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Francesco Amorosino

Francesco Amorosino

Priest: recensione

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priest_posterHorror, western, fantascienza, thriller psicologico e familiare, tutto miscelato in un grandioso spettacolo per gli occhi e la mente. Priest si rivela essere un film sorprendente, ottimo sia nella storia, che seppure richiama vari classici del passato è intrigante e offre nuovi spunti, sia nell'aspetto visivo, con uno dei migliori 3D visti negli ultimi tempi, capace di correggere il fastidioso effetto 'scurente' tipico di questa tecnologia.

Ispirato al manhwa di Hyung Min Woo, distribuito in Italia da Jpop, la pellicola, in uscita il 15 giugno, se ne discosta presto, seguendo una sua strada che dal fumetto pesca soltanto alcuni personaggi e ambientazioni, ma riuscendo a prenderne i punti di forza rilanciandoli in una nuova veste ancora più accattivante. Protagonista della storia è un Sacerdote, un prete guerriero che la Chiesa ha impiegato nei secoli nell'epica battaglia contro i vampiri che ha visto gli uomini prevalere e le creature succhiasangue, imprigionate in alcune riserve nell'immenso deserto formatosi dopo la fine dell'apocalittico conflitto. Gli stessi uomini vivono reclusi nelle loro cupe e fumose città, dominati dalla Chiesa che tutto sa e tutto controlla. I Sacerdoti, rimasti senza uno scopo, sono costretti ad accettare lavori umili.

Tutto cambia quando viene rapita dai vampiri una ragazzina che ha una parentela con il protagonista e quest'ultimo decide di andare a salvarla insieme al fidanzato, un giovane sceriffo in stile vecchio West, sfidando il volere della Chiesa stessa, secondo cui le creature notturne non sono più un problema. Il Sacerdote dimostrerà quanto sbaglino perché una nuova guerra tra uomini e vampiri è alle porte.

Da sottolineare l'ottima interpretazione degli attori, a cominciare da uno straordinario Paul Bettany nel ruolo del protagonista, e le musiche intense ed epiche con tocchi di originalità. Altra chicca della pellicola è il prologo in cui si racconta la guerra tra uomini e vampiri: tutta la sequenza è stata realizzata in animazione con uno stile spigoloso che ricorda i disegni del manhwa.

Dipinto con toni di colore desaturati, con contrasti forti tra il buio del mondo dei vampiri e l'assolato deserto, il film mescola alla perfezione l'ambientazione western con la fantascienza, con i cavalli sostituiti da motociclette dall'aspetto più steampunk che tecnologico, e non manca l'assalto al treno carico di vampiri. Anche degli antagonisti viene offerta una visione più mostruosa di quella a cui le recenti uscite cinematografiche ci avevano abituato, dipingendoli più come degli animali evoluti che come delle creature pensanti.

La pellicola non è solo fantasia e azione: ci parla del mondo di oggi, del nostro rapporto con l'altro e con la spiritualità. "Il nostro potere non viene dalla Chiesa, ma da Dio" dicono i Sacerdoti spiegando cos'è la laicità. Dall'altra parte il capo dell'orda sostiene che "l'anima del vampiro è più pura di quella dell'uomo", e guardando cosa è stata capace di creare la Chiesa, una menzogna che a stento si regge su se stessa, non gli si può dare tutti i torti.

X-Men: L'Inizio: recensione negativa

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Immaginateli questi film-maker, tutti riuniti intorno a un tavolo con l'idea in testa di fare un prequel della trilogia degli X-Men, che giocano a chi la spara più grossa: "Facciamo che Sebastian Shaw spara bombe di energia!", "Facciamo che Mystica è la sorella adottiva X-Men-Liniziodi Xavier!", "Facciamo Banshee da piccolo pieno di lentiggini!". E poi ecco che si elencano personaggi un po' a casaccio pescando da varie ere della mitologia mutante e si crea una squadra che più strana non si è mai vista, mettendo vicino Havok e Darwin, la Bestia e Mymstica, senza dimenticare una fin troppo sensuale Angel Salvadore. Ancora più incredibile la scelta dei cattivi: vanno bene Sebastian Shaw ed Emma Frost, elementi di un Club Infernale senza la classica divisione in re e regine, ma se passabile sembra la scelta di un insulso Riptide, che cosa c'entra Azazel? Quali sono le sue motivazioni?

'X-Men: L'inizio' è un simpatico giocattolo con cui tante persone si sono divertite, ma alla fine la sostanza si risolve in una storia molto classica, lineare nello svolgimento, senza particolari colpi di scena, anzi, del tutto prevedibile per chi conosca anche solo un minimo i fumetti. Il film inizia mostrando ancora l'infanzia di Magneto nel campo di concentramento, come già visto nel primo episodio della trilogia, quando un malvagio medico nazista riesce a sbloccare i suoi poteri grazie alla rabbia e al dolore. Nel frattempo Charles Xavier vive nella splendida casa dei suoi genitori dove si introduce una bizzarra ladra, la piccola Mystica, che diventa sua sorella adottiva. Anni dopo Xavier è un giovane appena laureto in genetica che viene contattato dalla CIA attraverso l'agente Moira McTaggert per aiutarli a fermare le macchinazioni di Sebastian Shaw e del Club Infernale. Xavier scoprirà così che lui e Mystica non sono i soli mutanti e forte di un'amicizia con Erik, il futuro Magneto, conosciuto durante una missione, creerà una squadra per contrastare i nemici. Il tutto sullo sfondo di una Guerra Fredda sul procinto di scoppiare a causa della crisi dei missili a Cuba.

Al di là dell'ambientazione temporale intrigante perché l'azione si svolge in gran parte negli anni Sessanta, cioè proprio quando Stan Lee e Jack Kirby crearono gli X-Men, e dell'atmosfera spionistica da James Bond, il film si perde in tante piccoli o grandi imperfezioni che non rendono fluida la storia. I punti di forza stanno nel contorno, nelle scene divertenti che il regista Matthew Vaughn sembra aver importato direttamente dal suo Kick-Ass, con uno Xavier e un Magneto goliardici come vecchi compagni di bevute, o con i giovani X-Men che si divertono a mostrarsi a vicenda i propri poteri. A queste scene di amicizia e di famiglia si accosta la parte più fantascientifica dove la pellicola comincia a scricchiolare, con un cattivo, Shaw, che ha un piano decisamente ridicolo e poco credibile. E poi una nota su tutte: perché tra tutti i mutanti individuati con Cerebro, Charles sceglie proprio quelli?

Questo film enfatizza ancora di più il grande problema della trilogia degli X-Men, dove in un film vengono presentati dei personaggi che poi scompaiono misteriosamente in quelli successivi. Perché indugiare tanto sul conflitto già esplorato tra Xavier e Magneto senza dare il giusto spazio agli X-Men? E i giovani mutanti presenti in 'L'inizio' che fine faranno? Dove sono finiti Banshee o Havok? Ed Emma Frost? Sembra quasi che sia necessaria almeno un'altra pellicola per raccordarsi alla prima trilogia e spiegare queste profonde discrepanze. Alla fine del film la scena che rimane più impressa è l'esilarante cammeo di Hugh Jackman che nei panni di un rude Wolverine risponde semplicemente con una parolaccia alla proposta di reclutamento di Xavier e Magneto che se ne vanno con la coda tra le gambe. E forse alla fine aveva proprio ragione il vecchio Logan.

Nel 1963 la Silver Age Marvel non ha ancora espresso tutto il suo potenziale. Dopo aver parlato alla gente dei problemi dell'uomo comune con superpoteri, il tandem collaudato Stan Lee-Jack Kirby propone ai lettori degli Stati Uniti un interessante e innovativo sguardo sulla diversità.
In piena guerra fredda, con il costante timore che l'equilibrio precario tra i blocchi potesse incrinarsi e sfociare in una guerra atomica, Marvel Comics pubblica The X-Men, ricettacolo di una nuova umanità a tratti mostruosa, percorsa da una gamma di tematiche collaterali che vanno dall'accettazione del diverso e alla coesistenza fino alle problematiche xenofobiche, e a quelle "canoniche" legate ai risvolti degli esperimenti atomici.

Vettore della diversità saranno i mutanti, o homo superior (secondo la dizione xavieriana), esseri umani nati con un particolare gene (chiamato dallo stesso Xavier, con un lieve moto di protagonismo, "gene X") in grado di conferire al suo portatore sorprendenti abilità, in genere a partire dalla pubertà (anche se numerosi sono i casi di mutanti bambini). Sfortunatamente sul binario parallelo delle abilità viaggiano deformità o problematiche legate al potere acquisito, aspetti che portano presto alla discriminazione dei mutanti da parte delle frange più estreme della società; discriminazione che, ovviamente, coinvolge anche i più ingenui, spaventati e diffidenti membri della popolazione umana.

Siamo nel luglio del 1963 (l'albo sarà tuttavia marcato settembre) quando esordisce il primo numero di The X-Men, che inizia a narrare le avventure del supergruppo di giovani mutanti raccolti attorno alla guida di Charles Xavier.
Nella prima squadra (ben diversa da quella che vedremo al cinema in "X-Men: L'inizio") militano un Ciclope ancora inesperto e insicuro, una Bestia inizialmente dall'aspetto umano e priva della pelliccia blu che lo ha caratterizzata negli anni successivi, un Angelo molto più disinvolto e meno oscuro, un Uomo Ghiaccio inizialmente più vicino a un pupazzo di neve, e Marvel Girl, Jean Grey all'epoca dotata dei soli poteri telecinetici, con i poteri telepatici sotto chiave in seguto al trauma della morte di Annie Richardson.

Con il primo numero inizia così un'epopea destinata a durare negli anni, tra gli inevitabili cambi di team creativo e le rivoluzioni e ai riassestamenti narrativi che una serie ormai cinquantennale non può che imporre.
Lo stile narrativo della serie è fresco, nonostante le implicazioni discriminatorie arrivino in breve tempo ad appesantirne i toni; il tratto di Kirby non è ancora quello definito che lo renderà noto a tutto il mondo, ma presenta già in nuce alcuni elementi di quello che verrà in futuro, come si evince dai primi piani dai toni netti e, soprattutto, dalle splash page iniziali, veri e propri saggi della potenza e del grande dinamismo stilistico.
La storia comincia in medias res, mostrandoci una sessione di allenamento dell'ancora incompleto team iniziale, con tavole in cui Kirby si diverte in brevi dimostrazioni del potenziale di ogni membro, in una tensione ludica che si scioglie con l'arrivo di Jean, che subito catalizza l'attenzione dei quattro giovani (e, come si scoprirà in seguito, anche quella del loro mentore).
Accanto al gruppo di partenza, The X-Men #1 introduce anche il polo negativo di tante trame a venire, Magneto, signore del magnetismo e giurato rivale (nonché, un tempo, fidato amico) di Xavier nel tentativo di trovare una risoluzione alle problematiche di convivenza tra umani e mutanti.
I giovani mutanti, nelle ventitre pagine concesse loro dal "Sorridente" Stan, salvano la situazione e si guadagnano la gratitudine dell'esercito americano. Ma la situazione è ben lungi dall'essere definitiva, perché nel giro di un paio d'anni la calma apparente si incrinerà: con il numero 14 Stan Lee, affiancato alle matite da Jay Gavin (Kirby aveva lasciato le matite al numero 12, pur fornendo schizzi e layout per i cinque numeri successivi), introduce nelle vite dei giovani uomini-X Bolivar Trask e le sentinelle, affiancate da un potenziato senso di paura e odio che daranno inizio a una nuova caccia alle streghe.
Una cosa interessante da notare è la paura e l'odio che i mutanti riescono, in breve tempo, ad attirare su di sé, situazione che non si verifica con gli altri supereroi Marvel (se non in tempi più recenti), nemmeno con quelli la cui affiliazione ai "buoni" è più volte messa in dubbio (si pensi a Spider-Man).

La prima fase narrativa regala ai lettori personaggi destinati a entrare nella storia della serie e dello stesso Universo Marvel, dallo Svanitore a Blob, da Scarlet e Quicksilver alle Sentinelle e al Fenomeno; non mancarono poi le apparizioni di celebri personaggi quali i Vendicatori, Namor o Ka-Zar.
A voler essere proprio precisi, il primo mutante Marvel non è uno dei giovani allievi di Xavier, bensì Tad Carter, protagonista della breve storia The Man in the sky! (di Stan Lee e Steve Ditko) apparsa per la prima volta su Amazing Adult Fantasy #14 (che in quegli anni aveva più volte cambiato nome e che, nata come Amazing Adventures, sarebbe deceduta con il numero successivo, il 15, come Amazing Fantasy, lasciando in eredità un ben noto arrampicamuri), che precedette di un anno The X-Men. In quella breve storia Tad Carter scopre di avere poteri telecinetici, che lo rendono il fulcro dell'odio ottuso di un gruppo di ragazzi che lo temono perché diverso. Concentrandosi riesce a usare i suoi poteri per volare e, mentre è in cielo, viene contattato telepaticamente da una figura anziana che lo esorta a raggiungerlo per attendere, assieme ad altri che come lui sono "mutanti" (è la prima volta che il termine viene utilizzato), il giorno in cui la convivenza pacifica sarà possibile.

Dopo un decennio di alti e bassi, mensilità e bimestralità, nonostante l'apporto di autori come Roy Thomas o Neal Adams, la serie chiude con il numero 66, ma prosegue nella sua numerazione per i primi anni '70 proponendo ristampe a cadenza bimestrale; poi, nel 1975, con Giant Size X-Men, Len Wein e Dave Cockrum regalano al mondo un nuovo team mutante, figlio di un modo meno ostile alla diversità, frutto della contestazione e della società interrazziale. Per la prima volta in casa Marvel si vede un gruppo dalla composizione multietnica che, preso in mano da Chris Claremont a partire dal numero 94, verrà da questi portato fino ai primi anni '90. Il nuovo team, composto da Tempesta, Colosso, Nightcrawler, Wolverine, Banshee, Warpath, Sole Ardente e dall'ubiquo Ciclope, diverrà la matrice delle storie a venire di una famiglia destinata ad espandersi sul piano sia narrativo che editoriale.

Thor: recensione

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C'era un tempo in cui Thor era davvero venerato come una divinità in Scandinavia, era davvero considerato il dio del tuono e aveva fedeli che lo pregavano e lo temevano. Oggi i suoi seguaci siamo noi lettori di fumetti, che fin dal 1962 (ma la maggior parte l'ha conosciuto molto dopo) seguiamo le sue avventure, considerandolo quasi una persona in carne e ossa, un fratello un po' strambo a cui chiedere consiglio in caso di necessità. Vederlo sparire nell'abisso del Ragnarok qualche anno fa ci ha riempito d'angoscia, vederlo tornare ha rimarginato solo in parte la ferita. E adesso è lì, sul grande schermo, pronto a conquistare tanti nuovi fedeli.

Quello che invaderà i cinema italiani in ben 600 copie a partire dal prossimo 27 aprile non è il classico dio-supereroe a cui siamo abituati, e che comunque ha avuto decine, se non centinaia, di diverse incarnazioni. Il Thor cinematografico è il dio del tuono del Marvel Movies Universe, mondo di celluloide forgiato sulle basi di decenni di storie e pertanto condensato di diverse idee e linee guida, in particolare sintesi a volte perfetta, altre volte più traballante, dell'Universo Marvel classico e di quello Ultimate. Quest'ultima pellicola è l'esempio migliore in questo senso, proprio a partire dal suo protagonista che nel look e in alcuni atteggiamenti deve molto alla sua versione Ultimate, mentre per il resto è più vicina a quella classica.

Una lunga premessa per quello che, nonostante saranno in molti a non pensarla nello stesso modo, è forse il film Marvel più riuscito degli ultimi tempi, pieno di visionarietà, di personaggi profondi, capace di innovare il mondo tratto dai fumetti trasformandone i punti di debolezza in punti di forza. Certo, a un'analisi più approfondita non mancano i difetti, con tanti problemi che non sfuggiranno ai lettori del fumetto, ma che non intaccano il risultato finale.

La storia è molto classica e non disdegna di citare specifici cicli di albi a fumetti e altre immagini epiche della mitologia del cinema. Thor (Chris Hemsworth) e Loki (Tom Hiddleston, intervistato di recente da Comicus) sono figli di Odino (Anthony Hopkins), il padre degli dei, sovrano di Asgard e dominatore dei nove regni legati dal grande albero del mondo, Iggdrasil. Thor è arrogante e impetuoso, desidera essere re e lanciarsi in battaglia, Loki è moderato e tranquillo, intelligente e sempre pronto ad ascoltare i consigli del padre. Un giorno però tre giganti del ghiaccio, i nemici soggiogati e confinati da Odino nel mondo gelato di Jotunheim, si introducono ad Asgard eludendo la sorveglianza di Heimdall, guardiano del ponte Bifrost, per rubare la fonte del loro potere, portata ad Asgard dal padre degli dei.

Anche se vengono sconfitti e l'incidente potrebbe chiudersi lì, Thor non può tollerare un simile oltraggio e parte con i suoi compagni di battaglia, i tre guerrieri Fandral, Hogun e Volstagg e la bella Sif, per andare a punire i giganti. Un atto dettato dalla sete per la battaglia che provoca il riaccendersi delle ostilità tra i due mondi, tanto da costringere Odino a bandire il figlio su Midgard, la Terra, dove dovrà imparare l'umiltà e la saggezza. Qui, senza poteri, dovrà dimostrare di essere degno di poter sollevare ancora il martello Mjolnir. Sua guida nel bizzarro reame terrestre sarà la scienziata Jane Foster (Natalie Portman), studiosa di fenomeni parascientifici, insieme al suo team di lavoro, composto dal dottor Erik Selvig e dalla stagista Darcy. Le ricerche della bella scienziata si incroceranno con la magia, e mentre diverrà chiaro che i principi della fisica forse si applicano anche nel mondo incantato di Asgard, da lei considerato un pianeta lontano alla fine di un tunnel spaziale, il suo cuore si legherà indissolubilmente a quello del dio biondo. Thor dovrà lottare contro il governo degli Stati Uniti e lo Shield, che vogliono impossessarsi del suo martello, e contro i nemici scagliati contro di lui da suo fratello Loki.

Andare oltre con la trama non sarebbe giusto, ma già da questi rapidi accenni è semplice comprendere il lungo lavoro di ricerca e di scrittura dietro una sceneggiatura solida e fresca, brillante come non mai nelle scene ad Asgard, più fiacca invece nella parte ambientata sulla Terra. In tutto, però, si respira la grandiosità epica della tragedia shakespeariana, cavallo di battaglia di Kenneth Branagh, che si conferma essere il regista perfetto per questo film, l'unico capace di donare ai personaggi la regalità divina di cui necessitavano. Così Hopkins non recita Odino, ma diviene Odino, creando un personaggio vero e profondo come non se ne vedevano da tempo sul grande schermo. Una recitazione fatta più di piccolissimi gesti che di parole, un carisma che riempie gli occhi e il cuore. Forse altrettanto superbo il lavoro fatto da Tom Hiddleston per il suo Loki, a cui dona diversi gradi di ambiguità, tanto da non riuscire a capire quando divenga malvagio, tenendolo in costante bilico tra bene e male fino all'ultimissima scena. Sicuramente il villan migliore mai visto in un Marvel movie.

Se invece consideriamo il resto del cast purtroppo non troviamo nessun altro attore all'altezza del ruolo affidatogli e questo è il vero grande difetto del film. Natalie Portman è sempre splendida, ma non dona a Jane Foster lo spessore necessario, colpa soprattutto della totale assenza di alchimia con Chris Hemsworth che al cinema è praticamente un esordiente e lo fa vedere. Il suo Thor è altalenante, indeciso, con una recitazione a volte brillante, altre piatta e scialba. Il disastro, però, viene sugli altri asgardiani: a parte un Heimdall (Idris Elba) totalmente diverso dal fumetto ma che riesce a essere regale e di presenza, i tre guerrieri sono praticamente macchiette senza arte né parte, con un Hogun (Tadanobu Asano) diventato una specie di samurai giapponese! Lady Sif (Jaimie Alexander) ha fascino, ma ha tre scene contate in tutta la pellicola. E come non notare l'assenza di Balder o di Donald Blake, ridotto a un ex fidanzato di Jane Foster?

Un peccato, perché tutta la veste grafica è perfetta e soprattutto funziona l'idea di calcare la mano sulla natura aliena dei nove regni. Ecco dunque che Asgard non è solo una città, ma un intero pianeta dall'architettura sospesa tra minimalismo e ruvidezza scandinava, tra colori brillanti e metallici ed elaborate rune, in un connubio armonico che è una festa per lo sguardo. Anche Jotunheim è un pianeta ghiacciato che ricorda alcuni satelliti presenti nel nostro sistema solare, mentre Bifrost altro non è che un raggio da teletrasporto figlio dei primi film di fantascienza. Una soluzione che farà inorridire qualcuno, ma che è in linea con la natura aliena degli asgardiani suggerita più volte nello stesso Marvel Universe, in particolare nella saga di Terra X.

La pellicola per essere goduta appieno, però, va vista con alcune raccomandazioni tecniche: prima di tutto va privilegiata la versione originale in inglese, se non fosse solo per le citazioni da Shakespeare di cui è infarcita e per il lavoro attento e puntuale compiuto sul linguaggio. E poi tocca spendere qualcosa in più per ammirare lo spettacolo di un 3D meraviglioso, che dona una profondità raramente vista al cinema alle panoramiche aeree di Asgard. Un'ultima nota: nella pellicola non mancano i riferimenti al resto del Marvel Universe e c'è la presenza di un altro vendicatore annunciato e di un altro personaggio non confermato e su cui circolano molte indiscrezioni. E non manca nemmeno la classica scena dopo i titoli di coda che non deluderà gli appassionati. L'ansia per l'arrivo al cinema degli Avengers sale alle stelle.

Thor: conferenza stampa

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Sicurezza rafforzata, controlli al metal detector, moduli da firmare, divieto assoluto di riprese video. No, non stavo cercando di fare un viaggio negli Stati Uniti, ma di accedere alla blindatissima proiezione stampa dell'attesissimo film di Thor, in uscita in Italia il 27 aprile in ben 600 copie. Purtroppo è ancora presto per poterlo recensire, c'è l'embargo fino al 18 aprile, ma l'atmosfera del film è perfettamente intuibile già nel guardare il materiale disponibile e, soprattutto, ascoltando cosa hanno risposto ai giornalisti il regista-mito Kenneth Branagh e il protagonista della pellicola, il quasi esordiente Chris Hemsworth.

In conferenza non sono mancati i momenti di ilarità, a partire da una collega che ha chiamato il Dio del Tuono 'Tord', fino alle congratulazioni che Kenneth Branagh, dopo un paio di domande molto nerd, ha rivolto al sottoscritto per "l'ottima preparazione fumettistica". Lo riporto soltanto per condividere questo complimento con tutti i lettori di Comicus, molti ben più esperti di me, che tramite il forum o gli articoli hanno contribuito ad accrescere le mie conoscenze. Qui di seguito trovate le domande e le risposte così come date in conferenza e vi sfido a riconoscere quelle che ho posto io, assicurandovi che sarà semplicissimo. Come vedrete Branagh non ha dato una risposta precisa, ma ha indirettamente confermato, secondo il sottoscritto, la presenza nel film di un personaggio non annunciato.

Giornalista: Anche se è un film di supereroi questo è di sicuro anche un film di Branagh, non è così? E Chris, come è stato lavorare con Kenneth?

Branagh: Di certo è una pellicola ricca di passione, soprattutto quando me l'hanno offerta ho percepito che potesse essere un grande spettacolo pieno di azione con una storia coinvolgente, ma volevamo fare in modo che crescesse a partire dalla performance di questo giovane attore insieme con altri grandi attori. Lo scopo era raccontare la storia in maniera vera e onesta ma anche leggera per trovare l'equilibrio giusto. La Marvel mi ha detto che questo era il loro progetto più difficile.

Chris Hemsworth: È stata una grande opportunità poter avere questo ruolo: quando si è bambini si corre per i corridoi pensando di essere un supereroe e non si pensa di poterlo essere davvero un giorno. Lavorare con Anthony Hopkins ed essere diretto da Kenneth Branagh è stato meraviglioso, ho potuto esplorare tante opportunità, è stata la migliore formazione al mestiere.

G: Senza la prospettiva del film Avengers, questo Thor sarebbe stato diverso?

B: Domanda molto interessante, ma a dire la verità non mi sono posto il problema, sapevo dall'inizio che sarebbe stato così. Sono sempre stato appassionato dell'Universo Marvel, mi piace come i vari personaggi interagiscono. Per questo sono stato contento quando dalla Marvel mi hanno chiesto dei cambiamenti per collegare il film con gli altri, ma non si è mai trattato di un’imposizione. Però, ad esempio, non ho avuto niente a che fare con il merchandising o altre declinazioni del film, era un progetto già grande in sé. La cosa straordinaria della Marvel è che si tratta di un piccolo studio come dimensioni ma pieno di persone che si definiscono nerd e non pensano ai soldi ma solo alla passione e all'entusiasmo per il loro lavoro.

H: Io comincerò a girare Avengers appena finito il tour delle conferenze stampa per Thor, sarà emozionante poter rifare lo stesso personaggio con un cast diverso e lo scontro-incontro tra i vari personaggi sarà bellissimo.

G: A quale incarnazione di Thor si è maggiormente ispirato? Kirby, Simonson o altri?

B: In realtà avendo tra gli sceneggiatori Straczynski ci sono delle scene ispirate al suo recente ciclo di storie. Tra l'altro c'è anche un suo cammeo nel film: è il primo che cerca di sollevare il martello. Siamo tutti consapevoli del lavoro di Jack Kirby che ha dato vita all’essenza del personaggio e ho lavorato con Stan Lee per il processo creativo. Nel regno degli dei, Asgard, ci sono influenze di architettura contemporanea, pitture rupestre, c’è una chiesa di legno norvegese e navi vichinghe, ma è un nuovo universo cinematografico che fonde il meglio della tradizione con il meglio della modernità.

G: Perché avete usato il 3D che riduce la luminosità?

B: Quando alla Marvel mi hanno parlato del 3D io ho subito chiesto "Lo volete solo per i soldi?", perché il pubblico lo capisce, è intelligente. Invece mi hanno risposto che vogliono investire molto in questo processo per dimostrare come si possa usare questa tecnologia per esaltare la narrazione e amplificare le emozioni. Io sono orgoglioso anche del 2D ma nel 3D c’è una maggiore profondità e quindi vi consiglio di vedere il film in un cinema IMAX.

G: Perché non si è ritagliato un ruolo nella pellicola?

B: Non ho potuto recitare, ero già troppo preso dalla regia! Mi piace anche vedere altri recitare e questa volta ho dovuto scegliere in quale ruolo stare.

G: Chris, come si supera la timidezza di recitare vicino ad Anthony Hopkins?

H: Ero certo che mi sarei intimidito di fronte a una leggenda come lui, ma appena l’ho conosciuto ho notato che era una persona che metteva a proprio agio, che dimostra la sua passione per il cinema e vuole trasmettere il suo entusiasmo. Nei momenti di pausa, poi, era anche divertente e riusciva a creare un ambiente eccezionale. Osservalo mentre lavora è stato un sogno.

G: Come avete lavorato con il linguaggio? L'aver inserito dei dialoghi forbiti è stata una scelta precisa?

B: Nei comics originali, Stan Lee ha detto che i discorsi degli asgardiani dovevano sempre trovarsi a metà tra William Shakespeare e la Bibbia. Io volevo mantenere un linguaggio alto e colto all’interno del regno degli dei, ma volevo che si avvertisse la naturalezza. Questa è stata una bella sfida per tutti gli attori. Chris, ad esempio, ha dovuto andare a lezione di Shakespeare per esercitarsi: proprio nelle opere del grande drammaturgo inglese è la lingua che più di tutto definisce i personaggi.

G: Le storie recenti di Thor sono ambientate a Broxton, in Oklahoma: perché avete spostato l'ambientazione in New Mexico?

B: Beh, prima di tutto in New Mexico ci sono ottimi sgravi fiscali! Soprattutto, però, sapevo che quello ero lo Stato con il grande firmamento, c’erano grandi spazi aperti e volevo che la città di Jane Foster fosse nel cuore del deserto con un look anni Cinquanta per colori, tensione, risonanza visiva. Volevo far sì che tutte le emozioni potessero relazionarsi con lo spazio. E poi il New Mexico è la sede della maggior parte delle attività UFO, è lo stato di Roswell.

G: Nel film abbiamo visto una scena con Occhio di Falco, ma già nel trailer si vede la scena in cui il Thor senza poteri combatte con un grosso uomo di colore che riesce a contrastare l'impeto dei suoi pugni solo con il proprio corpo. Possiamo dire che si tratta di Luke Cage?

B: Mi piaceva l'idea di inserire Occhio di Falco, ma per il resto non posso dire nulla, dobbiamo essere cauti sugli Avengers, perché altrimenti dovremmo eliminarvi, dovrete aspettare per saperne di più.

G: Chris, il tuo Thor sembra un mix di quello classico e di quello dell'Universo Ultimate: a quale ti sei ispirato di più?

H: Ho letto molti comics, ma mi sono attenuto alla sceneggiatura che era già scritta molto prima che io cominciassi a documentarmi. L'obiettivo era avere un Thor realistico, io non ho pensato a uno specifico ciclo a cui ispirarmi.

G: Thor è arrogante, ma è fondamentalmente buono, ma chi sono i buoni oggi?

B: La cosa interessante dei film di supereroi è che innescano il dibattito su chi sono i supereroi. In una storia come questa dobbiamo cercare di porre in rilievo l’eroismo personale, come si reagisce quando si perdono cose importanti come famiglia e potere e si deve maturare. Da questo nasce l’eroismo, prima verso se stessi e poi va riconosciuto negli altri. Ce n’è bisogno nei leader politici, in chi governa, ci vuole più idealismo, come con l’elezione di Barak Obama, o con Nelson Mandela, tutti noi vogliamo vedere queste persone che sono come noi ma riescono a risolvere i problemi come noi vogliamo.

G: Chris, qual è stato il tuo rapporto con Natalie Portman?

B: Così come ho lavorato con gli altri ho dovuto studiato molto e sono stato disponibile a imparare. Natalie Portman è stata meravigliosa, aveva appena finito Black Swan, e qui la preparazione è stata del tutto diversa e abbiamo lavorato bene insieme.

G: Perché non c'è la dicotomia uomo-dio del fumetto, con la presenza di Donald Blake?

B: All’inizio abbiamo lavorato sui punti deboli del fumetto per renderli punti di forza nel film. Questa dicotomia c'è, ma è racchiusa in un unico personaggio, così si vede un dio che ama il caffè o va in un negozio di animali a chiedere un cavallo. Abbiamo mostrato un dio che è una persona come noi e abbiamo privilegiato una storia con una struttura classica, per poi arricchirla man mano di elementi di originalità.

G: Nel film si avvertono alcune citazioni, ad esempio al film Il cielo sopra Berlino e al western. Ma allora cosa vede Kenneth Branagh quando va al cinema?

B: Sì, abbiamo tratto ispirazione da tante fonti, Metropolis, 2001 Odissea nello spazio, ma abbiamo mantenuto lo spirito di Thor cercando di creare un universo guerriero variegato. Io vado almeno due volte alla settimana al cinema a vedere tanti tipi diversi di film e mi piace andare il primo week-end di programmazione. Voglio essere in grandi sale con tante persone per poter condividere le emozioni. Questo è il bello del cinema.

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