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Carlo Alberto Montori

Carlo Alberto Montori

Animation History #6: Bambi

  • Pubblicato in Focus

Ispirato al romanzo "Bambi, la vita di un capriolo" di Felix Salten, Bambi avrebbe dovuto essere il secondo lungometraggio animato realizzato dagli studios Disney, subito dopo Biancaneve e i sette nani. Si trattava però di un progetto troppo ambizioso, diverso da ogni prodotto d'animazione realizzato all'epoca: la storia è seria con risvolti tragici, non compare alcun personaggio umano e gli animali pur se dotati di parola non hanno un aspetto antropomorfo. L'animazione di tutta la fauna richiese una massiccia documentazione necessaria per raggiungere una buona resa tecnica per l'anatomia animale, tale da rendere credibili i movimenti realistici dei personaggi; per questa operazione gli studi di Burbank si trasformarono in uno zoo, con animali di diverse specie ospitati per poter essere studiati approfonditamente dagli animatori. Un processo simile è stato affrontato anche per l'ambientazione, con frequenti visite nella foresta del Maine da parte degli addetti ai fondali nel corso delle differenti stagioni che compaiono nel film.
La fase di ricerca durò più del previsto e alcune modifiche alla struttura del film prolungarono la lavorazione, così la Disney fu costretta a produrre due lungometraggi dal budget ridotto (Il Drago Riluttante e Dumbo) necessari anche per incrementare i fondi necessari per portare a termine Bambi.

Il risultato finale è un film inusuale, simile ad alcune tra le ultime Silly Simphonies più interessate a rappresentare un ambiente (come Il vecchio mulino, corto vincitore di un Oscar) piuttosto che raccontare una storia o mostrare una sequenza di gag: i 70 minuti di durata si possono facilmente dividere in quadri, ognuno dei quali è impegnato a descrivere la natura attraverso le stagioni dell'anno, o particolari eventi che possono sconvolgere l'ecosistema boschivo (ad esempio l'arrivo dei cacciatori o un incendio). Probabilmente è proprio l'aspetto tecnico quello meglio riuscito, con fondali così dettagliati da sembrare reali e alcuni momenti suggestivi che si lasciano osservare piacevolmente senza la necessità di un effettivo avanzamento della trama, come le delicate e poetiche immagini che passano sullo schermo sulle note di "Pioggerella d'aprile".
I periodi dell'anno si avvicendano parallelamente alle stagioni della vita del cerbiatto protagonista, dalla nascita alla scoperta dell'amore, fino alla formazione di una propria famiglia che chiuderà il cerchio della vita (ripreso in modo simile ventidue anni dopo ne Il Re Leone). La crescita di Bambi è rappresentata alla perfezione soprattutto grazie alla meticolosità con cui ne viene rispettata l'anatomia, nei primi goffi tentativi di camminare del neonato cerbiatto così come nell'eleganza che acquista una volta diventato un cervo adulto; è evidente il maggiore impegno da parte degli animatori nel tentativo di realizzare un prodotto nettamente superiore agli altri cortometraggi in cui comparivano animali, evidentemente motivati dall'ambizione che spingeva il progetto.

Aver ricercato un maggiore realismo causa però una limitata espressività, soprattutto in combinazione coi pochi dialoghi che lasciano spazio alla musica e ai silenzi: in passato altri personaggi Disney avevano comunque trasmesso le proprie emozioni nonostante il loro mutismo, come Cucciolo in Biancaneve e i sette nani, il Gatto di Pinocchio o Topolino ne L'apprendista stregone, ma ognuno di loro compensava le parole con una gestualità accentuata. Dumbo aveva una recitazione più moderata, ma poteva disporre del topo Timoteo come spalla; allo stesso modo i momenti migliori di Bambi sono quelli in cui il cerbiatto interagisce con i suoi amici Tamburino e Fiore, risultando meno efficace in solitaria.

La scena più potente del film, che ha sconvolto intere generazioni di spettatori e rimane impressa nella memoria di chiunque lo veda, è di certo la morte della madre di Bambi per mano del cacciatore; la tragedia risulta ancor più evocativa per la scelta di lasciarla fuori dall'inquadratura, con solo il suono dello sparo, la musica e lo spaesamento del cucciolo a descrivere l'evento. Inizialmente l'uccisione da parte del cacciatore era ben visibile, in una prima versione mostrando il proiettile che colpisce alla testa la mamma di Bambi e in una seconda versione col cerbiatto che torna sui suoi passi trovando impronte insanguinate, ma durante le proiezioni di prova gli spettatori rimanevano shockati dalla visione; optando per una morte fuori campo si è attenuata la violenza della scena, mantenendo però un'angosciante messaggio di morte comunicato con imponenza dal principe della foresta. L'impatto della sequenza è forte nel trasmettere un messaggio contrario alla caccia, all'epoca non così frequente come oggi; l'uomo non pensava al dolore provocato agli animali e il fatto che i personaggi non siano stati "umanizzati" ma siano simili alla realtà restituisce una situazione vicina a quella che avviene durante una vera battuta di caccia, senza falsare la percezione dei fatti come sarebbe invece avvenuto con animali antropomorfi.
La foresta viene invasa dai cani inferociti, non veri e propri animali ma un'estensione del padrone umano, minaccia per l'intero habitat; nonostante la distruzione che gli uomini sono in grado di spargere, la natura ha la sua rivalsa su di essi, prima con un incendio che dimostra un potere nettamente superiore, poi con il messaggio finale di speranza veicolato dai figli di Bambi, la cui nascita ci dimostra che la vita continua.

Animation History #5: Dumbo

  • Pubblicato in Focus

La produzione di Biancaneve e i sette nani, Pinocchio e Fantasia fu caratterizzata da un incredibile dispiego di energie, ma gli ultimi due film non avevano ottenuto un successo proporzionale agli sforzi effettuati; per questo fu messo in cantiere Dumbo, un lungometraggio d'animazione pensato per essere realizzato rapidamente e con un ridotto investimento economico. L'obiettivo di efficienza si può riscontrare nella minore presenza di dettagli rispetto ai film precedenti e nella durata di soli 64 minuti che ne fa uno dei film animati più brevi della Disney.
Nel 1933 era stata realizzata una Silly Symphony con un'idea di partenza simile: Elmer l'elefante aveva come protagonista un cucciolo di pachiderma (caratterizzato però da un aspetto antropomorfo, così come gli altri animali) preso in giro dai suoi compagni di giochi per via della sua buffa proboscide, la quale però nel finale serve per salvare la sua amata da un incendio, gesto che gli permette di riscattarsi e ottenere l'apprezzamento generale. Dumbo condivide con questo cortometraggio, oltre alla specie animale del protagonista, l'emarginazione esercitata per una caratteristica fisica e la successiva rivalsa proprio grazie ad essa; Dumbo però a differenza di Elmer non viene discriminato per la proboscide ma per le sue due gigantesche orecchie uniche al mondo, perciò è deriso non solo dagli altri animali e dagli umani ma anche dai suoi stessi simili. Gli unici ad accettare la sua deformità sono la madre, disposta a difendere il figlio dalle ingiurie al punto da farsi rinchiudere dal padrone del circo, e il topo Timoteo che si rivela un ottimo amico per Dumbo, ribaltamento dello stereotipo che vede i topi come nemesi degli elefanti.

Nonostante la semplicità e l'aspetto adorabile del protagonista, Dumbo è un film dolceamaro che contrappone elementi di leggerezza a momenti estremamente drammatici: l'elemento drammatico principale è la costante sensazione di solitudine dell'elefantino, che si concretizza nell'emarginazione da parte delle elefantesse, negli sfottò dei ragazzini in visita e nella separazione dalla madre, con la quale Dumbo può entrare in contatto durante la sua prigionia solamente attraverso la proboscide, sulle note della struggente "Bimbo Mio". Anche lo stesso nome del protagonista è un simbolo dei continui insulti ricevuti: nella versione originale il suo vero nome è Jumbo, deformato dai suoi detrattori in Dumbo (da "dumb", stupido), gioco di parole completamente assente nella versione italiana.
Lo stesso ambiente circense, che si presenta come un contesto solare fin dalle prime scene a bordo del vivace treno Casimiro, cela in realtà crudeltà e lati più oscuri: l'apparente leggerezza è infatti smorzata dopo pochi minuti dall'inizio con il sollevamento del tendone, al quale sono costretti a collaborare gli stessi animali in piena notte, sotto la pioggia battente (con in sottofondo "Song of the roustabouts", canzone inspiegabilmente non tradotta nella versione italiana). Anche i clown, personaggi buffi nel design, sono tanto divertenti in scena quanto dietro le quinte rivelano la loro natura cinica e sadica nei confronti delle bestie; lo stesso numero in cui è coinvolto Dumbo si conclude col suo tuffo in una vasca piena di poltiglia, così da renderlo ancor più ridicolo pubblicamente.

La sequenza più interessante di tutto il film è la canzone "La parata degli elefanti rosa", psichedelico sogno fatto sotto l'effetto  dell'alcool nel quale un esercito di pachidermi si avvicenda sullo schermo senza alcuna soluzione di continuità, giocando con l'immagine e gli spazi deformandosi e muovendosi in modo del tutto surreale. Si tratta di uno dei momenti più originali della produzione Disney dell'epoca, con una voglia di sperimentare paragonabile a quella di Fantasia, ma inserita all'interno della struttura narrativa della trama.
La mattina dopo la sbronza Dumbo e Timoteo si risvegliano su un albero, dove incontrano un gruppo di corvi che si esibiscono nell'altro memorabile brano del film, "Giammai gli elefanti volar"; dopo l'iniziale scetticismo gli uccelli fanno scoprire all'elefante la sua straordinaria abilità che lo rende diverso da tutti gli altri esemplari della sua razza, consentendogli un riscatto direttamente durante la sua grande esibizione.
Nonostante la durata relativamente breve all'interno del film, la scena con i cinque corvi è tra le più memorabili, grazie al clima più disteso rispetto all'opprimente ambientazione circense; questa leggerezza è in buona parte merito dell'interpretazione accattivante dei corvi con stilizzati atteggiamenti e parlate afro-americane (molto più evidente ascoltando le voci originali, anche se le canzoni nostrane eseguite del Quartetto Cetra sono di certo all'altezza), che negli anni hanno attirato accuse razziste. Nei personaggi principali si può invece osservare un tentativo di replicare le caratterizzazione più valide dei precedenti film Disney: Dumbo è muto come Cucciolo, mentre Timoteo è una spalla del protagonista che ricorda il Grillo Parlante sia per l'atteggiamento che per il ruolo da consigliere.

Tutte le energie degli artisti al lavoro su Dumbo non potendo ricercare la cura per il particolare, per via del budget ridotto e lo scarso tempo a disposizione, si concentrarono sui sentimenti così da accattivarsi l'empatia del pubblico. La storia è semplice e lineare (tratta da un raccontino di poche righe), costruita in modo da focalizzarsi sul protagonista e sulla sua espressività; la sensibilità del film è racchiusa anche nel colori con cui sono stati realizzati i fondali ad acquarello, tecnica che non sarà più utilizzata in un film Disney per altri sessant'anni. Il film fu diretto da Ben Sharpsteen, regista di diversi cortometraggi animati, che dopo il successo di Dumbo si dedicò a numerosi documentari naturalistici distribuiti sempre dalla Disney.
Dumbo uscì nei cinema nel 1941, in mezzo a sforzi produttivi del calibro di Pinocchio, Fantasia e Bambi; ironicamente però, quello che era un film pianificato in fretta per rimediare al flop di Fantasia dalle dimensioni piuttosto ridotte ottenne un risultato economico più soddisfacente dei suoi fratelli artisticamente più ambiziosi. Walt Disney si risentì dal risultato ottenuto da quello che considerava solamente un prodotto minore, ma col tempo lo utilizzò come strumento di valutazione per comprendere cosa il pubblico apprezzava, così da poterlo riproporre nei suoi lavori successivi.

Recensione: Rapunzel - L'intreccio della torre

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RapunzelPosterIl progetto Rapunzel nacque nel 2001 e da allora la produzione ha attraversato numerose modifiche e riscritture, di pari passo ai molteplici cambiamenti subiti dai Disney Studios nel corso del decennio: nato come un grande musical che avrebbe dovuto ricalcare il modello dei Classici degli anni '90, il film si trasformò in una fiaba dissacrante nella quale due teenager moderni venivano risucchiati all'interno del racconto originale sostituendosi ai protagonisti, e successivamente fu presa in considerazione anche una versione gotica.
L'aspetto più importante della pellicola fin dalle sue prime fasi si sapeva sarebbe stata la tecnica d'animazione: i principali animatori Disney (capeggiati da Glen Keane, che ha dovuto abbandonare la regia di Rapunzel per problemi di salute) erano al lavoro sul film, per ideare un nuovo stile d'animazione che avrebbe dovuto fondere i disegni 2D e i modelli 3D in un look mai visto prima, a metà tra l'effetto dei pastelli e un dipinto. I primi esperimenti davano risultati visivamente sbalorditivi, ma il costo di sviluppo di questa tecnica innovativa era eccessivo, perciò la produzione impose che Rapunzel si trasformasse in una pellicola in CG per non incidere ulteriormente su un budget già elevato a causa della lunghezza della lavorazione.

Rapunzel è una bambina nata con una bionda chioma, dotata del potere magico di guarire le persone; questa caratteristica attira l'attenzione della strega Gothel, che rapisce la piccola così da ottenere l'eterna giovinezza, spacciandosi per sua madre e tenendola prigioniera in una torre per impedire che possa scoprire la sua vera identità. Qui la ragazza crescerà senza alcun contatto col mondo esterno, fino a quando il ladruncolo Flynn Rider non si offre di accompagnarla nell'esplorazione per poter mettere le mani su un prezioso gioiello; la meta del loro cammino è la cittadella di cui Rapunzel (a sua insaputa) è principessa, che ogni anno celebra l'anniversario della sua nascita liberando in cielo un gran numero di lanterne luminose, spettacolo che la giovane ha sempre osservato dalla sua finestra e a cui vuole assistere da vicino almeno una volta nella vita.
Durante l'avventura, sarà Rapunzel la componente attiva della coppia, uno dei personaggi femminili Disney che compie il processo di crescita più grande: nella filmografia Disney erano già presenti donne in grado di prendere in pugno la situazione (Mulan, Pocahontas), ma in questo caso la protagonista parte dallo status della più classica "principessa da salvare" per poi maturare lungo il viaggio. Questo percorso, assieme all'entusiasmo e all'iniziale ingenuità di Rapunzel, ne fanno un personaggio femminile adorabile che può concorrere tranquillamente al titolo di migliore principessa Disney; Flynn ai fini della storia è poco più di una guardia del corpo/principe azzurro, ma la sua attitudine furfantesca mescolata con l'ironia e il sarcasmo che utilizza appena possibile, lo rendono una spalla maschile ideale per Rapunzel, pronto ad essere "redento" dalla sua natura di malvivente in maniera abbastanza prevedibile ma non per questo fastidiosa.
Come da tradizione Disneyana, ai protagonisti umani sono affiancati animali che aumentano la vena comica del film: il camaleonte Pascal è una presenza un po' gratuita ma riesce comunque a strappare qualche risata, mentre il cavallo Maximus gode di una caratterizzazione eccellente rubando in più di un'occasione la scena con la sua espressività. Anche i comprimari godono una particolare cura nella realizzazione, formando un cast variegato e di qualità: si va dall'allegra combriccola di malviventi che popola la locanda del Bell'Anatroccolo con i loro bizzarri sogni, ai genitori di Rapunzel che pur senza mai parlare riescono ad esprimere in una sola inquadratura le loro emozioni in modo intenso.

Come detto nell'introduzione, l'innovativa tecnica d'animazione che avrebbe dovuto fondere 2D e 3D in modo completamente nuovo fu accantonata per motivi economici, ma gli animatori hanno comunque saputo trasportare in CG la sensibilità e la fluidità dell'animazione tradizionale come nessun altro film aveva saputo fare finora. Grazie a piccoli stratagemmi l'aspetto degli umani è meno artificioso del risultato ottenuto in precedenza dai colleghi, che avevano dovuto fare i conti con la relativa inesperienza nei confronti del computer sbilanciandosi o verso una stilizzazione cartoonesca o verso un realismo difficilmente soddisfacente.
Ma Rapunzel no. Rapunzel riesce a trasmettere lo stesso calore dei Classici Disney degli anni '90, con personaggi in grado di sostenere una recitazione altrettanto minuziosa.
Lo stesso sapore della tradizione si respira anche nella vicenda, la più classica delle fiabe. La vicenda di partenza renderebbe complessa una narrazione moderna, per via di un villain poco adatto a uno scontro diretto o a un confronto finale, essendo una figura oppressiva e una minaccia incombente come lo erano state la strega di Biancaneve e i sette nani o la matrigna di Cenerentola. Madre Gothel è una figura complessa, potrebbe quasi apparire come una genitrice troppo protettiva, se non fosse per il mantenere Rapunzel in prigionia per fini egoistici; nonostante questo il personaggio è stato inquadrato alla perfezione e, anche se può non risaltare quanto i protagonisti, dalla sua resa dipende buona parte della riuscita della pellicola.
Una fiaba tradizionale quindi, ma raccontata al pubblico del 2010 con uno stile decisamente moderno: questa volta la Disney non raggiunge il risultato inserendo anacronismi (com'era avvenuto in Aladdin e Hercules), ma punta su una narrazione rapida sostenuta da un montaggio che infonde un ritmo incalzante alla trama.

Se proprio dobbiamo trovare un elemento leggermente sottotono in Rapunzel potrebbero essere le canzoni: il ritorno di Alan Menken, compositore delle più memorabili colonne sonore Disney, aveva fatto crescere le aspettative a riguardo e il risultato non. Questa volta Menken, solito inserire sonorità completamente avulse dal contesto della storia (raggae nelle profondità marine, gospel nella mitologia greca, ecc.) opta per uno stile pop/rock vicino agli standard moderni, che si rivela adattissimo alla pellicola ma forse meno incisivo dei suoi lavori passati: ogni canzone è funzionale ad accompagnare le scene che passano sullo schermo e le sensazioni dei personaggi in quel particolare momento della vicenda, ma non ci sono brani cosi orecchiabili da avere la potenzialità per diventare un tormentone che risuona in testa anche una volta usciti dalla sala.Rapunzel3
Detto questo, non si può però non lodare la freschezza di "Aspettando una nuova vita" che introduce la protagonista o la buffa "Ho un sogno anch'io" intonata dai furfanti alla taverna; esperimenti molto più originali sono la melodrammatica "Resta con Me" di Madre Gothel e il brano strumentale "La Danza del Reame" che sottolinea una coreografia corale da grande musical.
Dal punto di vista sonoro vale la pena soffermarsi anche sul doppiaggio italiano: Giampaolo Morelli è simpatico nei panni di Flynn Rider anche se in alcuni passaggi risulta leggermente fuori luogo, mentre la performance vocale di Laura Chiatti è sorprendente, in grado di esprimere al meglio l'entusiasmo della protagonista.

Dopo tanti anni possiamo quindi dire di aver assistito a una classica fiaba disneyana, dopo il tentativo apprezzabile (ma riuscito a metà) de La Principessa e il Ranocchio; il flop di quest'ultimo film aveva spaventato la Disney, che in patria ha cambiato il titolo in Tangled per non evidenziare il fatto di avere una protagonista femminile, e ha realizzato trailer scanzonati che puntavano soprattutto sull'elemento comico cercando di nascondere la componente fiabesca e musicale di Rapunzel.
Evidentemente però il pubblico non si è stancato delle "solite fiabe Disney" se ben raccontate, dato che i risultati al botteghino sono entusiasmanti in tutto il mondo, in grado di coprire con i soli incassi cinematografici il mastodontico budget stanziato nel corso della produzione decennale; potrebbe essere un segnale positivo, forse in grado di far risorgere un progetto come Snow Queen accantonato negli scorsi mesi proprio per la natura da "film di principesse".
Nel corso della trama ci sono alcuni momenti (uno in particolare) nei quali la vicenda sembra possa prendere una piega drammatica, e nonostante i personaggi siano adorabili verrebbe quasi da sperare che la Disney si liberi dalla gabbia del lieto fine forzato di cui a volte viene accusata; in fondo, negli ultimi 12 mesi abbiamo visto ne La principessa e il ranocchio e in Dragon Trainer finali dolceamari che si rivelavano comunque adatti a un pubblico infantile.
Però dopo qualche secondo di dubbio, il lieto fine (specie se realizzato con un'idea intrigante come in questo caso) risulta la risoluzione più naturale; lasciamo alla Pixar la sperimentazione, con lungometraggi animati per buona parte privi di dialogo oppure con protagonisti ottuagenari, e accettiamo che la Disney sa ancora fare happy ending in grado di regalarci un sorriso e una sensazione di serenità interiore, come avveniva quando da bambini si usciva dal cinema con gli occhi che ancora brillavano per la meraviglia.

Lanny & Wayne: Operazione Babbo Natale

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L'anno scorso vi avevamo parlato del primo mediometraggio in CG realizzato dalla Disney, il natalizio Lanny & Wayne: Missione Natale trasmesso in prima serata anche in Italia su Rai 2 (dove sarà replicato questo pomeriggio alle 17:10).

Il successo e i commenti positivi raccolti dall'opera hanno convinto la Disney a realizzarne un sequel: Lanny & Wayne: Operazione Babbo Natale è un corto di 7 minuti realizzato dagli stessi autori del mediometraggio, trasmesso il 7 dicembre negli USA. Questa volta la coppia di elfi sarà reclutata dalla moglie di Babbo Natale, che chiederà loro di rubare un particolare oggetto da sotto il naso del marito...

Lanny & Wayne: Operazione Babbo Natale raggiungerà domani, 25 dicembre, anche gli schermi italiani: sarà infatti trasmesso su Rai 2 nella fascia preserale, alle ore 20.20.

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