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Animation History #5: Dumbo

La produzione di Biancaneve e i sette nani, Pinocchio e Fantasia fu caratterizzata da un incredibile dispiego di energie, ma gli ultimi due film non avevano ottenuto un successo proporzionale agli sforzi effettuati; per questo fu messo in cantiere Dumbo, un lungometraggio d'animazione pensato per essere realizzato rapidamente e con un ridotto investimento economico. L'obiettivo di efficienza si può riscontrare nella minore presenza di dettagli rispetto ai film precedenti e nella durata di soli 64 minuti che ne fa uno dei film animati più brevi della Disney.
Nel 1933 era stata realizzata una Silly Symphony con un'idea di partenza simile: Elmer l'elefante aveva come protagonista un cucciolo di pachiderma (caratterizzato però da un aspetto antropomorfo, così come gli altri animali) preso in giro dai suoi compagni di giochi per via della sua buffa proboscide, la quale però nel finale serve per salvare la sua amata da un incendio, gesto che gli permette di riscattarsi e ottenere l'apprezzamento generale. Dumbo condivide con questo cortometraggio, oltre alla specie animale del protagonista, l'emarginazione esercitata per una caratteristica fisica e la successiva rivalsa proprio grazie ad essa; Dumbo però a differenza di Elmer non viene discriminato per la proboscide ma per le sue due gigantesche orecchie uniche al mondo, perciò è deriso non solo dagli altri animali e dagli umani ma anche dai suoi stessi simili. Gli unici ad accettare la sua deformità sono la madre, disposta a difendere il figlio dalle ingiurie al punto da farsi rinchiudere dal padrone del circo, e il topo Timoteo che si rivela un ottimo amico per Dumbo, ribaltamento dello stereotipo che vede i topi come nemesi degli elefanti.

Nonostante la semplicità e l'aspetto adorabile del protagonista, Dumbo è un film dolceamaro che contrappone elementi di leggerezza a momenti estremamente drammatici: l'elemento drammatico principale è la costante sensazione di solitudine dell'elefantino, che si concretizza nell'emarginazione da parte delle elefantesse, negli sfottò dei ragazzini in visita e nella separazione dalla madre, con la quale Dumbo può entrare in contatto durante la sua prigionia solamente attraverso la proboscide, sulle note della struggente "Bimbo Mio". Anche lo stesso nome del protagonista è un simbolo dei continui insulti ricevuti: nella versione originale il suo vero nome è Jumbo, deformato dai suoi detrattori in Dumbo (da "dumb", stupido), gioco di parole completamente assente nella versione italiana.
Lo stesso ambiente circense, che si presenta come un contesto solare fin dalle prime scene a bordo del vivace treno Casimiro, cela in realtà crudeltà e lati più oscuri: l'apparente leggerezza è infatti smorzata dopo pochi minuti dall'inizio con il sollevamento del tendone, al quale sono costretti a collaborare gli stessi animali in piena notte, sotto la pioggia battente (con in sottofondo "Song of the roustabouts", canzone inspiegabilmente non tradotta nella versione italiana). Anche i clown, personaggi buffi nel design, sono tanto divertenti in scena quanto dietro le quinte rivelano la loro natura cinica e sadica nei confronti delle bestie; lo stesso numero in cui è coinvolto Dumbo si conclude col suo tuffo in una vasca piena di poltiglia, così da renderlo ancor più ridicolo pubblicamente.

La sequenza più interessante di tutto il film è la canzone "La parata degli elefanti rosa", psichedelico sogno fatto sotto l'effetto  dell'alcool nel quale un esercito di pachidermi si avvicenda sullo schermo senza alcuna soluzione di continuità, giocando con l'immagine e gli spazi deformandosi e muovendosi in modo del tutto surreale. Si tratta di uno dei momenti più originali della produzione Disney dell'epoca, con una voglia di sperimentare paragonabile a quella di Fantasia, ma inserita all'interno della struttura narrativa della trama.
La mattina dopo la sbronza Dumbo e Timoteo si risvegliano su un albero, dove incontrano un gruppo di corvi che si esibiscono nell'altro memorabile brano del film, "Giammai gli elefanti volar"; dopo l'iniziale scetticismo gli uccelli fanno scoprire all'elefante la sua straordinaria abilità che lo rende diverso da tutti gli altri esemplari della sua razza, consentendogli un riscatto direttamente durante la sua grande esibizione.
Nonostante la durata relativamente breve all'interno del film, la scena con i cinque corvi è tra le più memorabili, grazie al clima più disteso rispetto all'opprimente ambientazione circense; questa leggerezza è in buona parte merito dell'interpretazione accattivante dei corvi con stilizzati atteggiamenti e parlate afro-americane (molto più evidente ascoltando le voci originali, anche se le canzoni nostrane eseguite del Quartetto Cetra sono di certo all'altezza), che negli anni hanno attirato accuse razziste. Nei personaggi principali si può invece osservare un tentativo di replicare le caratterizzazione più valide dei precedenti film Disney: Dumbo è muto come Cucciolo, mentre Timoteo è una spalla del protagonista che ricorda il Grillo Parlante sia per l'atteggiamento che per il ruolo da consigliere.

Tutte le energie degli artisti al lavoro su Dumbo non potendo ricercare la cura per il particolare, per via del budget ridotto e lo scarso tempo a disposizione, si concentrarono sui sentimenti così da accattivarsi l'empatia del pubblico. La storia è semplice e lineare (tratta da un raccontino di poche righe), costruita in modo da focalizzarsi sul protagonista e sulla sua espressività; la sensibilità del film è racchiusa anche nel colori con cui sono stati realizzati i fondali ad acquarello, tecnica che non sarà più utilizzata in un film Disney per altri sessant'anni. Il film fu diretto da Ben Sharpsteen, regista di diversi cortometraggi animati, che dopo il successo di Dumbo si dedicò a numerosi documentari naturalistici distribuiti sempre dalla Disney.
Dumbo uscì nei cinema nel 1941, in mezzo a sforzi produttivi del calibro di Pinocchio, Fantasia e Bambi; ironicamente però, quello che era un film pianificato in fretta per rimediare al flop di Fantasia dalle dimensioni piuttosto ridotte ottenne un risultato economico più soddisfacente dei suoi fratelli artisticamente più ambiziosi. Walt Disney si risentì dal risultato ottenuto da quello che considerava solamente un prodotto minore, ma col tempo lo utilizzò come strumento di valutazione per comprendere cosa il pubblico apprezzava, così da poterlo riproporre nei suoi lavori successivi.

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