilmente diversi tra loro che, uniti, danno vita a un’epopea perfettamente amalgamata e organizzata su una struttura variegata ma incredibilmente coerente.

Quando si inizia a leggere Moonshadow è impossibile non credere di essersi imbattuti in un’opera sci-fi, dal momento che il protagonista, Moonshadow appunto, nasce in un universo in cui non mancano alieni di ogni forma, razza e astrazione. Poi la storia muta, si evolve senza nemmeno uno scossone, e il lettore scivola in una realtà completamente diversa, molto più simile a quella che siamo abituati a vivere tutti i giorni: la nostra, ma durante gli anni Sessanta, tra hippie, abuso di droghe e rivolte studentesche. Nemmeno questo sarà, però, il mondo in cui si svolgerà il resto della vita di Moonshadow che egli stesso, ormai anziano, racconta. Perché una fortissima dimensione favolistica e altamente contaminata da religioni, leggende e culture lontane contagia la storia, dando vita a un’ambientazione in grado di competere con quella creata da Neil Gaiman nel suo The Sandman per coltezza e profondità: risulta ovvio che ciò che DeMatteis sta raccontando è un viaggio iniziatico, una sorta di romanzo di formazione a 360 gradi, in grado di descrivere lo sviluppo di un essere vivente in un modo così intenso e dettagliato da ricordare, facendo un paragone azzardato ma calzante, quello di Shinji Ikari, il protagonista dell’anime "Neon Genesis Evangelion" di Hideaki Anno.

In Moonshadow, echi della narrativa de "Il barone di Munchausen" di Rudolf Erich Raspe (e del film che Terry Gilliam ne ha tratto) convivono con le immagini tanto care al Federico Fellini più onirico e simbolico; alieni al tempo stesso terrificanti e ironici si muovono nella stessa struttura narrativa dei figli dei fiori; il tema dello sviluppo sessuale e il conseguente raggiungimento della maturità non stona accanto alla fantascienza più radicale e “purista”.

Jon J. Muth firma gran parte della componente artistica di Moonshadow (il resto è affidato a Kent Williams, già visto al lavoro con DeMatteis in Blood – Una storia e a George Pratt), che, forte del suo sconvolgente stile pittorico e suggestivo, riesce a completare il capolavoro di sceneggiatura dello scrittore americano, facendo di Moonshadow un’opera che non può mancare non solo nella libreria dell’appassionato di fumetti di razza, ma, più in generale, in quella di chi ama la letteratura d’alto livello.

L’edizione proposta da RW / Lion comprende anche un sequel di Moonshadow, un racconto in prosa che completa il profondo e variegato affresco narrativo di DeMatteis.

Blood:una storia

"A volte ritornano", questo il titolo di una splendida raccolta di racconti di Stephen King. Perché peculiarità dei mostri è tornare. Sempre. Come nella fiction Jason, Freddy e compagnia bella semplicemente non possono morire; nella realtà le mode lanciate da un'opera di successo condizionano l'argomento delle produzioni nei mesi - a volte anni - a venire, spesso rispolverando qualcosa di antico come il mondo. Risultato: scaffali di librerie, sale cinematografiche e vetrine di fumetterie invasi da pallidi cloni di una sola storia (non sempre degna di essere imitata). Così i vampiri, in quanto mostri, non potevano non tornare, ma lo fanno in una forma - ahinoi - molto lontana dal buon vecchio Vlad III di Valacchia. Ed è qui che entra in gioco il merito di opere come Blood:una storia. In un'era in cui i leggendari succhiasangue sono descritti come esseri dal cuore d'oro, belli e dannati nelle loro sfumature emo, perfettamente in grado di stare al sole, non bere sangue umano e procreare, J. M. De Matteis scrive una storia scevra sia dall'ormai desueto cliché del vampiro classico (qui nessuno si trasforma in fumo, lupo o pipistrello), sia dalle bordate di romanticismo pruriginoso a cui opere come "Twilight" e "True Blood" ci hanno abituati. Ed è una gran cosa, perché riuscire a dire qualcosa di nuovo su una figura proveniente da un passato remoto di cui si è abusato così tanto nel presente non è semplice.

In un'evocativa tormenta di neve, il nostro protagonista (non) vede la luce. La sua genesi avviene nel sangue, come una sorta di cupa predestinazione. La donna che riveste il ruolo di madre è avvisata: perderà il figlio, e, in un soffio, quanto vaticinato diviene realtà. Il suo nome è Blood, "sangue" appunto, ed è un vampiro. Inizia così la sua storia, in cui non manca nulla di quel viaggio dell'eroe di cui parla Vogler nel suo omonimo saggio: abbandonato il mondo ordinario, Blood varca la soglia di una realtà sfaccettatissima e variegata, che a tratti coincide col mondo reale, ma più spesso si presenta come folle e allucinata. Un vero e proprio viaggio iniziatico in cui è preponderante il tema del sangue, che a tratti ricorda l'ingiustamente poco conosciuto "Begotten" di Elias Mehrige. In Blood:una storia i personaggi, primo fra tutti il protagonista, sono contemporaneamente loro stessi e metafore viventi, così come le ambientazioni e gli elementi che scandiscono il plot riconducono il lettore a esperienze vissute in prima persona, ovviamente trasfigurate. Non manca l'horror, anche se in una chiave assai differente da quello classico, come d'altronde ci si aspetta da un'opera che di classico non ha nulla. Fortissima la componente onirica, che a tratti richiama il Neil Gaiman più oscuro, vissuta dai personaggi come naturale ordine delle cose: Blood guarda e apprende il mondo trascendente in cui si muove con gli occhi di un bambino, e quindi, per lui, tutto corrisponde a una logica equilibrata da apprendere e metabolizzare.

Una storia, quindi, originalissima e che si avvale di numerosi punti di forza, non ultimi gli incredibili disegni di Kent Williams, autore cui è stato affidato l'arduo compito di tradurre in immagini la complessa sceneggiatura di De Matteis e che raggiunge al 100% l'obiettivo di creare atmosfere evocative e profonde, perfette per l'oscura e onirica storia del vampiro che vampiro non è.
Qual è quindi il punto debole di questo volume? I passaggi in cui De Matteis si spinge troppo oltre, in cui gioca a fare Lynch quando non ce n'è assolutamente il bisogno. Il plot tende infatti in più di un'occasione ad attorcigliarsi su se stesso in evoluzioni volutamente contorte, una sorta di manierismo compiaciuto che implica il brusco risveglio del lettore che si era immerso in quel delirio di sangue allucinato che è Blood:una storia.
E dopo, reimmergersi in quelle atmosfere non è sempre facile.

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