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La Fortezza 1, recensione: l'inno d’amore al fantasy di Trondheim e Sfar

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Castelli, mostri, eroi muscolosi, lande desolate, città brulicanti di vita e anche combattimenti, magia, avventura, ma un solo genere: il fantasy. Il fantasy è oramai un genere che dalla lettura di nicchia, pulp e poco impegnata, ha conquistato il mondo multimediale espandendo il proprio pubblico e le proprie narrazioni.
Tra Signore degli Anelli e Game of Thrones, lo sword and sorcery è ormai un genere ben codificato, riconoscibile e amato. Ma, in fondo, lo è sempre stato. E Lewis Trondheim e Joann Sfar nel 1998 intraprendono, come in ogni buona storia fantasy, un lungo viaggio per un epica impresa: una mastodontica opera seriale composta da 300 albi (di cui, solo poco più di una trentina pubblicati fino ad ora).

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La Fortezza è un luogo “mitico”, meta sognante di guerrieri e avventuri che vogliono cimentarsi in combattimenti, accedere al suo tesoro e compiere imprese eroiche. Un grande organismo vivo e pulsante. Ma come ogni organismo, è la somma delle piccole parti che la fa funzionare.
Herbert è un’anatra tuttofare che deve sbrigare le numerose faccende, tra cui andare a chiamare un eroe che sta combattendo nei meandri della Fortezza, per conto del Guardiano. Peccato che la sua presenza diventa motivo di distrazione e l’eroe viene decapitato. Per sfuggire alle ire del Guardiano, l’unica soluzione che Herbert trova è impersonare egli stesso l’eroe.
Vestito con un’armatura visibilmente esagerata per il suo esile fisico, privato del cuore tenuto come “ostaggio” dal Guardiano, con una spada che non si sfodera se non lo ritiene degno, Herbert parte per l’avventura.

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Da tale incipit è evidente la volontà degli autori francesi nel voler parodiare, in uno sfacciato pegno d’amore verso il genere, lo sword and sorcery, ma in generale il fantasy nella sua accezione più riconoscibile. Lo stile grafico dei personaggi è volutamente caricaturale e macchiettistico, quello dei paesaggi e dello sfondo – come nella tradizione francese – ricco e dettagliato. Un ibrido felice, capace tanto di offrire una lettura veloce, quanto di soffermarsi sulle immagini. Il tutto al servizio di una lettura immediata che, in un volume dalla volontà ironica, è fondamentale all’affezione del lettore.
Ma tale affezione è data, in egual misura del disegno, dalla sceneggiatura che, concedendo meno spazio di quanto ci si aspetterebbe dal genere, attraverso dialoghi dal grande ritmo, immergono il lettore nelle situazioni improbabili in cui si ritrova Herbert con gli altri personaggi.
Chi è abituato alle opere da autore unico di Trondheim, riesce a cogliere la matrice distintiva dell’artista francese: una continua rielaborazione delle regole linguistiche e riscrittura della sintassi fumettistica. Chiaramente, un esercizio che non viene costantemente proposto, data la natura “narrativa” della storia de La Fortezza, ma che comunque emerge in maniera funzionale alla matrice parodica.

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La Fortezza – vol. 1: Zenit, edito da Bao Publishing in un prestigioso e corposo volume, raccoglie, dunque, i primi sei numeri della serie, avviando, per la prima volta in Italia, la pubblicazione integrale dello sword and sorcery targato Trondheim e Sfar. Un fondamentale non solo per gli ammiratori dei due fumettisti, ma anche del fantasy nella sua accezione più ampia. Dopotutto gli autori hanno creato un affresco che rispetta tutti i crismi del genere ma, per poterlo ammirare, bisogna usare la lente d’ingrandimento dell’ironia.

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Lucca Comics & Games: 5 ospiti in collaborazione con Bao Publishing

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Riceviamo e pubblichiamo:

"Continua a crescere il ventaglio di presenza nazionali e internazionali alla prossima edizione di Lucca Comics & Games

Con grande piacere siamo ad annunciare cinque ospiti che saranno presenti al festival in collaborazione con BAO Publishing
Torna Zerocalcare, vincitore del Premio Gran Guinigi nel 2012 e non solo. Il parterre si arricchisce con Cliff Chiang (direttamente dalla DC Comics), Ramón K. Pérez (più volte vincitore dell'Eisner Award) e i gemelli Gabriel Bá e Fábio Moon.
 

UNO SGUARDO SUGLI AUTORI - ZEROCALCARE

Zerocalcare è nato ad Arezzo nel 1983 ma vive da sempre a Rebibbia (Roma). Nel 2011 realizza il suo primo libro, “La profezia dell’armadillo”, ristampato da BAO Publishing in una versione a colori nel 2012 e in una versione Artist nel 2017. Nel 2018, il libro ha ispirato l’omonimo film, diretto da Emanuele Scaringi.

Tra i suoi libri, tutti editi da BAO Publishing, “Un polpo alla gola”, “Ogni maledetto lunedì su due”, “Dodici”, “Dimentica il mio nome”, “L’Elenco telefonico degli accolli”, “Kobane Calling”, “Macerie Prime” e “Macerie Prime – Sei mesi dopo”.

Dopo il Premio Gran Guinigi nel 2012 (“Miglior Fumetto breve” per “La profezia dell’armadillo”) e nel 2015 (“Premio Feltrinelli” per “Dimentica il mio nome”), torna a Lucca Comics & Games ancora una volta in collaborazione con BAO Publishing con il nuovo libro “La scuola di pizze in faccia del professor Calcare”.

Zerocalcare sarà ospite a Lucca Comics & Games in collaborazione con BAO Publishing.

UNO SGUARDO SUGLI AUTORI - CLIFF CHIANG 
 

Cliff Chiang, dopo la laurea a Harvard in Letteratura inglese e Arti visuali, inizia l’attività di illustratore e fumettista grazie alla collaborazione con “Disney Adventures magazine”, DC Comics (“Wonderwoman”, “Batman”) e Marvel (“Avengers”, “Ant-man”, “Ms. Marvel”).

I suoi lavori più noti sono “Human Target”, “Architecture & Morality”, “Green Arrow and Black Canary”, tutti usciti per la DC Comics.

Per BAO Publishing ha realizzato Cliff, il logo della casa editrice. Sempre per la stessa casa editrice, nel 2011 disegna “Greendale”, la trasposizione dell’omonimo album di Neil Young, e nel 2016, in coppia con Brian K. Vaughan, “Paper Girls”, serie candidata agli Eisner Awards come “Best new series”.

Cliff Chiang sarà ospite a Lucca Comics & Games in collaborazione con BAO Publishing.

UNO SGUARDO SUGLI AUTORI - RAMON K. PEREZ
 

Ramón K. Pérez è fumettista, illustratore e designer. Ha collaborato con le principali case editrici del mercato fumettistico statunitense e si è aggiudicato numerosi premi tra cui diversi Eisner e Harvey.

Tra i suoi clienti, oltre Marvel e DC Comics, anche Lucasarts, Hasbro e Cartoon Network.

Nel 2019, su testi della sceneggiatrice Aline Brosh Mckenna (“Il diavolo veste prada”), realizza l’adattamento in chiave moderna del classico della letteratura inglese “Jane Eyre”, dal titolo “Jane”, pubblicato in Italia da BAO Publishing.

Ramón K. Pérez sarà ospite a Lucca Comics & Games in collaborazione con BAO Publishing.

UNO SGUARDO SUGLI AUTORI - GABRIEL BÀ E FÀBIO MOON
 

Gabriel Bá e il fratello gemello Fábio Moon (1976) sono da sempre molto attivi sia nello scenario fumettistico underground sia nella collaborazione con le principali case editrici di comics americani.

Insieme realizzano numerosi graphic novel, tra cui “Daytripper” (Vertigo), “Due fratelli” e “Come parlare alle ragazze alle feste” (su testi di Neil Gaiman), questi ultimi entrambi pubblicati in Italia da BAO Publishing. Si alternano inoltre ai disegni della serie “Casanova”, edita dalla Image e scritta dallo sceneggiatore Matt Fraction.

Nel 2008 Gabriel Bá realizza i disegni di “The Umbrella Academy”, miniserie scritta da Gerard Way e vincitrice del premio Eisner Awards e Harvey Award come “Best New Series” e pubblicato in Italia da BAO dal 2017, da cui Netflix ha tatto l'omonima serie uscita nel 2018.

Gabriel Bá e Fábio Moon saranno ospiti a Lucca Comics & Games in collaborazione con BAO Publishing.

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La Lega degli Straordinari Gentlemen 1, recensione: la nuova edizione dell'opera di Alan Moore e Kevin O'Neill

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Chi ha detto che i supereroi sono tutti figli del ventesimo secolo? Alan Moore, che col concetto di supereroe ha qualche familiarità avendone ridefinito i canoni in uno dei suoi lavori più famosi, Watchmen, con La Lega degli Straordinari Gentleman (opera iniziata nel 1999) si diverte a giocare con i canoni del genere, mostrando come siano perfettamente adattabili ai personaggi provenienti dalla produzione letteraria del secolo precedente, catapultati in un fumetto all'insegna dell'azione, che esprime in ogni sua tavola un amore sincero verso la letteratura ottocentesca del Regno Unito.

In occasione dell'uscita dell'ultimo capitolo dell'opera, intitolato La Tempesta (ancora in corso di pubblicazione in lingua originale), Bao Publishing, attuale editore italiano della serie, ha deciso di fare un regalo a tutti i fan della signorina Murray e soci, ristampando l'intera saga nel formato dell'edizione originale, 17x26, in cartonati a cadenza quasi bimestrale inclusa di spin-off e capitoli aggiuntivi.

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La trama del primo volume più classica non potrebbe essere: nel 1898 il misterioso Mister Bond, emissario governativo dell'ancor più misterioso Mr. M, affida alla signorina Wilhelmina Murray, appena uscita da un matrimonio burrascoso con Jonathan Harker, (sì, stiamo proprio parlando del  personaggio di Dracula di Bram Stoker), il compito di riunire un gruppo di individui con abilità straordinarie, per sventare una minaccia alla sicurezza dell'impero britannico.
La signorina parte quindi alla ricerca dei suoi gentleman straordinari: Allan Quatermain, personaggio creato da H. R. Haggard, un tempo cacciatore bianco in Africa ai tempi del colonialismo, sempre schierato dalla parte delle tribù indigene, ora avventuriero in crisi a causa del consumo di oppio e alcool; Hawley Griffin, il cinico e furtivo uomo invisibile dei romanzi di H. G. Wells; il capitano Nemo, comandante del Nautilus, il sottomarino di Ventimila Leghe Sotto i Mari, principe indiano ribelle e diffidente nei confronti della Gran Bretagna, ma desideroso di lanciarsi in una nuova avventura; il mostruoso, fortissimo e pazzo Edward Hyde, che ben presto si scopre essere l'alter-ego del mite Dr. Henry Jekyll, proprio come nel racconto di Robert Louis Stevenson.
Questa lega di personaggi fuori dal comune (e l'uso del termine lega non può che essere un rimando al primo gruppo di supereroi apparso nei fumetti, la Justice League) dovrà recuperare un misterioso elemento, la cavorite, rubato al governo da un boss del crimine cinese di Londra, che vuole utilizzarlo per rovesciare l'impero a partire dalla sua capitale. O così pare: nel corso della storia, infatti, si scoprirà il vero burattinaio che tira le fila del crimine in Gran Bretagna (il nome non lo sveleremo, ma non dovrebbe essere difficile da indovinare, vista la galleria di personaggi citati finora) e i protagonisti dovranno rischiare la vita per salvare il proprio paese appianando le divergenze generate delle loro personalità così eccentriche e anteponendo l'interesse della gente comune al proprio, come solo i veri eroi sanno fare.

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Perché leggere La Lega degli straordinari Gentlemen? Perché è una storia scritta da Alan Moore, uno dei maggiori sceneggiatori di fumetti in vita, autore di una serie molto lunga di capolavori come Watchmen, V for Vendetta, From Hell, Batman: The Killing Joke. Inoltre, si tratta un racconto divertente e ironico, che fonde i tratti dell'avventura superoistica con quelli della spy-story fantapolitica. La narrazione è sapientemente dosata: la suspance per le scene di azione si alterna a quella per la scoperta del piano criminale finale e non manca una sottile critica al potere dello Stato, tratto ricorrente nelle opere dell'autore inglese, che qui serve a fare risaltare l'eroismo, più ingenuo, dei protagonisti, i quali grazie anche a questo contrasto, arrivano ad assomigliare davvero tanto ai supereroi del '900, di cui diventano di diritto gli antesignani.
In questo arazzo, in cui i dialoghi sono in linea con l'ambientazione ottocentesca, Moore inserisce, praticamente in ogni pagina, omaggi ai romanzi da cui sono tratti i personaggi (senza contare l'appendice al volume, che riporta un racconto in prosa di Allan Quatermain dal titolo Allan e il velo lacerato, raccontato in un finto formato dell'epoca, che testimonia l'enorme lavoro di ricerca letteraria fatto dall'autore) tanto che anche i lettori più appassionati avranno difficoltà a coglierli tutti. Ma saranno davvero felici di poter provare a farlo.

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Il disegnatore della serie è Kevin O'Neill, artista britannico vincitore nel 2003 dell'Eisner Award proprio per il suo lavoro sul secondo capitolo della Lega. Gli sforzi di O'Neill sono principalmente rivolti a rendere visivamente chiare le sequenze d'azione e verosimile l'ambientazione in stile vittoriano con venature steampunk; appare particolarmente adatto a raggiungere questo obiettivo il suo stile iper-dettagliato, che si nota, risaltando il citazionismo di Moore, negli sfondi delle vignette, in cui compare una Londra caotica e affollata, e nella resa dei costumi e delle armi usate dai vari protagonisti, ritratte col giusto mix tra tecnologia futurista e ancoraggio alla realtà dell'epoca. La scelta dello storytelling ricade, poi, sulla semplicità e non sulla sperimentazione: l'autore preferisce le vignette multiple per rendere al meglio le sequenze delle scene di azione e le splash-page per sottolineare i colpi di scena più spettacolari. Nulla di avveniristico dunque, ma tutto risulta di pregevolissima fattura.
Quanto alle figure, il tratto sinuoso di O'Neill sembra solo all'apparenza caricaturale: in realtà a colpire di più sono i suoi volti, che riescono a catturare sempre al meglio il variare delle espressioni dei personaggi a seguito del veloce mutare delle situazioni, grazie ad un attento studio del character design.

Non rimane quindi che lodare Bao Publishing per aver riproposto questa saga in una nuova veste (con un occhio anche ai collezionisti di più vecchia data: l'ultimo volume inedito, La Tempesta, uscirà infatti con una tiratura limitata nel formato della vecchia edizione, più piccolo di quella attuale, per permettere di completare la raccolta anche ai possessori dei vecchi albi) e consigliare la lettura anche a chi possa essere stato deluso dal quasi omonimo film del 2003 con Sean Connery: il fumetto è davvero tutt'altra cosa e sarà capace anche, ci scommettiamo, di invogliare a riscoprire qualche bel romanzo di fantascienza.

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Quantum Age, recensione: l'universo di Black Hammer continua ad espandersi

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Quando il primo ciclo di storie di Black Hammer venne raccolto in volume, Jeff Lemire disse di aver già elaborato una serie dalle caratteristiche simili fin dai suoi esordi come fumettista. Da grande appassionato di supereroi, infatti, avrebbe voluto cimentarsi il prima possibile con qualcosa che potesse unire le suggestioni degli albi che leggeva da bambino a tematiche adatte a un pubblico più adulto. All’epoca, però, dopo la pubblicazione di Essex County, il cartoonist canadese veniva considerato un astro nascente del fumetto indipendente, quindi ammettere di adorare gli eroi in calzamaglia avrebbe potuto nuocere alla sua reputazione.

Qualche anno dopo, tuttavia, Lemire si trovò a lavorare per Marvel e DC proprio su quei personaggi che, in precedenza, sembravano essergli preclusi. Ma, nonostante l’euforia di poter mettere, finalmente, il proprio talento a disposizione degli eroi della sua giovinezza, il dover continuamente rendere conto al supervisore di turno delle scelte da prendere per i vari personaggi o per la serie nel suo complesso, gli fece capire quanto fosse importante poter gestire creazioni tutte sue. Lemire non ha mai fatto mistero dell’insofferenza provata in questi ultimi anni per le imposizioni dettate dalla continuity o dalla storia pluridecennale di un determinato character, tanto da aver deciso di continuare a collaborare con Marvel e DC unicamente per il forte legame che, tuttora, lo unisce ai personaggi delle due major. Per lo stesso motivo, non si può negare che egli abbia reso al meglio solo quando gli è stato possibile far emergere la sua naturale tendenza all’autorialità: basti citare, per esempio, l’ottimo ciclo dedicato a Hawkeye, realizzato in coppia con Ramón Pérez. Altre volte, invece, le restrizioni a cui ha dovuto sottostare, hanno determinato risultati al di sotto delle aspettative (si veda, a questo proposito, la sua insoddisfacente gestione degli X-Men o, più di recente, la poco riuscita The Terrifics per la DC).

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Stanco di quei compromessi, qualche anno fa Lemire è finalmente riuscito a portare a termine l’opera che aveva ancora nel cassetto, potendo, così, mostrare a tutti la sua personale visione dei super-eroi (trovando nella Dark Horse il partner ideale per agire in completa libertà). Il resto, come si dice, è storia: non solo Black Hammer ha ottenuto un grande successo di pubblico e riconoscimenti di ogni tipo, ma il cartoonist canadese ha, anche, cominciato a espandere il suo universo narrativo, con tutta una serie di spin-off e collane parallele, tra cui un crossover intercompany con la DC (Black Hammer/Justice League: Hammer of Justice) e persino una Black Hammer Encyclopedia (forse siamo un po’ troppo maliziosi, ma aldilà dell’indiscutibile entusiasmo di Lemire, ci viene il sospetto che tanta iperattività sia anche una diretta conseguenza dell’accordo stipulato qualche mese fa con la Legendary Enterteinment, per un prossimo adattamento live action dell’intero franchise).

Di queste nuove testate, l’ultima a essere arrivata in Italia è Quantum Age , una chiara rivisitazione della Legione dei Super-Eroi, che narra di un futuro, dove a seguito di un fallito tentativo di invasione della Terra, da parte del popolo di Marte, sul nostro pianeta si instaura una dittatura militare, quasi esclusivamente dedita allo sterminio di ogni razza aliena. Come diretta conseguenza di questa politica, i nuovi governanti decidono anche di sciogliere la Quantum League, un gruppo di super-eroi teenager “multietnico” che, prima dell’attacco dei marziani, era considerato il simbolo del senso di fratellanza consolidatosi tra gli abitanti dei diversi pianeti della galassia. In questo desolante scenario, un giovane marziano, a rischio della propria vita, sceglie di seguire le orme del grande Barbalien, il Guerriero di Marte scomparso misteriosamente molti anni prima, assieme ad altri eroi terrestri, nel tentativo di fermare l’onnipotente Anti-Dio. La missione che si è imposto, dopo la morte dei suoi genitori, è quella di porre fine al regime del sanguinario presidente terrestre, proprio attraverso la ricostituzione della Quantum League. In suo aiuto, arriveranno, a sorpresa e in una veste parzialmente inedita, alcuni dei protagonisti che abbiamo imparato a conoscere su Black Hammer.

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Così come più volte ammirato nella serie ammiraglia, Lemire realizza una storia avvincente e ricca di colpi di scena. Il sense of wonder che permea la narrazione dall’inizio alla fine (a cui contribuisce anche un ispirato Wilfredo Torres ai disegni), inoltre, non gli impedisce di affrontare temi più complessi, come il tragico genocidio dei marziani o il razzismo latente dei terrestri. Il tutto unito a personaggi ben caratterizzati, che, pur essendo un evidente omaggio ai protagonisti della Legione dei Super-Eroi (così come quelli di Black Hammer richiamano apertamente altri noti personaggi della Golden e della Silver Age del fumetto americano), rappresentano una felice amalgama tra tradizione e modernità.

Perfettamente a suo agio e palesemente divertito, l’autore canadese non si limita a realizzare un riuscito revival di una serie classica, ma mostra anche come sia possibile prendere in esame, in maniera assolutamente verosimile, argomenti difficilmente associabili a un fumetto popolato da personaggi vestiti con improbabili costumi, senza la necessità di arrivare a derive revisioniste del genere super-eroistico, come fatto in passato, tra gli altri, da Frank Miller e Alan Moore, o, negli ultimi anni da Mark Millar. In realtà, senza volere in nessun modo ridimensionare l’operato di Lemire, ma, piuttosto, con lo scopo di sottolineare ulteriormente il nostro apprezzamento per il suo lavoro, vorremmo ricordare che l’intuizione di mixare le atmosfere delle serie super-eroistiche “silver age” con una narrazione più sofisticata, l’aveva già avuta diversi anni fa proprio Alan Moore: gran parte della linea America’s Best Comics (che voleva essere anche una rievocazione della letteratura pulp o una celebrazione del genere steampunk), la sua gestione del Supreme di Rob Liefeld, o, ancora prima, l’esperimento, ormai quasi dimenticato, di 1963, per la Image, contenevano già parecchi degli elementi che adesso hanno reso Black Hammer una lettura tanto appassionante.

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I testi di Lemire, forse, non hanno la stessa raffinatezza di quelli di Moore, ma non è detto che questo sia necessariamente un limite. Se c’è un pregio nella scrittura del cartoonist canadese, infatti, questo è proprio la leggerezza delle trame, che, nelle sue opere migliori, si combina alla perfezione con dialoghi eleganti e ricercati, facendo sì che anche temi complessi e controversi possano essere affrontati senza le complicazioni cervellotiche che, a volte, appesantiscono le sceneggiature dell’autore di Watchmen. La cosa davvero sorprendente, in verità, è la qualità molto alta di tutto ciò che è stato pubblicato finora di questo cosiddetto Black Hammer Universe (almeno quello che per il momento si è visto in Italia). La prolificità di Lemire è nota, ma un conto è riuscire a scrivere più serie contemporaneamente, altra cosa è mantenerle tutte a un livello così elevato. Piuttosto, sarebbe curioso osservare come potrebbe comportarsi l’autore canadese se dovesse passare dall’altra parte della barricata. Nell’eventualità in cui il numero di collane legate a Black Hammer dovesse continuare a crescere, infatti, Lemire potrebbe essere costretto a dover chiedere la collaborazione di qualche illustre collega (per ora si è limitato a condividere con Ray Fawkes la sceneggiatura della miniserie Black Hammer ’45, ancora inedita da noi): chissà se, in quel caso, riuscirebbe a resistere alla tentazione di correggere qualche interpretazione troppo libera data da altri ai suoi personaggi.

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