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Gabrio Ciliani

Gabrio Ciliani

Cronache di Yamato

I piccoli regni che compongono il Giappone del terzo secolo dopo Cristo, ai tempi chiamato Yamato o Terra di Wa, si danno battaglia per la supremazia; in questo scenario, Shion un quindicenne appartenente alla coalizione degli occultisti Onmyo, porta vanti un'azione di destabilizzazione con l'intento di mettere fine all'epoca di guerre. L'obiettivo principale di Shion è Iyo, la regina del regno di Yamatai, a suo parere responsabile dello sterminio della sua famiglia e del suo paese; tuttavia, dopo un rocambolesco incontro con la regina, Shion inizia a vedere la situazione in modo diverso.

Prima volta in Italia per questa serie autoconclusiva di Kentaro Yabuki, diciottenne ai tempi dell'inizio della serializzazione dell'opera su "Shonen Jump", nel 1998. Cronache di Yamato è uno shonen fantasy piuttosto canonico (le premesse storiche sono quasi del tutto irrilevanti), con giovani e valorosi duellanti che si prendono a legnate utilizzando tecniche coreografiche e dal nome altisonante. Fin dalle prime pagine è percepibile l'estrema semplicità di questo manga che, pur essendo a tratti spiazzante, permette una lettura scorrevole e di intrattenimento; partendo dalla caratterizzazione dei personaggi, Yabuki offre un cast di eroi e nemici dai tratti assai stilizzati, come il protagonista Shion, silenzioso ed insicuro sicario dal passato difficile, affiancato dalla graziosa e solare Iyo. Per quanto riguarda i (relativamente) numerosi comprimari e nemici, vengono adottate caratterizzazioni ancor più scontate per quanto gradevoli e, probabilmente a causa del poco spazio a disposizione dell'autore, piuttosto affrettate. Manca lo spazio per conoscere i personaggi ed è un peccato, perché, nonostante la notevole stereotipicità, c'è terreno fertile per qualcosa di più. La narrazione è scorrevole e si regge su un'impostazione delle pagine adeguata anche se risulta, specialmente nelle primissime pagine, un po' sbrigativa (ed esempio, vediamo introdurre un nemico che farà un'importante rivelazione con una manciata di piccole vignette, per poi sparire altrettanto velocemente). Si arriva alla fine del volume senza fatica, incalzati da un buon ritmo, rallentato giusto da un paio di scelte infelici, alternando duelli a fasi più avventurose o comiche. Cronache di Yamato è una di quelle storielle, senza infamia e senza lode, che fa fatica a sbagliare grazie ad un autore che non rischia di allontanarsi dalla via già tracciata, ma che contemporaneamente evita le trappole peggiori di cui è disseminata.

Il comparto grafico, per quanto non eccessivamente personale, risulta gradevole, grazie al tratto pulito e netto di Yabuki che dà ulteriore leggerezza alle tavole riducendo al minimo l'uso dei retini. Le vignette, dagli sfondi curati ma essenziali, lasciano respirare il lettore, permettendogli di focalizzarsi sui personaggi e sugli eventi, tuttavia risultando più di una volta eccessivamente scarni. Ottimo il dinamismo delle scene, dove i personaggi disegnati con perizia (spesso più interessanti dal punto di vista esteriore che interiore), si danno battaglia.

Il volume Ronin Manga è composto da pagine che mostrano una discreta, fastidiosa trasparenza, pur essendo flessibile ed ingentilito da un'apprezzabile sovracoperta. Innegabile la presenza di refusi e di traduzioni errate.

Cronache di Yamato è una lettura gradevoli, ma che dimenticherete un secondo dopo aver chiuso il volume. Consigliato sia ai fan dell'autore sia a chiunque cerchi una lettura disimpegnata per alleggerire un brutto pomeriggio.

Batman: Arkham City: recensione

  • Pubblicato in Nerd

Sviluppatore: Rocksteady Studios Editore: Warner Bros Games Genere: Action/Stealth Versione: Xbox360

Batman-Arkham-City_Xbox360Una porzione di Gotham City è stata trasformata dal Dr. Hugo Strange in un campo di internamento per i peggiori criminali della città, prendendo il nome di Arkham City (e sostituendo così il vecchio manicomio, ormai chiuso). La bassa sicurezza della struttura e la dubbia legalità del tutto, spingono Bruce Wayne a portare avanti una campagna per la chiusura del carcere. Durante una manifestazione pacifica all'esterno della prigione, irrompono le guardie di Strange e Bruce viene internato come un criminale assieme ad altri prigionieri politici. Durante il suo soggiorno, Bruce scopre che Strange conosce la sua identità segreta ed, una volta indossato il costume da pipistrello, è pronto a mettere fine alle macchinazioni del dottore.

Così, in un attimo, ci troviamo a planare da un edificio all'altro verso il nostro obiettivo, in un paesaggio decadente e marcio fino alle fondamenta. Arkham City, la vasta lobby che ospita i diversi “punti di interesse” stanziati, è un posto tremendo, ricchissimo di particolari, sorprese e stranezze, che amplia l'idea che stava alla base dell'isola del manicomio di Arkham; in un certo senso è anche simbolo di quello che è AC rispetto al suo predecessore: stesso scheletro, ma con tantissimi più muscoli addosso. Per chi fosse nuovo alla serie, AC è un action che offre forti elementi esplorativi e stealth, utili ad offrire un autentico “Bat-simulatore”. Fin dalla prima scazzottata, vi renderete conto che malmenare il pad non sarà sufficiente, vedendovi costretti a concatenare una serie di contromosse e mosse in situazioni di terrificante svantaggio numerico, dove il singolo colpo subito peserà sull'esito dello scontro (specialmente ai livelli di difficoltà più elevati); non avete certo superpoteri, in fondo. Il Free Flow (questo il nome di tale sistema di combattimento), leggermente ottimizzato per l'occasione, funziona alla grande come in passato e Rocksteady riesce a dare ancora maggiore varietà ai combattimenti rendendo giocabili nuovi personaggi, come Catwoman nella story mode e Robin e Nightwing (sbloccabili tramite DLC), tutti ottimamente differenziati e bilanciati. Ritornano anche le fasi stealth, che grazie ai nuovi gadget offrono tante nuove opportunità di neutralizzare i nemici nell'ombra, spargendo il terrore come solo il Cavaliere Oscuro può fare; piombando da un punto di vantaggio sulla capoccia di un ignaro nemico, sorprendendolo alle spalle, congelandolo per poi annientarlo con tanti saluti da Freeze... le possibilità sono numerosissime ed offrono al giocatore la possibilità di concludere lo scontro secondo il suo intuito, a patto di avere un'ottima visione d'insieme dello scenario. E fin qui, qualcuno potrebbe gridare al “More of the same” rispetto ad Asylum, ma è proprio ora che Rocksteady lascia tutti a bocca aperta: Arkham City è un titolo di dimensioni titaniche. Il contorno diventa piatto principale ed il team offre una sequela di missioni secondarie ed uno storytelling in grado di tenervi tenervi incollati alla vostra postazione di gioco fino alla fine dell'avventura. Come accennato in apertura, la città dell'orrore nasconde le peggiori nefandezze, spesso causate da villain che credevamo non essere presenti e che dovremo scovare in antri grotteschi seguendo una scia di follia morbosa, imbattendoci nel frattempo negli enigmi del caro Edward Nygma, deciso più che mai a sconfiggere in astuzia il pipistrello. E, dove in passato eravamo trascinati da un obiettivo all'altro da una trama sì matura, ma piuttosto lineare, ora sentiamo la necessità di proseguire per scoprire i segreti della città, legati a doppio filo con la contortissima main quest; la discesa nell'inferno di Arkham City è vertiginosa e porta ad un finale sconvolgente e terribilmente cupo, per quanto  frettoloso in certe sue sfumature. Ogni aspetto del gameplay si sposa in maniera inedita con la trama, seguendo i suoi ritmi ed addirittura, la caratterizzazione dei personaggi; per esempio, le boss fight, ora studiate alla perfezione, a differenza del passato, sono confezionate seguendo la psicologia dei villain e in uno scontro con il geniale Freeze non potrete mai usare la stessa mossa due volte e dovrete studiare i modi più fantasiosi per coglierlo di sorpresa. Addio all'indecente Bane "bestione ritardato" di Arkham Asylum! Anche quando esplorerete liberamente la città, facendo crollare pareti col gel esplosivo o saltando da tetto a tetto con il rampino, sentirete la pressione dell'intreccio su di voi, che vi infonderà un'incredibile sensazione di disagio e di “fretta”. Rocksteady però non si limita allo story mode ed offre una serie di sfide con tanto di leaderboard online, da quelle più incentrate sull'azione a quelle più votate alla furtività; tale modalità non è di certo un modo come un altro di riempire spazio sul disco, infatti offre un livello di sfida ed una varietà sufficienti a tenervi impegnati per parecchio tempo anche dopo il completamento al 100% dell'avventura (che già da sola è una bella impresa). Il tutto è condito da un gradevolissimo ventaglio di extra sbloccabili, come bozzetti preparatori, artwork, bio dei personaggi e costumi alternativi per i personaggi da ammirare in una galleria di modelli 3D. Come se non bastasse, una vola finita la main quest per la prima volta avrete la possibilità di usufruire di un ulteriore livello di difficoltà e di rigiocare il tutto in “partita +”, dove potrete usufruire di tutti i potenziamenti ottenuti, trovandovi a fronteggiare formazioni nemiche ancora più minacciose e senza l'ausilio degli avvisi d'attacco. Insomma, non rimarrete certo con le mani in mano.

Ora, come abbiamo detto, l'atmosfera in questo gioco è di quelle importanti e per sostenerla è necessario un comparto grafico d'effetto. Così, Rocksteady sfrutta di nuovo il buon vecchio Unreal Engine 3, che riesce a reggere gli anni che porta sulle spalle offrendo un frame rate stabile, dei modelli poligonali di tutto rispetto ed una buona qualità delle texture, pur non essendo esente dai classici problemi di pop-up di queste ultime. Ritorna una leggera legnosità delle animazioni, specialmente quelle legate a Batman (anche se effettivamente nessuno si aspetterebbe movimenti da ballerina dal Cavaliere). Dal punto di vista stilistico Rocksteady svolge un lavoro ineccepibile. Il bellissimo lavoro di character design fatto su villain ed eroi, spesso “rivisitati”, è rispettoso dei classici e contemporaneamente pienissimo di trovate stilistiche dalla grande potenza visiva. Arkham City, come già abbiamo fatto notare in precedenza, è una perla di design, con le sue tinte scure e con i suoi edifici decadenti. Comparto sonoro d'eccezione, costituito da brani di grande atmosfera e graziato dal memorabile doppiaggio storico delle serie animate del Pipistrello, con le prove magistrali di Marco Balzarotti e Riccardo Peroni. Da segnalare, purtroppo, la fastidiosa ripetitività delle voci degli scagnozzi.

Prima di concludere, è bene far notare quanta conoscenza del Bat-Mito sia stata infusa in questo titolo, che è una sequela infinita di strizzatine d'occhio e gomitatine ai fan. Qualche libertà presa con la caratterizzazione psicologica dei personaggi può far storcere il naso allo zoccolo duro dei lettori, ma in generale il tutto è fatto con notevole cura e misuratezza; per fare un esempio, il rapporto fra Batman e Strange, basato sulla morbosa invidia del secondo verso il primo, è stato completamente reinventato. La storia si colloca ovviamente in un universo alternativo a quelli canonici, con tutte le libertà che ciò permette...

Batman: Arkham City è una di quelle esperienze che lasciano il segno: non solo è un grandioso gioco, ma è anche un'avventura di Batman che non ha nulla da invidiare alle controparti cinematografiche, fumettistiche o di animazione. Emozionante da giocare dall'inizio alla fine è uno di quei giochi “da manuale”, che mostra come creare un'esperienza interattiva completa sotto ogni aspetto. AC è probabilmente uno dei migliori giochi sul licenza di sempre e di certo uno dei migliori titoli usciti quest'anno. Consigliato a tutti, a prescindere dall'amore per il Pipistrello.

Presentazione e Storytelling: 5/5
Giocabilità: 5/5
Longevità: 4.5/5
Grafica: 4/5
Sonoro: 4.5/5

Voto Finale: 4.5

Beta: intervista a Vanzella e Genovese

Goldrake, Jeeg, Mazinga Z... al solo sentire questi nomi a chi negli anni '70-'80 era un fanciullo, ritornano in mente pomeriggi davanti alla TV per seguire le  avventure di Actarus, di Ryo Kabuto o Koji Kabuto (che poi erano la stessa persona...) e di tutto quell'universo dominato dai robottoni.
Lo sceneggiatore Luca Vanzella e il disegnatore Luca Genovese, dopo aver omaggiato il genere con Aleagio! Overdrive (Self Comics), pubblicano con Bao Publishing una storia che trasporta le atmosfere del genere in un'ipotetica guerra fredda in cui, al timore di un olocausto nucleare, si sostitusce quello dei robottoni: ecco a voi Beta, storia in due volumi che sarà presentata durante la manifestazione di Lucca Comics & Games.
Abbiamo raggiunto i due autori per un intervista in esclusiva e, grazie a Bao Publishing, abbiamo potuto leggere, per voi, il volume in anteprima.

Buona lettura.

Per leggere in anteprima la recensione di Beta vol.1 cliccate qui.


 

Genovese_e_VanzellaPer iniziare, raccontate ai lettori di Comicus qualcosa di voi e di com’è nata la vostra collaborazione.

Luca Genovese: Ci siamo conosciuti tra le file degli autori della casa editrice IndyPress, ma abbiamo cominciato a lavorare assieme quando abbiamo lanciato Self Comics, con la realizzazione di 4D, la prima storia di Aleagio e prima pubblicazione dell'etichetta.

Luca Vanzella: Abbiamo fatto un bel po’ di storie brevi assieme, sia per Self Comics sia per altre pubblicazioni e insieme abbiamo realizzato anche il volume “Luigi Tenco – una voce fuori campo” per Becco giallo.

Quando avete realizzato Aleagio! Overdrive, avevate già in mente Beta, nella forma nel quale lo leggiamo adesso?

LG: No, non in questa forma. All'epoca di A!O l'intento era quasi esclusivamente quello di inserire nell'universo di Aleagio i robottoni, come omaggio e citazione sì, ma come se fossero esistiti veramente quando lui era un bambino. Il pilota di robot Dennis Beta si è delineato subito già allora, il ribelle dotato di grande talento, l'eroe di un'epoca gloriosa ormai dimenticata, il salvatore della terra che ormai nessuno ricordava più.

LV: Il resto è venuto dopo. Uno degli impulsi è stato provare a immaginare perché diavolo qualcuno avrebbe dovuto fare una base per robot giganti al Lido di Venezia.

Da dove nasce la scelta di realizzare un "opera omaggio" ai classici Super Robot di stampo Nagaiano?

LG: Nasce probabilmente dal fatto che ci siamo affezionati subito a Dennis quando l'abbiamo immaginato la prima volta. È entrato a far parte del mondo di Aleagio ed è comparso in altre storie, sempre con un peso importante. Da lì penso la voglia di raccontare anche tutta la sua storia, un libro dedicato a lui e a quegli anni dove i robot difendevano la terra, così da rendere omaggio a quell'immaginario che avevamo vissuto negli anime di quando eravamo ragazzini, ma trattandolo nel modo più “realistico” possibile.

LV: mi sono sempre sorpreso di come nessuno si fosse mai cimentato in questo genere in modo “serio”. I robottoni hanno avuto un impatto incredibile nell’immaginario della nostra generazione (e non solo) ma nessuno ha mai toccato quei temi in modo diverso dalla parodia o dall’omaggio. E lo trovo un gran peccato. I robottoni sono un genere veramente interessante con temi e immagini ancora attuali (o attualizzabili) che è un peccato non sfruttare.

Indubbiamente Beta ha molta personalità, pur essendo una "serie tributo". E' stato difficile creare questo equilibrio?

LV+LG: Non è stato troppo difficile. Anche se la tentazione di cedere alla nostalgia ogni tanto c’è stata siamo riusciti (spero) a trattare i robottoni come un genere qualsiasi. Così come se si fa un noir rivolgendo lo sguardo ai classici non si può evitare di inserire un detective e una femme fatale, così noi non potevamo esimerci da distruggere Tokyo e inserire un robot-donna con le tette razzo. L’importante è stato aver sempre presente che questi cliché erano punti di partenza su cui costruire la storia e non il principale motivo d’interesse. Le citazioni e gli ammiccamenti alle serie classiche sono solo un bonus per chi le sa cogliere e basta.

Che caratteristiche deve avere, a vostro parere, un mecha carismatico per essere tale?

LG: Noi ci siamo rifatti ai robot di Nagai, i primi Mazinga, un po' di Goldrake, Jetter, Jeeg. Visivamente adoro quel mecha design. La loro forza stava nell'assurda credibilità di un robot, Si poteva credere che si muovesse, che ci fossero pistoni e motori sotto quelle corazze cilindriche essenziali, che fosse pesante e imponente. E poi erano semplici senza tutte quelle ali e spigoli e vitini di vespa e muscolatura scolpita nell'acciaio che sono venute dopo.

LV: La semplicità è fondamentale. Certi Mecha Design sembrano solo pensati per farne dei modellini spettacolari e non per essere veri protagonisti di una storia (i vari Gundam sono un esempio lampante di questo). Quello che poi fa la differenza è però tutto il contesto (i personaggi, i costumi, gli ambienti). Ad esempio il design degli EVA in Evangelion non mi ha mai fatto impazzire ma le idee per la base e i personaggi erano talmente fighe da farmi digerire anche quegli assurdi alettoni che hanno sulle spalle.

Cosa pensate della scena mecha contemporanea?

LG: L'ultima cosa contemporanea che ho seguito è stato Evangelion, che mi è piaciuto. In realtà non ho seguito più niente se non delle sporadicamente.

LV: Neppure io seguo assiduamente il genere ma se mi segnalano qualcosa di interessante lo guardo. Pensando a serie degli anni 2000, sicuramente la serie migliore è stata Gurren Lagann. Dopo il lavoro di decostruzione fatto con Evangelion la Gainax ha trovato approccio davvero originale e sorprendente al genere. Ho trovato interessanti Eureka Seven e The Big O.

Una domanda per Genovese. È possibile vedere, sfogliando i tuoi comics, una gran flessibilità nello stile grafico. Come decidi l'approccio stilistico di fronte ai diversi progetti?

LG: Per Beta, come per altri progetti miei e di Luca dove ci siamo presi la massima libertà creativa, non sento di essere andato molto lontano da quello che è il mio solito stile. Per come lo vedo io, è ragionato come lo è stato ad esempio il libro su Luigi Tenco, o le storie di Aleagio, ma naturalmente il risultato è differente, sia nel segno che nella narrazione. Dipende dalle atmosfere che vogliamo far respirare nella storia. Qui si parlava di una storia d'azione con un immaginario che ci era ben chiaro, anche graficamente, dall'uso di linee cinetiche e retini, alla gabbia libera e dinamica, alla caratterizzazione di personaggi e ambienti che si rifacessero a quell'idea. Sicuramente sono lavori diversi da quello che mi è capitato di fare che so in John Doe, o in altre pubblicazioni dove i personaggi li vado ad interpretare, ma non li creo io.

Una domanda per Vanzella. L'intreccio alla base di Beta inizia a farsi piuttosto fitto. Quanta importanza verrà data in futuro agli intrighi e alle vicende famigliari del protagonista?

LV: Fondamentale importanza! Spero di aver trovato un buon bilanciamento tra le parti di azione e quelle di relazione tra i personaggi ma nel secondo volume sarà chiaro che sono i rapporti (famigliari, amorosi, di potere) il vero motore della storia. Per ora ho messo in tavola tutti i pezzi del puzzle e nel secondo volume andranno tutti al loro posto.

Dopo Aleagio e Beta. Avete altri progetti in cantiere, come duo?

LG: Aleagio non si concluderà mai! E per Beta stiamo lavorando al libro conclusivo, il prossimo. Poi penseremo a quello che verrà.

LV: Mi ha divertito molto fare una storia così pop e non mi spiacerebbe continuare su questa strada, magari affrontando qualche altro genere poco sfruttato.  Ma, fino a che non sarà finito il volume due, non è il caso di pensare al futuro.

Per finire diteci: qual è il vostro mecha preferito?

LG: io ho un debole per Mazinga Z e il Jetter1, con le loro forme fagiolone e goffe.

LV: Mazinga Z e Daitarn III sono meravigliosi ma Trider G7 ha un posto speciale nel mio cuore… sarà che il robot partiva da un parco giochi e la loro base era un condominio di periferia: un impossibile miscuglio di avventura e quotidianità.

Beta vol.1 (di 2)

Ci troviamo nel 1979, durante la guerra fredda, dove USA e URSS portano avanti una furiosa corsa agli armamenti; armi nucleari? No, Mecha. Questa la premessa alla base del mondo nel quale sono ambientati gli eventi di Beta, che offre un passato ingenuamente super-tecnologico che potrebbe essere uscito dalle matite di Go Nagai. Appena aperto il volume risulta evidente  l'intenzione di omaggiare la vecchia scuola dei Super Robot, vuoi per lo stile grafico adottato, vuoi per le scelte di sceneggiatura e caratterizzazione dei personaggi. Offrendo fin da subito situazioni famigliari a chiunque conosca il genere e facendo spesso “occhiolino” ai lettori, Luca Vanzella inizia a raccontare la storia del protagonista Dennis Beta, che riprende il classico stereotipo di membro “carismatico/problematico” del team dei difensori della giustizia di turno; figlio di un grande costruttore di mecha, il ragazzo si dimostra fin da giovanissimo un formidabile pilota, diventando così meritevole di essere uno dei cinque membri dell'equipaggio del Gunshin, un gigantesco robot assemblabile. Gli allenamenti del gruppo sono però presto interrotti dall'improvviso attacco di un misterioso nemico, costringendo il Gunshin ad entrare realmente in azione.

Vanzella sforna una sceneggiatura dal buon ritmo fresca e ben bilanciata, dove la voglia di omaggiare i classici e quella di fare qualcosa di diverso vanno a braccetto: l'autore che, come accennato, riprende molti stilemi del genere, è brillante nello sfruttare gli stessi con consapevolezza e moderazione, pronto a lasciare spazio a situazioni originali ed imprevedibili, innescate da colpi di scena che vanno dal “simpatico” al geniale. Così come vecchio e nuovo si incontrano, anche humor e azione trovano il loro punto di equilibrio, dove picchi di drammaticità danno note di amaro al gusto entusiasta tipico del genere Super Robot, in una maniera che può richiamare la seconda parte della serie Tengen Toppa Gurren Lagann. La caratterizzazione dei personaggi è azzeccata e fresca ma, almeno per il momento, di certo non gravida di personaggi memorabili, forse per un freno un po' troppo tirato, in un genere dove l'esagerazione, se usata intelligentemente, è fonte di intrattenimento. L'universo che va delineandosi durante la lettura, risulta decisamente interessante, diventando a tratti più attraente degli stessi combattimenti a base di mecha, comunque ben coreografati.

Ed è proprio parlando di scazzottate e robottoni che non si può non citare l'ottimo lavoro svolto da Luca Genovese, che offre una soluzione grafica ibrida fra manga nagaiano e fumetto occidentale. Genovese si dimostra abile nel caratterizzare mecha e personaggi, mantenendo personalità pur tenendo presente il modello stilistico dei classici del genere. Un tratto deciso ed incisivo va a nozze con le fasi più concitate, dotate di un portentoso dinamismo, purtroppo saltuariamente intaccato da una impostazione confusionaria delle vignette. L'uso massiccio dei retini, pur dando ottima profondità all'immagine, finisce talvolta per appesantire oltremodo le tavole. Lievi difetti, insomma, per un comparto grafico che va mano nella mano con la sceneggiatura, dimostrando un'ottima intesa fra i due autori.

Lo “spaghetti mecha” di Vanzella e Genovese convince e diverte, riuscendo nel non facile intento di rendere omaggio ai classici senza dimenticare la propria individualità. Gradevole fino alla fine, è un ottimo acquisto per i fan del genere, rimanendo un buon fumetto per tutti gli altri.

Consigliamo la lettura del buon web comic Aleagio! Overdrive (Self Comics) che, pur offrendo uno stile differente, funge da “pilot” della serie.

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