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Francesco Amorosino

Francesco Amorosino

Iron Man 3: Recensione

iron-man-3-international-posterAlieni, dei e dimensioni parallele, un bel salto di qualità per un “uomo di latta” abituato ad avere a che fare con metallo ed elettricità, un’esperienza al limite della morte che lascia le sue cicatrici, se non nel fisico almeno nella mente. Tony Stark, uno degli eroi che da sempre lotta con i demoni della sua stessa personalità si ritrova così in preda agli attacchi di panico e alla difficoltà di ritornare alla vita “normale”, fatta di lavoro e di relazioni, dopo la dura battaglia di New York combattuta a fianco degli Avengers. Per fortuna una nuova potentissima minaccia si presenta sulla scena e per Iron Man arriva il momento di sfogarsi con i pugni e i raggi repulsori.

Il terzo film del vendicatore di ferro, in uscita nei cinema italiani il 24 aprile, è tutto incentrato sulla lotta con se stessi, su minacce che ritornano dal passato o che vengono costruite solo per essere sconfitte, è fatto di conflitti che partono prima di tutto dalle persone e non dall’esterno. Niente cattivi spaziali, ma solo umani pieni di debolezze e di paure. Ed è proprio la paura uno dei temi centrali, soprattutto quella per il terrorismo, una sorta di uomo nero che può insidiarsi in ogni angolo buio, perfino nella porta accanto. La sceneggiatura riesce a equilibrare la simpatia di un Tony Stark sfrenato come sempre con la gravità della sua situazione e le scene di azione con riflessioni non banali sul ruolo dei media, sulla politica, la lotta al terrore e perfino il problema dei reduci e del disturbo da stress post traumatico.

In questo contesto si inserisce il Mandarino, uno degli storici nemici dell’Iron Man dei fumetti, superbamente interpretato da Sir Ben Kingsley, e rivisto in una chiave inedita e molto interessante nel film. Anche se il personaggio si discosta da quello a cui la carta ci aveva abituato, nell’universo cinematografico ne viene esaltato il legame con il mondo della comunicazione, facendone una sorta di parodia di Bin Laden, feroce e spaventosa, ma al tempo stesso ricca di una vena di humor amaro, capace di far ridere e riflettere sulle paranoie americane. A lui si affianca come antagonista l’Aim di Aldrich Killian (Guy Pearce), che sta sperimentando un’invenzione della dottoressa Maya Hansen (Rebecca Hall) chiamata Extremis, capace di opporre la potenza del fuoco al metallo delle armature di Iron Man.

Il bravo e irresistibile Robert Downey Jr. non tradisce il suo iconico Tony Stark ed è supportato da un cast eccellente, con una Pepper Potts (Gwyneth Paltrow) sempre meno “principessa da salvare” e più donna d’azione, e un James “Rhodey” Rhodes (Don Cheadle) che sveste i panni di War Machine per diventare Iron Patriot, mettendo in evidenza la cattiva retorica dietro il nazionalismo americano. Nel cast torna anche Jon Favreau che lascia la regia al bravo Shane Black per concentrarsi solo sul ruolo di Happy Hogan. Ottime le scene d’azione, con alcune sequenze spettacolari e ben costruite, e si rivela vincente l’idea di mettere più in evidenza l’uomo che la macchina, con un Iron Man che spesso combatte solo con pochi pezzi o con armature mal funzionanti. A tratti sembra di trovarsi in un film di spionaggio con il lato supereroico che rimane sullo sfondo.

Ottimo l’aspetto visivo, con un 3D senza sbavature, ricco di dettagli e accompagnato da movimenti molto fluidi. Buona anche la colonna sonora, anche se non memorabile, a parte il brano di apertura, una vera sorpresa, soprattutto per gli italiani cresciuti negli anni Novanta. L’unico difetto di questo capitolo sta in una sceneggiatura che seppure capace di ribaltare la situazione con colpi di scena inaspettati, presenta un eroe che ha a che fare con un mistero di cui il pubblico conosce già la soluzione o sequenze in cui la naturale conclusione è ovvia. Questo unito a una trama che presenta alcuni agganci poco scorrevoli potrebbe far storcere il naso a qualche spettatore, ma non si tratta di ombre capaci di oscurare il valore di un film che mantiene altissimo il livello del franchise più fortunato dei Marvel Studios.

Ultima nota per l’immancabile scena aggiuntiva: questa volta non ci sono anticipazioni  scottanti su film futuri ma solo un piccolo siparietto comico insieme a un vecchio collega vendicatore. Divertente, ma niente di speciale: dopo essersi sorbiti i titoli di coda più lunghi della storia di Hollywood ci si poteva aspettare qualcosa di più.

Ralph Spaccatutto: Recensione

Ralph_Spaccatutto_posterPac-Man e Sonic, Street Fighter e SuperMario, funghi magici ed esoscheletri: c’è tutto il meglio del mondo dei videogame in Ralph Spaccatutto, il nuovo film Disney in uscita il 20 dicembre e presentato in anteprima al Festival del Film di Roma. Un lungometraggio attesissimo proprio per il suo immaginario rivoluzionario, capace per una volta di portare il mondo dei gamer sul grande schermo.
Il protagonista è Ralph, il cattivo di un videogioco arcade il cui compito è distruggere le case dei Belpostiani che poi toccherà al player grazie a Felix Aggiustatutto riparare. Il bestione, però, si è stancato del suo ruolo e per una volta vuole essere lui quello osannato alla fine del gioco e vincere una medaglia. Così decide di lasciare il suo mondo e trovare il modo di tornarvi da vincitore. Parte così un viaggio in altri universi, dallo sparatutto Hero’s Duty al caramelloso Sugar Rush, dove la presenza di una forza della natura come Ralph rischia di distruggere l’interno giocoverso… ma anche di salvarlo da una minaccia sopita.

Il film parte subito alla grande, mostrandoci una sala di smistamento nei vari giochi che ricorda altre visioni cinematografiche (basti pensare a Monsters & Co.), dove si muovono personaggi di tantissimi mondi diversi. Spassosa la riunione dei cattivi dove Ralph si reca in cerca di consigli con, tra gli altri, l’alieno di Pac-Man o Bowser di SuperMario. Tutto il film, però, è intriso di riferimenti al mondo video ludico, sia nei movimenti dei personaggi che nelle atmosfere e soprattutto in una colonna sonora spettacolare, con brani che mischiano musica elettronica e sapori arcade con pezzi pop. Molto buono anche il 3D che si sposa perfettamente con questo tipo di film, e in generale l’intera grafica del lungometraggio è molto curata e si concede effetti speciali originali e di forte impatto visivo. Anche qui le strizzate d’occhio nerd non mancano.

Un’ottima prova per la Disney, che questa volta riesce a portare sullo schermo un prodotto veramente adatto a tutte le età, che di certo divertirà moltissimo i bambini, ma soprattutto farà impazzire tutti quelli cresciuti con i giochi citati. Proprio i trenta-quarantenni sono il target a cui è idealmente dedicato il film, in linea con l’onda di revival che sta toccando tutti i settori, dalla musica all’abbigliamento fino, ovviamente, al cinema. I miti del passato ritornano per farci dimenticare lo squallore del presente. E noi non possiamo fare altro che riabbracciarli.

Prima di Ralph un’altra bella sorpresa è stata Paperman, cortometraggio anche questo molto atteso, diretto da John Khars in 2D e realizzato in stereoscopia, ma soprattutto in bianco e nero e... rosso. Fin dall’inizio si avverte la forza di una storia poetica e lieve con tratti ironici che si moltiplicano man mano, cedendo il passo alla fantasia e a quel tocco di magia che fa sì che l’incontro tra due persone diventi un grande amore. Nella sua semplicità il corto parla del grigiore della nostra vita e quanto basti un colpo di vento e un tocco di colore a cambiare tutto, facendoci scoprire che le persone accanto a noi possono diventare la cosa più importante. Grazie agli ottimi disegni accompagnati da una musica splendida, Paperman sembrerebbe perfetto in un nuovo Fantasia, se solo la Disney si decidesse a concedercene un altro. Oppure no, meglio tenerlo così da solo, tanto regge molto meglio di film più lunghi e blasonati.

Madagascar 3: Ricercati in Europa: recensione

Madagascar-3Se avete adorato “Mi piace se ti muovi” preparatevi a raddoppiare il ritmo con “Afro Circus”, tormentone musicale dell’ultimo capitolo della fortunata serie di Madagascar. Proprio il circo, con i suoi colori sgargianti, le acrobazie spericolate e l’allegria è il nodo centrale di questa nuova avventura del leone Alex, della zebra Marty, dell’ippopotamo Gloria e della giraffa Melman. Li avevamo lasciati a scoprire le loro origini in Africa, ma il richiamo della civiltà è troppo forte, così i quattro grazie all’inesauribile talento creativo dei pinguini (forse i migliori comprimari mai visti di recente sullo schermo) si ritrovano catapultati nel Vecchio Continente.

In Europa ha inizio un tour folle che parte da Monte Carlo, dove il variopinto gruppo prima sbanca il casinò (anche grazie all’aiuto dei pollici opponibili delle scimmie) e poi si guadagna un nemico cattivo come non mai: il capitano Chantel DuBois, rossa accalappiacani che sembra avere i poteri dell’Uomo Ragno, tanta è la sua forza e agilità, oltre che le movenze da aracnide. Infine gli animali newyorchesi si infiltrano in uno sgangherato circo itinerante, gestito da umani, ma le cui star sono animali di tutte le specie capitanati dalla tigre russa Vitaly, dal leone marino italiano Stefano e dall’italiana femmina di giaguaro Gia. Ovviamente i quattro aggiungeranno la carica di energia che li contraddistingue, portando lo scompiglio nelle tappe a Roma e a Londra, trasformando un polveroso show in un vero Afro Circus. E non mancherà una improbabile storia d’amore per il re Julian.

Questo nuovo film è un tripudio di colori, con un ritmo frenetico e una musica irresistibile, la cui carica visiva è accresciuta da un 3D usato più per stupire con effetti speciali che per donare maggiore profondità alle scene. L’inizio rapidissimo e surreale è la chiave per entrare in una storia tutta devota alla spettacolarità degli scenari e alla forza espressiva dei vari momenti a discapito della veridicità. Basti citare l’esempio di Roma, ritratta sempre alla luce del tramonto, vuota e romantica, salvo poi avere un treno merci che passa per il centro. E poi i trucchi del circo sono tanto impossibili da risultare quasi magia, fino a diventare una sorta di videoclip pop. In effetti anche la musica gioca un ruolo chiave, con un’ampia sequenza di scene arricchite con hit come “Fireworks” di Katy Perry.

Se all’approfondimento dei quattro personaggi principali è dedicato meno spazio che nelle pellicole precedenti (ma tutti avranno i loro momenti di gloria), molto interessanti sono le aggiunte circensi al cast, capaci di donare una dimensione tutta nuova e imprevista alla storia. Deliziosa e malefica la cattiva, quasi una Crudelia DeMon di nuova generazione. Un ottimo terzo capitolo, dunque, che piace soltanto, però, se ci si lascia trasportare dal ritmo senza farsi distrarre dal sovvertimento delle leggi della fisica, e da alcune implicazioni poco chiare, come quella di utilizzare gli animali nel circo, ma che finalmente chiarisce il grande mistero: meglio vivere in uno zoo o cercare la libertà? In fondo bisogna ricordare che l’importante in Madagascar è divertirsi e ballare e allora… muovi!

Brave: Recensione

Quanto coraggio ci vuole per seguire il proprio cuore, combattere per i sogni e le cose che amiamo, sfidando il nostro stesso destino e la famiglia che vuole imporcelo a tutti i costi? È la domanda a cui deve rispondere Merida, giovane principessa scozzese dalla chioma rossa tanto fluente e ribelle quanto la ragazza stessa, più amante dell’arco e delle cavalcate nelle Highland che dei doveri regali. La protagonista del nuovo film Pixar, Brave (Ribelle – The Brave, nella versione italiana), incarna l’eterno conflitto tra genitori e figli, tra responsabilità, esperienza e tradizione da una parte ed entusiasmo, giovinezza e voglia di cambiare il mondo dall’altra. E non c’è mai un chiaro vincitore in questa battaglia, perché è sempre dal confronto e dalla mediazione di queste due forze che nasce l’equilibrio necessario alla via, proprio come Merida dovrà imparare.

Per la giovane il grande ostacolo è rappresentato da Elinor, sua madre, la regina che aspira alla perfezione, capace di camminare impassibile in mezzo a una battaglia e portare la pace con la sua sola presenza carismatica. La donna prepara la figlia a succederle un giorno, a conquistare tutte quelle virtù necessarie a governare a fianco di un re, eppure Merida sembra aver preso di più dall’impetuoso padre Fergus ed è affascinata dalle storie di lotte contro orsi giganti raccontate dal genitore. È quando viene deciso che la ragazza deve prendere marito che la situazione esplode e la ribellione della giovane cresce tanto da spingerla nel cuore della foresta, seguendo un percorso di fuochi fatui fino a giungere da una strega che può cambiare il suo destino.

Brave è di certo molto diverso da tutti gli altri film della Pixar: per il suo tredicesimo lungometraggio la famosa casa di produzione associata alla Disney ha seguito una linea più affine proprio allo stile di Walt, piuttosto che ai mondi fantasmagorici creati nelle precedenti esperienze. Il tutto, però, sempre raccontato nello stile profondo e denso di emozioni a cui siamo stati abituati, senza rinunciare a un tocco di humor mai esagerato, affidato ad alcuni memorabili personaggi, come la strega o i tre fratellini gemelli di Merida. La sfida, dunque, era quella di ambientare la storia in un mondo a grandezza di umani, realistico e magico al tempo stesso, in cui ogni particolare doveva essere credibile anche oltre gli standard precedenti di altissima qualità. Da questo punto di vista Brave è un’operazione assolutamente riuscita: l’atmosfera e i paesaggi scozzesi sono talmente veri da poterli quasi toccare e l’aver usato il 3D amplifica alcuni passaggi (anche se non sembra necessario per apprezzare il film).

La cura con cui sono stati animati, ad esempio, i capelli ricci di Merida o il pelo degli animali, oltre che la complessità di vestiti e scenari, è evidente, talmente intensa da ingannare l’occhio e da far dimenticare di star guardando un cartone animato. Grande perizia è stata adottata anche per le movenze e la recitazione dei personaggi che, anche grazie a un doppiaggio originale ricco e coinvolgente, riescono a risultare familiari e di grande impatto. Il film è sostenuto anche da una buona colonna sonora con diverse canzoni molto disneyane (due delle quali cantate nella versione italiana dalla rossa Noemi).

La storia si caratterizza per una trama tutta legata ai rapporti familiari a cui viene aggiunto un pizzico di magia e avventura, ma non è epica come quella di altri film Pixar (basti pensare al viaggio oceanico di Alla ricerca di Nemo o i mondi di Mosters & Co. e Wall-E). Soprattutto a differenza degli esempi citati, non costruisce un immaginario nuovo, non amplifica la nostra visione della realtà portandoci nella vita segreta dei giocattoli o nella profondità del mare, ma va a innestarsi in una tradizione di fiabe e magia con ambientazione scozzese (o inglese in generale) già consolidata. Anche se in parte ciò era presente già in Ratatouille o negli Incredibili, qui se ne avverte maggiormente il peso.

Il grande merito, però, è senz’altro essere riusciti a costruire una trama solida e densa con pochi elementi, puntando tutto su un cammino di crescita che non riguarda solo la figlia, ma anche la madre. In questo senso, però, seppure può essere letto in maniera universale, la pellicola sembra avere un appeal molto più forte su un pubblico femminile che su uno maschile, a differenza degli altri film Pixar, che invece raggiungevano un target eterogeneo ma con una strizzata d’occhio ai ragazzi. Brave, dunque, sembra più un ottimo classico Disney moderno che un nuovo capolavoro Pixar e forse quest’anno vedremo una sorta di sorpasso, con la casa madre che sta per lanciare l’attesissimo Ralph Spaccatutto, film originale e sorprendente sulle gesta di un cattivo di un videogame arcade.

Una commento a margine merita il cortometraggio La Luna che apre la pellicola, diretto dall’italiano Enrico Casarosa, in forza da anni alla Pixar. Purtroppo il breve cartone animato non convince fino in fondo nonostante la sua forte carica di poesia e un riferimento, sembrerebbe, al Piccolo Principe, e si conclude in maniera alquanto blanda, senza quella forte carica di pathos e ironia che caratterizza i corti Pixar. Non aiuta di certo la somiglianza delle stelle coprotagoniste del corto con quelle di famosi biscotti italiani, traducendo il tutto in una sorta di involontaria pubblicità. Speriamo che Casarosa possa dare ancora di più e diventare, chissà, il primo regista italiano di un lungometraggio Pixar.

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