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Carlo Alberto Montori

Carlo Alberto Montori

Animation History #2: Pinocchio

Guardando Pinocchio, il secondo lungometraggio Disney, è interessante constatare il drastico cambio di direzione adottato dopo lo straordinario successo ottenuto con Biancaneve e i sette nani.

Innanzitutto, dopo una fiaba universalmente nota, Walt Disney decise di realizzare un film tratto da un romanzo italiano poco conosciuto oltreoceano; non si sa se per via della limitata fama della storia originale o per la sicurezza acquisita dopo i risultati di Biancaneve e i sette nani, l'aderenza al testo originale è decisamente inferiore, con un'impronta autoriale che si prende molte più libertà modificando alcuni elementi ed escludendo alcune sequenze per adattare con efficacia la storia in un film da un'ora e mezza. Del resto la natura episodica del testo originale consente di estrapolare alcune sequenze e gli sceneggiatori si concentrarono su un paio di esperienze da far vivere a Pinocchio (il teatro di Mangiafuoco, il Paese dei Balocchi, la Balena) tra la sua nascita e la trasformazione finale in bambino vero.
Lo stesso protagonista ha una caratterizzazione diversa rispetto al libro: inizialmente era un monello impenitente con un aspetto più vicino a quello di un vero burattino, ma Disney a metà della produzione fermò i lavori per rendere il protagonista più accattivante, all'apparenza un bambino normale con solo gli arti di legno e un carattere positivo mosso principalmente dall'ingenuità, che non lascia trasparire alcuna traccia di malizia. Pinocchio è accompagnato lungo tutta la sua avventura da Grillo Parlante, che riveste un ruolo più rilevante e continuativo rispetto alla controparte romanzesca che viene schiacciata da un martello: si tratta del primo di tanti animaletti che faranno da spalla al protagonista nei film Disney, qui impegnato anche nel ruolo di narratore che si rivolge direttamente al pubblico infrangendo la quarta parete. Il Grillo Parlante ha anche un'altra particolarità, assieme ad altri personaggi come il Gatto e la Volpe o la Balena: nella versione originale questi personaggi sono stati dotati di nomi veri e propri (rispettivamente Jiminy Cricket, Honest John, Gideon, Monstro) mentre per l'adattamento italiano del film si è preferito recuperare lo stesso appellativo utilizzato nel libro di Collodi, da noi ben più noto.

Iniziarono quindi qui a delinearsi alcune delle principali caratteristiche della filmografia Disney, assenti in Biancaneve e i sette nani; la principale differenza rispetto al film precedente risiede però nello stile grafico adottato per rappresentare i personaggi, dato che viene abbandonato quasi completamente il realismo nella rappresentazione degli umani utilizzato solo per la Fata Turchina, evoluzione di Biancaneve (l'attrice presa a modello è la medesima) e unico esponente femminile all'interno della storia.
Tutti gli altri personaggi hanno un'estetica puramente cartoonesca; questo non inficia minimamente la loro credibilità ma anzi, l'esperienza maturata nelle decine di cortometraggi Disney realizzati fino a quel momento è stata riversata in essi, dotati di una sensibilità e un'espressività impeccabile. In particolare il Gatto e la Volpe con la loro teatralità e i loro modi sopra le righe sono al centro delle scene più comiche del film, calamitando l'attenzione degli spettatori; inizialmente il Gatto avrebbe dovuto essere doppiato, ma si preferì renderlo muto e accentuarne la mimica per raggiungere un effetto simile a quello ottenuto con Cucciolo.

Queste sono solo alcune delle figure principali del film, ma se in Biancaneve e i sette nani compaiono solamente una dozzina di personaggi, qui il cast è composto da molti più personaggi, soprattutto contando anche tutte le comparse che si vedono, ognuna curata nel dettaglio e caratterizzata a dovere. Anche gli ambienti sono più numerosi e vari di quanto si era visto nel primo lungometraggio Disney; ogni scenario è incredibilmente dettagliato, dalla bottega di Geppetto ricca di prodotti artigianali fino al fondale dell'oceano dotato di una flora e una fauna acquatica visivamente sorprendenti. Il principale virtuosismo tecnico avviene però nella presentazione del paesino d'origine di Pinocchio, attraverso una carrellata a volo d'uccello che si insinua tra le vie del borgo mostrandone i numerosi piani di profondità; lo stesso Walt Disney dovette limitare i suoi animatori perché la quantità di dettagli inseriti la stava trasformando in una sequenza troppo costosa. Anche la cittadella è piuttosto differente da quella toscana legata all'influenza collodiana; le intenzioni erano di fondere elementi e architetture provenienti da molteplici culture europee, processo che ha dato vita a un paese affine all'estetica tirolese.

Pinocchio è stato anche una palestra per sperimentare alcuni effetti speciali in grado di arricchire le animazioni, ampiamente sfruttati in futuro: se ne possono ritrovare esempi nel bagliore emesso dalla Fata Turchina, nella trasparenza dell'acqua o nelle diverse scene in cui compare il fuoco di una candela o di un falò.
Le ottime animazioni, i personaggi e la storia sono supportati da musiche memorabili, che sono state premiate con due premi Oscar: il primo per la Migliore Colonna Sonora, mentre il secondo ha premiato "When You Wish Upon A Star" come Miglior Canzone, brano diventato poi un simbolo dello studio d'animazione al punto da essere usato come tappeto musicale per l'attuale logo degli studi che precede i loro film. "When You Wish Upon a star" è anche l'unica canzone lenta del film, dato che le orecchiabili "Impara a fischiettar", "Hi-diddle-dee-dee" e "Io non ho fili" sono decisamente più ritmate e dalla melodia più immediata, forse anche per cavalcare la formula di successo di "Ehi-ho" in Biancaneve e i sette nani. È interessante notare anche come la presenza di queste tre canzoni nella vicenda sia molto più giustificabile, l'ultima addirittura con un vero e proprio balletto, primo accenno della strada che porterà l'animazione Disney a produrre veri e propri grandi musical.

Sfortunatamente, a un grande apprezzamento da parte della critica non corrispose un immediato successo di pubblico: essendo Pinocchio uscito nei cinema nel 1940, in piena Seconda Guerra Mondiale, fu tagliato fuori dal mercato europeo e anche gli spettatori americani non erano propensi a recarsi nelle sale per vedere un film animato, a causa del clima storico in cui erano immersi.
Le future ri-proposizioni sul grande schermo nei decenni successivi e l'arrivo negli anni '90 dell'edizione home video ha reso giustizia a un film che, a differenza di "Biancaneve e i sette nani" (che rimane comunque un capostipite eccezionale) non risente minimamente dello scorrere degli anni e non sfigura neanche dal punto di vista tecnico se paragonato a lungometraggi animati realizzati quarant'anni più tardi.

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Animation History #1: Biancaneve e i sette nani

All'inizio degli anni '20 Walt Disney realizzò i suoi primi cortometraggi collaborando con l'amico e collega Ub Iwerks raggiungendo col tempo sempre più fama con le Alice Comedies, Oswald il coniglio fortunato, Topolino e le Silly Simphonies, una serie di corti nella quale si sperimentò l'animazione cercando di farla evolvere anche grazie all'introduzione del sonoro e del colore.
Nel 1934 Walt annunciò pubblicamente la produzione di un lungometraggio animato, progetto che avrebbe richiesto un budget di circa 250.000$, l'equivalente di dieci corti d'animazione; alla fine Biancaneve e i sette nani richiese un budget quasi cinque volte superiore a quanto preventivato, obbligando Walt Disney addirittura ad ipotecare la sua casa per poter proseguire la lavorazione del film.

Walt aveva notato che i guadagni derivanti dai cortometraggi riuscivano appena a coprirne i costi, così decise di tentare una nuova strada per ottenere maggiore visibilità, dopo aver visto durante un viaggio in Francia un cinema che proiettava otto suoi cortometraggi consecutivamente in un unico spettacolo; con un lungometraggio sperava anche che il lavoro dei suoi studi d'animazione fosse nobilitato alla stregua degli altri film, anche dal punto di vista artistico. A Hollywood nessuno credeva in questo progetto, tanto che fu bollato come "la follia di Disney"; perfino la moglie e il fratello di Walt cercarono di dissuaderlo dal portare a compimento il suo progetto strampalato. Era inconcepibile l'idea che un pubblico potesse rimanere per un'ora e mezzo in una sala cinematografica a guardare un cartone animato che propinasse una sequenza di gag umoristiche; Walt evidentemente deve aver pensato lo stesso e agì di conseguenza, adottando un approccio differente da quello utilizzato fino a quel momento.

In realtà, diversamente da una convinzione condivisa, Biancaneve e i sette nani non è il primo lungometraggio animato della storia del cinema, ma il quarto: il primato assoluto spetta infatti al film muto argentino El Apòstol del 1917, seguito nel 1931 dal film sonoro Peludòpolis degli stessi autori, e nel 1936 dall'italiano Le avventure di Pinocchio. Questi tre lungometraggi erano però in bianco e nero, quindi a Disney spetta il primato dell’aver realizzato primo film d'animazione sonoro in technicolor, oltre che un'opera caratterizzata da uno sforzo produttivo notevolmente superiore.

Il soggetto del kolossal animato fu scelto dopo aver visto "Biancaneve" con Marguerite Clark: all'inizio il capostipite della filmografia Disney aveva una componente umoristica molto più consistente, grazie anche a protagonisti caratterizzati in stile cartoonesco, ma il processo creativo subì una brusca virata quando si decise di rendere realistici i personaggi di Biancaneve, il Principe, la Regina e il Cacciatore. Il risultato è stato sicuramente qualcosa di sorprendente all'epoca, sia per la coraggiosa idea di offrire agli spettatori protagonisti animati simili ad attori reali, sia per la qualità tecnica con la quale fu realizzato; proprio in vista di Biancaneve e i sette nani erano state realizzate alcune Silly Symphonies con ragazze umane che possiamo considerare prototipi di Biancaneve (la fata de Il topo volante e la protagonista di The Goddess of Spring), ma in ogni caso i movimenti risultavano goffi e poco credibili. Il realismo degli esseri umani in Biancaneve e i sette nani non ha precedenti e di certo ha contribuito a nobilitare il film agli occhi delle platee negli anni '30; oggi però, per assurdo, proprio Biancaneve e il principe sono i personaggi meno credibili a causa di espressività e movenze melense e stucchevoli, forse a causa di una recitazione legata agli standard degli attori dell'epoca che ce la fa apparire leggermente datata e innaturale. Non si può dire che siano invecchiati allo stesso modo i personaggi più caricaturali del cast come la terrificante regina Grimilde, il cui fascino dopo la trasformazione in strega cattiva resiste allo scorrere del tempo grazie a un aspetto grottesco e a una teatralità fortemente debitori dell'espressionismo tedesco.

Ma i veri mattatori della pellicola sono i sette nani, fatto di cui lo stesso Disney era consapevole: se nella fiaba originale i nani non avevano particolari che li contraddistinguessero, nel film sarebbero stati la principale attrattiva grazie alle loro peculiarità, selezionate da una gamma più vasta di caratteristiche prese in considerazione. Nonostante la deformità, sono loro i personaggi più "umani" della storia in cui è più facile riconoscersi e che trasmettono nel modo più efficace le loro sensazioni: la loro somiglianza e al contempo la loro diversità forma una sorta di coro greco che commenta di volta in volta le scene più emozionanti, dalla scoperta di Biancaneve introdottasi a casa loro, fino all'apparente morte della ragazza.
Molto tempo è stato dedicato al perfezionamento dei nani, in particolare di Cucciolo che ne risulta il personaggio più apprezzato dal pubblico: dopo aver tentato in ogni modo di trovare una voce adatta, gli autori si resero conto che nessun doppiatore rendeva giustizia all'espressività del nano senza barba, così decisero di lasciarlo muto accentuandone la mimica.
Un altro aspetto del film sul quale sono stati investiti molti sforzi è stato il ritmo, calibrato con minuzia operando un montaggio piuttosto serrato per gli standard di quegli anni: numerose sono le scene anche già animate che sono state sacrificate all'economia del film per non creare rallentamenti o disequilibri narrativi, una scelta oggi piuttosto frequente ma ai tempi coraggiosa, soprattutto considerando lo sforzo economico compiuto per produrre un'opera simile.

La "follia Disney" ebbe un incredibile successo: nelle sale totalizzò l'incasso più alto mai registrato fino a quel momento (tenendo conto dell'inflazione, rimane tuttora il terzo film col miglior risultato al botteghino di tutti i tempi, dopo "Guerre Stellari" e "Via col Vento") e anche la colonna sonora ottenne un incredibile riscontro, grazie a canzoni come "Il mio amore un dì verrà" e soprattutto "Ehi-ho!" che sono diventate un simbolo della Disney. I brani inseriti nel film sono il frutto di un'accurata selezione: il cortometraggio "I tre porcellini" aveva dimostrato che una canzone poteva raccontare una storia, per cui si cercò di raggiungere un risultato simile trovando le otto canzoni più adatte alla trama, scelte tra almeno venticinque che furono realizzate per l'occasione.
Diversi nomi importanti nel mondo del cinema, tra cui Charlie Chaplin e Sergei Eisenstein, elogiarono Biancaneve e i sette nani per l'impresa raggiunta, definendolo addirittura come il più grande film mai realizzato. Anche l'Academy lodò il risultato di Walt Disney premiandolo con una speciale statuetta Oscar accompagnata da altre sette in versione più piccola, come riconoscimento dell'innovazione portata sullo schermo che ha incantato milioni di spettatori e ha creato un nuovo campo nel mondo dell'intrattenimento".

Fu grazie agli eccezionali incassi di Biancaneve e i sette nani che Walt Disney potè ampliare i suoi studios e aprire una nuova sede a Burbank, dove iniziò la produzione di Pinocchio e Fantasia, ai quali sarebbero seguite numerose altre "follie Disney".

The Sandman Vol. 1 - Sogno

The Sandman - Volume Uno: SognoPresentare nel 2010 The Sandman ad un lettore non è impresa facile.
Probabilmente avrete già letto il fumetto più famoso di Neil Gaiman e non avete certo bisogno di sentirvi dire un'altra volta quanto sia straordinario e ricco di trovate; in quel caso se siete qui è perché volete sapere se l'edizione Planeta è meritevole, per cui vi consiglio di passare direttamente al terzo paragrafo.
Oppure non avete ancora letto The Sandman ma ne avete sentito parlare e da tempo volevate approcciarvi ad esso, magari dopo aver apprezzato qualche altro fumetto o romanzo di Gaiman.
C'è la remota possibilità che non abbiate mai sentito parlare di The Sandman o di Gaiman. In questo caso probabilmente siete finiti in questo sito per un bizzarro errore di battitura su Google ma non è grave: continuate a leggere, a tutto si può rimediare.

Aprendo il nero tomo si piomba nel mondo del sogno ideato da Gaiman: non si tratta di un'unica trama continuativa, ma di una struttura elastica creata dall'autore inglese in modo da poter raccontare cicli di storie distribuiti su più numeri, all'interno dei quali ha la possibilità di inserire racconti autoconclusivi più brevi.
Il filo conduttore del fumetto sono gli Eterni, sette entità che incarnano altrettanti aspetti dell'esistenza umana. Seguendo le loro azioni Gaiman può spaziare tra storie ambientate nell'universo mitologico e storie nel mondo degli umani, tutte comunque contraddistinte da un'atmosfera onirica e da elementi sovrannaturali.
Il primo volume di Planeta DeAgostini è intitolato a Sogno, il protagonista della serie, e contiene i primi due cicli di storie.
In "Preludi e Notturni" facciamo la conoscenza di Morfeo, glaciale guardiano dei sogni dell'umanità, liberatosi dopo decenni di prigionia causata dal rituale magico di un'occultista che voleva ottenere la vita eterna. Prima di tornare al timone del suo regno Sandman deve però riappropriarsi dei tre oggetti magici che gli forniscono il potere, finiti tra le mani di soggetti poco raccomandabili.
"Casa di Bambola" si discosta invece da Morfeo, iniziando a seguire una forma di serialità più atipica, pronta a relegare il protagonista in secondo piano per concentrarsi su altri personaggi con propri percorsi. In questo caso, mentre Sandman tenta di recuperare alcune creature sfuggite al suo controllo, vediamo la giovane Rose Walker trasferirsi in un palazzo abitato da bizzarri individui per poi trovarsi coinvolta in un inquietante convegno. In mezzo alla storyline principale trovano posto anche due affascinanti episodi autoconclusivi, il primo narra la storia d'amore tra Morfeo e Nada sotto forma di racconto africano, mentre il secondo narra un legame tra Morfeo e un umano attraverso i secoli. Si tratta di temporanee virate che non c'entrano con la trama principale ma mostrano benissimo l'abilità di Gaiman nel creare universi narrativi nuovi per sfruttarli al meglio solamente in una ventina di pagine.
In realtà in questi primi cicli di storie affiora appena il Gaiman che sarà: le trame che si dipanano a lungo termine non rendono ancora al meglio, ma fin dal principio ci sono singoli episodi e momenti memorabili dai quali traspare l'abilità nello scrivere e la volontà di usare un linguaggio più elevato rispetto agli standard del fumetto d'intrattenimento. Chi ha già letto tutto The Sandman vi assicura che il meglio deve ancora arrivare e raggiunge picchi decisamente elevati, ma di certo troverete qualcosa in grado di catturare la vostra attenzione e stuzzicare la vostra fantasia già da questo primo tomo. In particolare i disegni nelle prime storie sono un po' ostici da affrontare e a volte risultano quasi caotici, ma nel corso del volume si può constatare un graduale miglioramento, supportato anche dalla nuova colorazione che rende le tavole più piacevoli all'occhio.

La Planeta De Agostini confeziona un'edizione prestigiosa, utilizzando un formato che è l'ideale compromesso tra il prestigio di un Absolute e la comodità di lettura di un comic book; la qualità della carta e della stampa è più che buona e nella traduzione si possono trovare solo una manciata di sviste di poco conto, risultato decisamente migliore rispetto agli standard passati della casa editrice. A rendere ancora più elegante il volume contribuiscono la copertina nera con lettere dorate e un segnalibro di stoffa, decisamente utile dato che difficilmente qualcuno affronterà consecutivamente la lettura di tutto il tomo.
Per questa edizione realizzata in esclusiva per l'Europa, la Planeta ripartisce i quattro Absolute americani in sette volumi (più uno speciale di cui non è ancora stato rivelato il contenuto) all'interno dei quali sono inseriti anche i "contenuti speciali" presenti negli Absolute e nel libro "The Sandman Companion". Quest'ultimo conteneva retroscena sull'intera serie Sandman, suddivisi qui in base ai cicli di storie pubblicati. In coda al primo volume troviamo quindi bozzetti, studi dei personaggi, curiosità e interviste riguardanti "Preludi e Notturni" e "Casa di Bambola". Il materiale è molto interessante anche se i riassunti che potevano essere sensati in un libro dove non c'era l'opera di Gaiman, perdono di senso posizionati subito dopo il fumetto di cui sintetizzano la trama. Si poteva quindi evitare di riproporre quei riassunti, piuttosto didascalici e inutili per un lettore che molto probabilmente ha appena finito di leggere il fumetto; l'effetto ridondanza si triplica poi per "Preludi e Notturni", del quale vengono proposti anche il soggetto originale e un riassunto fatto dallo stesso Gaiman.

Ci troviamo senza dubbio di fronte alla versione migliore disponibile in Italia di Sandman, uno dei fumetti più apprezzati e premiati degli anni '90; si tratta di un'ottima occasione di scoprirlo per chi non vi si fosse mai avvicinato prima d'ora e un'opportunità per i fan di lunga data di goderselo in questa confezione migliore e con la nuova colorazione al computer, un'edizione definitiva che si può sfoggiare sullo scaffale della libreria con l'eleganza che spetta a un'opera di questo calibro.

Chosp 1

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Ogni scarafone è bello a mamma sua… tranne Chosp.
Già, perché il povero Chosp, novello Cenerentolo-Calimero, ha una madre che lo disprezza e si vergogna di lui al punto da tentare in ogni modo di nascondere la sua esistenza alle persone; l'affascinante Stella Star infatti essendo la first lady di Tee Ville, un'isola dove tutti gli abitanti sono belli, non può permettersi di avere come figlio l'unico bambino brutto dell'isola. Chosp, nonostante l'aspetto kawaii che lo rende accattivante agli occhi del lettore, è infatti percepito da tutti gli abitanti di Tee Ville come una creatura spaventosa e curiosa; questa stranezza agli occhi del ragazzo ha un significato ben diverso, che lo fa addirittura dubitare dell'identità dei propri veri genitori. Perché non è bello come mamma e papà? Perché possiede addirittura corna, scaglie e coda? È un mostro o un alieno? Chosp decide di partire alla ricerca delle sue origini, indagando attorno alle situazioni e agli eventi più misteriosi, con la speranza di scoprire qualcosa su di sé.

Le avventure di Chosp lo portano ad esplorare in lungo e in largo l'isola assieme all'amica Melody, in contesti decisamente bizzarri: l'elemento migliore del nuovo fumetto di Alessandro Barbucci è sicuramente l'eccentrico universo isolano che è riuscito a imbastire, una sorta di Villaggio Pinguino arricchito da una notevole varietà di ambientazioni e da personaggi strampalati. Questo consistente numero di elementi introdotti può essere un pregio per il primo numero di una serie, soprattutto quando si vuole presentare un contesto fracassone come è Tee Ville; una simile quantità di personaggi o luoghi nuovi è accettabile per il volume d'esordio, ma se diventasse la norma potrebbe diventare fastidiosa perché significherebbe trascurare il cast già introdotto in precedenza di cui molti componenti sono appena stati presentati e sfruttati per poche pagine, per i quali il lettore si aspetta un approfondimento.

Il fumetto tanto promosso come "euro-manga" in realtà si può accostare alla produzione giapponese più per la forma in cui viene proposto che per l'opera in sé: un volume tascabile (ma non troppo), una narrazione suddivisa in capitoli di circa una ventina di pagine (auspicandone la pubblicazione sulle riviste-contenitore nipponiche?) e la presenza di un’immagine-frontespizio per ogni episodio. All'interno del fumetto si possono sì ritrovare tipologie di personaggi, simboli grafici e uno stile visivo che sono evidentemente debitori di numerosi titoli e autori giapponesi, ma sapientemente mescolati con contaminazioni derivanti dalla formazione disneyana di Barbucci e dai bande dessinèe.
Come avviene nei manga anche qui il primo capitolo è interamente a colori, una vera e propria gioia per gli occhi ad opera di Nolwenn Lebreton e che è visivamente la parte più godibile dell'albo; il resto del fumetto è interamente in bianco e nero con un massiccio, forse eccessivo, utilizzo dei retini, e dopo aver visto le tavole di Chosp nello splendore dell'intera scala cromatica, è un dispiacere doversi accontentare di un proseguimento più "povero" dal punto di vista grafico. Questo meccanismo è sfruttato nel mercato dei manga in cui gli autori sfornano un nuovo episodio ogni settimana, dato che sarebbe insostenibile mantenere quella periodicità con episodi a colori; Chosp non comparirà con la medesima frequenza sugli scaffali italiani, ma ci accontenteremo del bianco e nero se sarà mantenuta la periodicità semestrale inizialmente annunciata.

L'edizione Planeta DeAgostini ha qualche piccolo difetto che ne mina la lettura, anche se siamo ben distanti dalle iniziali sbavature spagnoleggianti che hanno caratterizzato l'esordio della casa editrice in Italia: sono però presenti un paio di parole e di accenti inesistenti nella lingua italiana di chiara derivazione straniera, assieme a qualche errore d'ortografia e diverse parole suddivise per andare a capo in modo incorretto.
Si tratta di episodi spiacevoli in qualsiasi caso, ma che risultano quasi paradossali per un fumetto dalla paternità italiana che quindi si meriterebbe un trattamento dal quale non dovrebbe trasparire la traduzione da un altro idioma.
Da segnalare anche una font non particolarmente gradevole che misteriosamente cambia nel corso del volume, altra imperfezione che fa sperare in un'edizione migliore per i prossimi volumi di una novità tutta italiana fresca e divertente.
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