Il passato, si sa, non si può cambiare: ciò che diventa Storia viene scritto sui libri e rimane lì, nero su bianco, immutabile.
Una delle cose più belle della narrativa è, però, che questa regola non vale. Quando si scrive, si può far uso di quel revisionismo storico tanto temuto dai professori nelle scuole e nelle Università. Perché la fantasia non ha limiti, specialmente nel caso di uno come Chris Dingess, ideatore della recente serie Manifest Destiny, portata in Italia da Saldapress e pubblicata negli USA sotto il marchio Skybound (sotto etichetta della Image Comics) creata da Robert Kirkman, quello di The Walking Dead, per intenderci.
Dingess parte da un momento ben preciso della storia degli Stati Uniti d'America: siamo nei primi dell'800, e il Presidente Thomas Jefferson ha un chiaro scopo nel corso del suo mandato: espandere i confini della sua nazione, o meglio Confederazione di Stati, conquistando progressivamente, da est a ovest, milioni quadrati di lande selvagge. È il "destino manifesto" dell'uomo civilizzato: esplorare, osservare e conquistare (anche cancellando dalla storia intere popolazioni indigene).
Ma se le cose non fossero davvero andate come ci raccontano i libri e i documentari in TV? Se ci fosse qualcosa di misterioso, persino sovrannaturale, che ci è stato tenuto nascosto? Cosa nascondevano quei territori inesplorati prima dell'avvento del'"uomo bianco"?
Toccherà al Capitano York e al Capitano Lewis scoprirlo: saranno loro, infatti, a essere a capo della prima missione di esplorazione a capo del Corp of Discovery, un gruppo composto da soldati scelti, ma anche da ex galeotti senza nulla da perdere.
E qui torniamo per un attimo alla Storia: Lewis e Clark, personaggi esistiti davvero, fra il 1803 e il 1806, furono protagonista di una famosa esplorazione del Nord America, fondamentale per la nascita dell’America così come la conosciamo. La missione puntava a trovare un collegamento via terra, affinchè i commerci con la sponda che si affaccia sul Pacifico non obbligassero alla circumnavigazione dell’intero continente via mare. La missione riuscì anche grazie all’aiuto dei Nativi, in particolare della giovane Sacajawea, appartenente alla tribù Shoshone e moglie del trapper Charbonneau: la sua funzione fu quella di interprete ed intermediaria con le popolazioni indigene, foriere di vitali informazioni per il successo della spedizione.
Il diario dei due Capitani, intitolato We Proceeded On, divenne testimonianza scritta dello storico viaggio.
Manifest Destiny riprende gli stessi personaggi e tempistiche, ponendole però in un contesto assolutamente metafisico: le terre da scoprire si riveleranno, infatti, ben più misteriose di quanto atteso, poiché popolate da mostri e creature di ogni genere. Solo nella prima tappa, la compagnia si troverà ad affrontare un gruppo di giganteschi “minotauri” affamati di carne umana, oltre che un misterioso demone-pianta, il cui scopo è trasformare gli esseri umani in zombie “a fotosintesi clorofilliana”.
Il gruppo dovrà dunque fronteggiare minacce completamente inaspettate, e non tutti riusciranno a salvare la pelle.
La trama ha dunque tutti quegli elementi tipici della narrativa horror, con tempistiche dal taglio cinematografico. La narrazione ha infatti uno svolgimento molto veloce, quasi frenetico, e i colpi di scena non mancheranno. Il tutto viene alleggerito con uno humor dark e cinico che aleggia nei dialoghi fra i protagonisti, cosa che rende la lettura ancora più interessante, perchè in questo caso la Storia viene scritta da anti-eroi, mossi unicamente dalla promessa di successo e denaro.
Se Manifest Destiny è un fumetto riuscito il merito va anche all’artista che si occupa della parte grafica, Matthew Roberts. Il disegnatore, con il suo personalissimo stile, ibrido fra il realismo anatomico più dettagliato e una stilizzazione che ricorda l’arte a fumetti nordeuropea (anche grazie ai colori di Owen Gieni), conferisce grande potenza visiva e dinamismo ad ogni pagina di questo volume.
Manifest Destiny è la lettura più adatta a coloro che amano il fumetto d’azione a tinte horror, che questa volta riesce a trovare nuovi e originali sbocchi narrativi grazie a un’ambientazione esotica. La formula si dimostra vincente, perché da un lato ricicla elementi e situazioni già viste, ma, dall’altro, le pone in un contesto ancora vergine.
Chi pensava, duque, che non si potesse leggere un comic “storico” senza divertirsi, dovrà presto ricredersi.
In questo primo volume ci viene mostrata solo la prima tappa di un viaggio che ci auguriamo possa durare a lungo, perché la prima cosa che viene in mente al lettore, arrivato all’ultima pagine, è “Ancora!”.