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Disponibile per Saldapress Decorum 1 di Jonathan Hickman e Mike Huddleston

  • Pubblicato in News

Esce oggi 27 gennaio per Saldapress Decorum, la nuova saga sci-fi Image Comics scritta da Jonathan Hickman e disegnata da Mike Huddleston. Di seguito trovate tutti i dettagli e una ricca anteprima del volume.

"Dopo eoni di guerra, colonizzazione e terraformazione, l’universo è un caos di consorzi, alleanze e civiltà. I colonizzatori dei nuovi pianeti devono vedersela con armi epidemiche, malviventi, pirati e feroci leggi di civiltà in cui progresso e tare ancestrali si calpestano a vicenda. Tutto è in movimento, tutto si compra e si vende, in un costante ribilanciamento dell’equilibrio cosmico.

La storia, già grande successo di critica e di pubblico negli USA, ha come protagonista Imogen Smith-Morley, spietata e raffinatissima assassina che si muove in un mondo criminale di cui non solo domina il codice, ma di cui sta anche riscrivendo le regole.

Una storia declinata al femminile in cui la sorellanza, la maternità e la natura stessa della vita vengono esplorate in modo stratificato e mai banale. 

Jonathan Hickman, autore del rilancio dell’universo mutante in Marvel Comics, firma con DECORUM una saga sci-fi che, tra dialoghi sferzanti e giochi di rimando al presente, aggiunge un altro tassello alla sua straordinaria riflessione su evoluzione e civilizzazione.

A dare vita alla sceneggiatura di Hickman è il tratto eclettico e inconfondibile di Mike Huddleston.

Con DECORUM Huddleston disegna un universo fatto di contrasti sofisticati, che sembrano esplodere nella pagina e che accompagnano il lettore attraverso una trama articolata costruita con grande abilità.

Schede e infografiche, ormai segno distintivo del lavoro di Hickman e qui firmate dalla designer Sasha E. Head,

intervallano le tavole caleidoscopiche di Huddleston costruendo un modello narrativo contaminato, che ridefinisce i confini del fumetto attuale creando un oggetto-libro unico e una saga fantascientifica in continua espansione."

Decorum di Jonathan Hickman e Mike Huddleston è disponibile dal 27 gennaio nelle seguenti versioni:

     - edizione del volume 1 in versione regular (€ 19,90) e variant Exclusive (€29,90), entrambe con cover illustrate da Mike Huddleston.

La versione Exclusive è prodotta in edizione limitata e numerata (250 copie) con cofanetto slipcase che, oltre al volume, contiene 8 stampe con le copertine A e B dei primi quattro capitoli dell’edizione originale.
La versione variant Exclusive è disponibile esclusivamente sull’eshop di saldaPress.com.

     - Cofanetto slipcase in edizione limitata non numerata che contiene l’edizione variant di DECORUM VOL. 1 e l’edizione variant di DECORUM VOL. 2, entrambe con cover illustrate da Mike Huddleston (€50).
Disponibile fino a esaurimento scorte solo in fumetteria e sull’e-shop saldaPress.

L’uscita singola del volume 2 è prevista per marzo 2022."

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Adventureman Volume 1, recensione: il grande ritorno del pulp

Adventureman

Complice il gusto contemporaneo del revivial, del recupero citazionista, le letteratura pulp della prima decade del ‘900 sta vivendo un nuovo rinascimento. È giusto, comunque, sottolineare come un substrato pulp sia sempre rimasto – più o meno sottotono – nel fumetto di genere dalle sue origini, fino ad ora. Non stupisce, dunque, come Matt Fraction, Terry e Rachel Dodson scelgano di pescare a piene mani dal calderone di suggestioni che il genere pulp fornisce da quasi un secolo di vita. Gli autori, con Adventureman – sotto stessa ammissione di Fraction – recuperano l’immaginario costruito dal personaggio Doc Savage, nato sulle pagine di romanzi seriali pulp a partire dal 1933.
Il modello è dunque il racconto avventuroso e fantastico, in un ambiente, però, coevo ai lettori. Coordinate geografiche, tecnologie e setting sono quelli del nostro mondo, con l’aggiunta dell’intromissione supereroistica fantascientifica, spesso sovraccaricata, tipica del genere utilizzato come mood narrativo dagli autori.

Adventureman 1

La letteratura pulp, così come i fumetti dell’epoca, non è utilizzata come mero citazionismo, ma come vero e proprio motore dell’azione. Nella storia di Fraction e dei Dodson, Adventureman è un eroe letterario che, dalla sua torre art déco e con i suoi esagerati compagni, sventa minacce criminali, sovrannaturali o tecnologiche ed esplora luoghi lontani dalla civiltà. La sua ultima battaglia contro la sua nemesi, il Barone Bizzarre, è il centro dell’ultimo romanzo della saga dedicata alle sue gesta. Tommy, un ragazzino di New York è appassionato del personaggio e condivide questa passione con Claire, sua madre, avvenente libraria rimasta sorda a causa di un non precisato trauma. Ma ciò che pare essere oggetto di sole elucubrazioni letterarie, sembra avere radici profonde nella realtà. A cominciare da una torre art déco che si erge al centro della città e che solo Claire sembra poter vedere.

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Fraction, dunque, costruisce una storia sovraccarica di personaggi bizzarri, esagerati nei costumi, irrealisticamente tipizzati ma che, proprio per questo, colpiscono e affascinano il lettore. La scrittura emula con ironia la letteratura pulp e si mette al servizio di una storia che – ad ora, dato che è previsto un secondo volume – gioca costantemente sull’equilibrio tra narrazione supereroistica contemporanea e quella avventurosa di inizi Novecento. Indubbiamente, quello di Fraction è un compito difficile che riesce, fortunatamente, a portare a termine: recuperare modalità e suggestioni narrative vecchie di un quasi un secolo senza farne il verso o parodiarle, ma adattandole al gusto moderno.

In questo interviene, in maniera decisiva, la coppia dei Dodson che sia nel disegno che nei colori e nelle chine, amalgamano epoche e piani narrativi differenti che si incastrano nel dipanarsi del racconto. I disegni di Terry Dodson sono, chiaramente, una sicurezza: straordinari scorci arditi delle strade e dei palazzi di New York, articolate composizioni delle scene che strizzano l’occhio al cinema, figure poderose fortemente espressive e ben delineate anche nella loro esuberanza dei costumi o delle personalità.

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L’edizione presentata dalla Saldapress raccoglie i primi quattro albi della serie e lo fa con un edizione di lusso tipica dell'editore: un voluminoso cartonato con copertina in rilievo che racchiude anche degli extra di grande interesse che svelano la genesi del racconto e mostrano le bozze di lavorazione dei personaggi, piccole schede degli stessi e, persino, l’evoluzione grafica del logo.

L’avventura raccontata da Fraction e dai Dodson, scorre veloce alternando momenti leggeri ad altri carichi di azione, mistero e fantasy strizzano l’occhio alla fantascienza agé. E, come dovevano fare i lettori degli anni’30 appena chiuso l’ultimo numero della loro rivista pulp preferita, anche noi dovremmo aspettare per finire di leggere lo sviluppo del racconto. E lo faremo carichi di aspettative e spasmodica curiosità.

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Black Kiss Omnibus, recensione: quando l’orrore ha i capelli biondi

black kiss omnibus

Il mondo dell’arte, in tutte le sue declinazioni, ci ha fortunatamente sempre abituato che i “generi” sono solo uno strumento al servizio dell’artista: ricalcarne gli stilemi più o meno fedelmente è una scelta dettata dalla sensibilità e dalla sperimentazione dell’autore.
Black Kiss di Howard Chaykin è un noir, ma è anche un horror, un poliziesco, un fumetto dalle forti tinte erotiche. Anche se è vero che questi genere, spesso, vengono mescolati, il fumettista statunitense mette in piedi un’epopea complessa capace di destabilizzare il lettore man mano che la trama si sviluppa.

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Al centro della storia di Black Kiss c’è il triangolo composto dalla prostituta transessuale Dagmar, la sua amante Beverly e dal musicista jazz Cass Pollack e un filmato compromettente da recuperare a tutti i costi.
Proseguire oltre nella trama, rischierebbe di fare spoiler. Nonostante il volume 1 sia uscito nel 1988, l’edizione prestigiosa dell’omnibus proposto dalla Saldapress è perfetta per recuperare anche il volume 2 (del 2012) e lo speciale natalizio (2014) e venir scaraventati nel torbido mondo di Dagmar e Beverly.
Un mondo davvero torbido, fatto di sesso, ricatti, violenza, sangue e vendetta. Chaykin, da “giallista” navigato, fin dalla prima tavola inizia a seminare indizi che porteranno alle rivelazioni (non “rivelazione”) finali. Dopotutto, Black Kiss è una storia corale: le trame, non solo del trio protagonista ma anche dei personaggi collaterali, hanno un proprio sviluppo autonomo che riesce ad incastrarsi con quello degli altri, restituendo un affresco ricco ed elaborato in cui ogni consapevolezza del lettore viene disattesa.

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Indubbiamente i temi che trovano spazio in Black Kiss non sono per tutti: estremamente controverso all’epoca, rimane attuale anche ai giorni nostri. Chaykin – come molti autori a lui contemporanei – sceglie di scoperchiare il velo patinato della società anni’80, rivelando perversioni, tensioni sociali, atmosfere culturali underground che solo un medium come quello del fumetto poteva portare in superficie con forza. L‘autore è senza freni, libero di caricare la propria storia con immagini forti, d’impatto e senza fronzoli. Dopotutto, è la storia stessa di Black Kiss a richiedere immagini espliciti.

Il disegno di Chaykin non è da meno: sporco, spigoloso, l’autore sovraccarica le vignette di tratteggi e dettagli, le figure e gli ambienti di dense texture. I balloon diventano un forte elemento grafico che descrivono – anche con la loro sola presenza – la tavola. L’architettura stessa di quest’ultima non è mai banale, sempre elaborata e costruita come un puzzle visivo.
Ad un primo impatto, infatti, sembra quasi difficoltosa la lettura immediata del fumetto. Ma Black Kiss non è di certo un’opera da leggere velocemente come passatempo: è un mondo oscuro in cui si viene immersi lentamente e in cui ci si deve rimanere invischiati per poterne apprezzare la densità narrativa.

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L’intelligenza autoriale di Chaykin è, infatti, palese anche nella scelta della trama del secondo volume che, a dispetto del “2” nel titolo, funge da prequel. Lo stesso vale per lo speciale natalizio, un racconto di vendetta che si incastra nel racconto principale. Difatti, le spudorate avventure di Dagmar e Beverly, dopo il colpo di scena finale del primo volume, avevano bisogno di necessari approfondimenti e poterli avere tutti rinchiusi in un unico volume insieme al racconto principale, dà l’opportunità di fare un lungo viaggio nell’inferno costruito da Chaykin.
Un inferno camuffato con forme voluttuose e capelli biondo oro.

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Zero 1-4, recensione: la controversa e visionaria opera di Aleš Kot

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Quando si esprime un giudizio su una serie a fumetti, dopo averne letto solo pochi numeri, si corre sempre il rischio di indulgere troppo in complimenti per una premessa brillante, che poi può andare sprecata a causa di una risoluzione degli eventi non all’altezza, oppure di valutare negativamente un inizio macchinoso e un po’ banale, reso successivamente trascurabile da una trama ingegnosa e ricca di spunti. Zero, miniserie Image di 18 numeri, pubblicata negli USA tra il 2013 e il 2015 e proposta negli ultimi mesi in Italia da Saldapress in quattro volumi, rappresenta probabilmente l’esempio più lampante di questo potenziale pericolo. Siamo sicuri che fossero davvero in pochi a conoscere l’opera suddetta, prima che arrivasse sugli scaffali delle nostre fumetterie (e noi, beninteso, non siamo tra quei pochi), ma siamo altrettanto sicuri che gran parte di coloro che alla lettura dei primi capitoli si erano affrettati a manifestare un comprensibile entusiasmo, dopo essere giunti alla fine del quarto volume avrebbero volentieri preferito rivedere i loro commenti. Con questo non vogliamo dire che Zero sia un fumetto di second’ordine. Tutt’altro. Ma è facile immaginare che chi si aspettava di trovare delle risposte ai misteri e agli intrighi sapientemente fatti emergere nel corso della narrazione, si sia sentito un po’ confuso negli episodi finali (se non addirittura preso in giro). Di questo non possiamo incolpare la Image che, coerentemente alla sua linea editoriale, ha lasciato carta bianca all’autore, l’allora ventisettenne Aleš Kot, il quale, invece, forse inebriato da una fama raggiunta troppo repentinamente, o afflitto da turbamenti interiori non meglio specificati, deve essersi sentito autorizzato a “raggirare” il lettore, facendogli credere per tre quarti dell’opera di assistere a un’affascinante spy-story moderna, caratterizzata da frequenti derive fantascientifiche e sperimentalismi grafici di vario tipo, per poi rivelargli che, in realtà, tutto doveva essere considerato parte di un gigantesco gioco meta-narrativo, studiato al solo scopo di rendere omaggio (nella maniera più estrema possibile) alla figura di William S. Burroughs, uno dei massimi esponenti della Beat Generation e – a quanto pare – sorta di mentore dello scrittore ceco.

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Che Kot, fino a qualche anno fa, avesse la tendenza a lasciarsi andare a queste stravaganze lo avevamo già intuito con The Surface (miniserie del 2015 arrivata in Italia grazie a Eris Edizioni), dove il nostro Aleš, dopo aver immaginato un futuro prossimo in cui tre giovani hacker cercano di opporsi a un capitalismo rapace, che sta portando il mondo sull’orlo del precipizio, perde completamente di vista il senso della vicenda (comunque già piuttosto surreale fin dall’inizio), trasformando sé stesso in un personaggio della storia, la quale, improvvisamente, assume una funzione quasi catartica nei confronti dei traumi e delle insicurezze affrontate dall’autore nel corso della sua vita.

Chi non ha ancora letto Zero potrebbe sentirsi scoraggiato dalle nostre considerazioni e decidere di dedicarsi ad altro. Tuttavia, non ce la sentiamo di dare un suggerimento di questo tipo, perché i testi di Kot si mantengono sempre a un livello qualitativo molto elevato, sebbene, per non modificare l’essenza del racconto, debbano continuamente adattarsi alle differenze stilistiche dei tanti disegnatori chiamati a dare vita alla sua sceneggiatura. Proviamo, allora, a riassumere la trama senza rivelare troppo, pur dovendo necessariamente accennare al finale, in virtù del suo essere un’opera all’interno di un’altra opera. Una sorta di cut-up fumettistico, che celebra la tecnica stilistica con cui Burroughs caratterizzò quasi tutta la sua produzione letteraria.

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Protagonista della vicenda è Edward Zero, un’implacabile superspia capace di portare a termine ogni missione. Apparentemente impermeabile ai dubbi che i discutibili ordini dei suoi superiori potrebbero procurargli, non esita a compiere azioni sempre più efferate, convinto di avere il destino del mondo nelle sue mani. La storia principale viene a volte interrotta da lunghi salti nel passato, necessari a portare alla luce gli eventi che hanno determinato la personalità di Edward, i quali assieme a brevi visioni del futuro (decisamente più enigmatiche), contribuiscono a frammentare la narrazione nei momenti topici del racconto. Tutto ciò aiuta a mantenere altissima la tensione, alimentata di continuo dal ritmo adrenalinico imposto da Kot, attraverso una scrittura cruda e tagliente, unita a una violenza spesso sopra le righe, a cui fa da sfondo un contesto fortemente drammatico. Poi, quando tutte le sottotrame sembrano incastrarsi in un quadro univoco e coerente, ecco la sorpresa spiazzante: nel 1956, a Tangeri in Marocco, vediamo lo scrittore William S. Burroughs intento a battere a macchina il seguito della storia di Edward che, quindi, si rivela semplicemente un personaggio di un suo romanzo. A partire da questo momento, realtà e finzione cominciano a fondersi e a diventare sempre meno distinguibili, in un trip lisergico all’interno dell’animo umano, in cui viene evocato di frequente il Brutto Spirito, un parassita della coscienza capace di corrompere le persone, fino a spingerle a commettere gli atti più spregevoli. La stessa motivazione che Burroughs ha sempre addotto per giustificare il suo uxoricidio, ma che Kot allarga alle atrocità compiute dall’uomo in tutte le guerre a cui ha preso parte.

Con questo cambio di scenario, i dialoghi asciutti e concisi dei primi tre volumi mutano improvvisamente, diventando cerebrali e prolissi, ma ancora capaci di ammaliare chi decide di proseguire la lettura fino in fondo. Fondamentale, tuttavia, è l’apporto dei disegni, opera, come detto, di ben diciotto artisti diversi (uno per ogni numero della miniserie) e resi ancora più incisivi dall’ottimo lavoro dei coloristi, i quali oltre a sottolineare con tonalità fredde i passaggi più cupi o con un rosso dilagante quelli più violenti, diventano imprescindibili nell’allucinato e psichedelico finale. E così abbiamo le anatomie grottesche e distorte di Tradd Moore che riescono a coesistere con il tratto nervoso e graffiato del nostro Alberto Ponticelli o con i chiaroscuri di Michael Gaydos (giusto per citare i tre nomi più noti), in un’alternanza di momenti a intensità variabile, gestiti con grande maestria da una sceneggiatura quasi impeccabile.

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A chi consigliare la lettura di Zero, quindi? Sicuramente a tutti gli estimatori di Burroughs, ma pure a coloro che adorano le opere più visionarie di David Lynch, o a chi, di recente, ha apprezzato l’onirica e non meno immaginifica trasposizione televisiva del personaggio di David Haller (alias il mutante Legione) per mano di Noah Hawley. Anche i fan di Kot non dovrebbero farsi sfuggire i quattro volumi Saldapress, perché il talento dell’autore ceco (questo sì, indiscutibile) è evidente in ogni balloon. Coloro che, invece, si aspettano un action spionistico in piena regola è meglio che lascino perdere, o quantomeno che si fermino al terzo volume, pur sapendo che dovranno rinunciare a riannodare tutti i fili della trama (d’altra parte, anche leggendo gli ultimi capitoli, la situazione rimarrebbe sostanzialmente la stessa).

A guardare le sue opere più recenti, come la splendida Days of Hate o l’interessante (anche se un po’ sopravvalutata) Il Nuovo Mondo, Kot sembra aver finalmente capito che sconfinare di frequente in un intellettualismo un po’ fine a sé stesso serve solo a gonfiare il suo ego, ma non a mantenere vivo l’interesse dei lettori più mainstream, i quali, alla lunga, potrebbero non perdonargli più il suo narcisismo autoriale. Per le medesime ragioni, nonostante gli elogi a testi e disegni, Zero è da considerare la classica occasione mancata, a cui - non lo nascondiamo - è persino difficile attribuire una valutazione.

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