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Bao e il settimo splendore, intervista a Leonardo Favia. Anteprima esclusiva

Per leggere la recensione de Il settimo splendore, clicca qui.
Nella gallery in basso, potete ammirare un'anteprima esclusiva de Il settimo splendore.

Nato a Bari nel 1982, Leonardo Favia è Executive Editor presso Bao Publishing.
Il suo primo romanzo a fumetti edito dalla casa editrice milanese, intitolato Il settimo splendore, disegnato da Ennio Bufi e colorato da Walter Baiamonte, sarà a breve disponibile al Lucca Comics & Games 2014 in anteprima e in vendita in libreria a partire dal 13 novembre 2014.

Ciao Leonardo, e benvenuto su Comicus.

Favia01Partiamo da Il settimo splendore, tuo primo libro a fumetti edito da Bao Publishing, disponibile per il pubblico già a partire dalla prossima edizione del Lucca Comics & Games e in uscita in libreria il 13 novembre.
Come è nata l’idea dietro quest’opera? Come è stata sviluppata e quanto tempo di lavorazione ha richiesto?

La storia è una riflessione sulla memoria, sui nostri ricordi d'infanzia che contribuiscono a formarci come persone, pur essendo questi solo frutto della percezione in un'età in cui non è chiara la comprensione degli eventi che ci circondano. La storia ha un'origine lontanissima, addirittura sui banchi di scuola del liceo, e ha visto molte versioni prima di arrivare alla stesura definitiva. Per quanto riguarda la lavorazione di sceneggiatura, disegni e colorazione (del mitico Walter Baiamonte), parliamo di un annetto di lavoro che, per centoventi tavole, è un ritmo abbastanza serrato.

Il libro parla di un viaggio alla ricerca di verità taciute per lungo tempo, di famiglia e di crescita individuale. Quanto c’è di autobiografico nell’opera? E quanto invece è frutto della tua immaginazione?
Per fortuna la mia vita è molto più semplice e lineare di quella di Modì, il protagonista. I viaggi di infanzia a Parigi sono effettivamente avvenuti, e il tornare costantemente in una città che mi era vicina ed estranea al tempo stesso mi ha permesso di analizzare come fosse la mia percezione della città a cambiare, e non necessariamente la metropoli stessa. Un altro tema importante nella storia è quello del sacrificio, delle scelte che facciamo nel momento in cui non possiamo più smettere di temporeggiare, e decidere definitivamente chi siamo. Ho applicato questo a una famiglia dalle dinamiche complicate, e da lì ho sviluppato la trama. Diciamo che sono un grande amante dei classici "What If" applicati alla vita quotidiana, e mi piace esplorarne gli sviluppi.

Come in tutte le opere della collana “Le città viste dall’alto”, anche qui vi è una città, protagonista silenziosa, ma onnipresente: Parigi. A cosa è dovuta questa scelta? Cosa rappresenta la capitale francese nella tua vita?
Il libro è una dichiarazione di amore a Parigi, per quanto il ruolo della metropoli nella storia sia alquanto in chiaroscuro. Rappresenta una parte importante dei miei ricordi infantili e lì ci sono stati passaggi importanti della mia vita personale.

Ennio Bufi è l’artista che si è occupato della parte grafica de Il settimo splendore. Sappiamo che non è la tua prima collaborazione con il disegnatore. Puoi raccontarci qualche aneddoto a riguardo? Come vi siete conosciuti? E come vi siete ritrovati a lavorare su questo libro assieme? Quali sono, in termini pratici, le vostre dinamiche lavorative?
Io ed Ennio abbiamo collaborato per diversi anni su progetti totalmente diversi (le avventure a fumetti di Geronimo Stilton), e un anno siamo stati invitati per un tour in California per il Free Comic Book Day. Da lì è nata una grande amicizia (facilitata dalla “pugliesità” di entrambi), che ci ha fatto promettere che un giorno avremmo lavorato insieme su qualcosa di nostro. Qualche anno dopo Michele [Foschini] e Caterina [Marietti] della Bao avevano espresso il desiderio di dare alle stampe un libro realizzato da Ennio, io avevo la storia già pronta e ogni pezzo è caduto al suo posto. In fase di sceneggiatura, cerco di essere pignolo sui passaggi che reputo fondamentali, per le “scene madri” di cui devo essere assolutamente sicuro della riuscita, altrimenti tendo a dare libertà al disegnatore, soprattutto se c'è una profonda conoscenza pregressa.

Il settimo splendore parla, fra le tante altre cose, anche di un tema delicato e spesso scomodo: la malattia mentale. Quanto queste tematiche così attuali nella società attuale, specialmente fra i giovani, ti hanno toccato da vicino? Cosa pensi a riguardo?
Ho riflettuto attentamente prima di affrontare questi temi, soprattutto perché sono estranei alla mia vita personale, e troverei odioso se si avvertisse dell'artificiosità in argomenti così delicati. Durante la lavorazione, il complimento più grande che mi è stato rivolto è stato quello di essere riuscito a ricreare le tensioni e i silenzi di una famiglia interrotta, pur non avendo alcun tipo di esperienza diretta al riguardo.

Da tempo lavori come editor (e ora anche sceneggiatore) per Bao Publishing. Come e quando è iniziato questo rapporto lavorativo con la casa editrice milanese? Cosa puoi raccontarci della vita di redazione in Bao?
Sono in Bao dal primo giorno, e questa è forse la cosa che mi riempie più di orgoglio. Mi ero trasferito a Milano nella speranza di lavorare come sceneggiatore e mi sono ritrovato coinvolto in un progetto folle e coraggioso come quello di aprire una casa editrice. Ormai al quinto anno, siamo cresciuti per dipendenti, libri a catalogo e riconoscimento pubblico; a permetterci di mantenere un equilibrio tra questa espansione e la cura nei confronti dei libri pubblicati sono i sentimenti di amicizia e di coesione che ci legano. La vita in redazione è frenetica, ma il fatto che ci guardiamo le spalle a vicenda ci permette di lavorare con serenità.

Bao è oramai una realtà consolidata nel panorama fumettistico nazionale, e non solo, anche grazie a una folta squadra di talenti. Zerocalcare, punta di diamante del team e bomber di sostanza, Cyril Pedrosa fantasista e rifinitore dal tocco preciso e delicato, Stefano Simeone e Alberto Madrigal instancabili ali sulle fasce, solo per citarne alcuni. In questo “Dream Team” in che ruolo ti vedi?
Faccio la traversa? No, a parte gli scherzi, mi vedo molto di più in un ruolo a bordo del campo, gli editor fanno un lavoro oscuro che raramente emerge. Questa sortita in campo (e qui la chiudiamo con la similitudine calcistica) è stata elettrizzante, e aver lavorato in questi anni con gli artisti e amici che hai citato (in minima parte) mi ha insegnato più di quanto potessi sperare.

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Parliamo del tuo passato, delle tue “origini segrete”: come e quando è nato il tuo amore per la nona arte? Quale è stato il tuo percorso di formazione artistica?
A parte i Topolino che leggevo “ereditandoli” dalle mie sorelle, sono cresciuto leggendo Bonelli, il primo acquisto ponderato fu un Almanacco della Paura 1996. Per tutto il liceo sono andato avanti leggendo solo italiani, ero un lettore distratto, non facevo distinzione di sceneggiatori o disegnatori, tutto veniva racchiuso dal titolo della testata, che fosse Dylan Dog, Dampyr o Martin Mystère. Il mio periodo di puro nerdismo è cominciato tardissimo, al primo anno di Università, quando alcuni amici mi hanno introdotto ai volumi Vertigo e mi hanno aperto il terzo occhio. Da The Sandman in poi, ho capito che volevo scrivere, e volevo scrivere fumetti. Sempre quegli amici mi hanno permesso di accedere a collezioni di fumetti fantasmagoriche, saltando a piè pari le parti dimenticabili, per seguire gli highlight della storia del fumetto. Dopo aver studiato giornalismo a Bari, sono passato prima per Bologna (studiando sceneggiatura per il cinema) e infine a Milano.

Sei nato e cresciuto a Bari, città recentemente nominata come “la più felice d’Italia”. Quanto pensi che questa abbia influenzato il tuo percorso di vita, oltre che quello artistico? Quali sono i vantaggi che il nascere a Bari ti ha dato? E, di contro, quali sono gli svantaggi, dato che Bari è oggettivamente una città fortemente periferica del mondo dell’editoria a fumetti?
Purtroppo, ho dovuto abbandonare Bari per cercare di realizzare il mio sogno, lavorare nel fumetto. Non saprei fare un distinguo tra i pro e i contro della città, so solo che, per una crescita personale, ritengo che sia necessario allontanarsi dal posto in cui si è nati. Bisogna sempre sacrificare qualcosa per raggiungere un obiettivo, e diciamo che io sono un grande amante delle strade in salita, le sfide mi entusiasmano.

Sei un artista giovane e promettente, uno di quelli che, sostanzialmente, ce la sta facendo. Cosa ti sentiresti di consigliare a coloro che, più giovani di te, si vogliono affacciare nel mondo del fumetto?
Premesso che mi imbarazza la definizione artista-giovane-promettente, per chi vuole avvicinarsi al mondo del fumetto, do un consiglio e una speranza. Il consiglio è di farsi trovare pronti, di essere competenti ma non saccenti, disponibili ma non disperati, educati ma non timidi; la professionalità, intesa come approccio a libri, persone e ruoli, è la qualità che paga di più, a patto di trovare interlocutori seri. La speranza è che il mondo del fumetto è molto aperto alle new entry, alle nuove idee, anche se questa mancanza di “selezione all'ingresso” ti costringe a distinguerti per personalità.

Chiudiamo con uno sguardo al futuro: quali sono le tue aspettative riguardo Il settimo splendore? E, guardando ancora più avanti, stai già lavorando a qualche nuovo progetto?
Spero che il libro metta ad altri la voglia di scrivere. I libri che ho più amato mi hanno sempre dato il desiderio di scrivere, di mettermi alla prova. L'idea di avere un effetto simile su qualcun altro è potentissima. Ah, e spero che venda anche vagonate di copie. O che almeno vada in pari, il rovescio della medaglia del lavorare nella casa editrice che ti pubblica è che quando poi arrivano i dati di vendita non c'è alcun tipo di “filtro con la realtà”.
Per i nuovi progetti, avrei una storia che mixa viaggi nel tempo, musica rock e storie adolescenziali. Devo solo trovare un disegnatore paziente e una casa editrice che mi pubblichi.

Grazie per la tua disponibilità, ci vediamo presto al Lucca Comics & Games.

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Il settimo splendore

Per leggere l'intervista a Leonardo Favia e l'anteprima del volume, clicca qui.

Il passato, si sa, spesso nasconde scomodi segreti e fantasmi che sarebbe auspicabile non risvegliare: accade, a volte, che un figlio si trovi costretto a confrontarsi con verità sui propri genitori delle quali sarebbe stato meglio non venire mai a conoscenza.

Diciamocelo, nel corso dell’infanzia, o perlomeno nella maggior parte dei casi, vediamo i nostri genitori con occhi privi di oggettività: nostro padre è il nostro Superman personale, forte e coraggioso, senza macchia, mentre nostra madre rappresenta uno scudo indistruttibile dietro il quale trovare riparo dai nostri fallimenti, paure e ansie.
Arriva però un giorno nel quale i figli si emancipano dai loro genitori, e nella loro indipendenza arrivano alla consapevolezza che coloro che ci hanno dato la vita sono semplicemente uomini e donne, con i loro pregi, ma anche con i loro difetti.
A volte capita che questo processo, altrimenti fisiologico, risulti assai traumatico e destabilizzante: ciò avviene quando scopriamo che qualcosa che avevamo eretto a certezza assoluta crolla improvvisamente e irrimediabilmente, scatenando conseguenze spesso terribili da affrontare.

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Il settimo splendore, romanzo a fumetti scritto da Leonardo Favia e disegnato da Ennio Bufi, edito da Bao Publishing, narra la storia di un figlio, Modì, che parte alla volta di Parigi alla ricerca di verità nascoste sul passato di sua madre, nata in Francia e che proprio nella capitale aveva perso la vita in circostanze drammatiche.
Fra le strade e i vicoli di Parigi, Modì avrà modo di fare numerose conoscenze e di ricostruire, a poco a poco, la difficile esistenza della propria mamma, costellata di misteri e tragicità. Nel corso della sua ricerca, il Nostro avrà modo di fare nuove conoscenze, alcune delle quali determinanti per la sua vita, e di riscoprirsi come individuo, trovando uno scopo e una direzione, alla ricerca di una verità apparentemente irraggiungibile perché sepolta nel passato.

Il settimo splendore è un libro che riflette sull’importanza della memoria, custode sempiterna dei nostri trascorsi, ma talvolta fonte ingannevole, in quanto frutto di una percezione soggettiva,  quando si tratta dei ricordi della nostra infanzia, età nella quale, appunto, non si è ancora in grado di cogliere ogni sfumatura degli eventi vissuti.
Il passato di Modì è infatti quello di un bambino cresciuto in un contesto difficile, in una famiglia “spaccata” a causa della separazione dei propri genitori. A questo si aggiunge il peso di una madre afflitta da seri problemi psicologici, che ne hanno condizionato la vita fino alla sua prematura fine.

Ed è proprio l’attenta analisi psicologica dei protagonisti uno dei meriti maggiori dello sceneggiatore, il quale riesce, con delicatezza e attenzione, a parlare di un tema assai spinoso da raccontare: sia Modì che la mamma sono infatti personaggi che le persone “normali” non faticherebbero a definire "instabili".
Ma chi è veramente una persona instabile? Probabilmente questi sono semplicemente esseri umani nati con una sensibilità diversa, più profonda e intensa, che porta a somatizzare in maniera più accentuata le varie vicissitudini che la vita ci impone di affrontare: in un mondo frenetico e superficiale, quale è quello in cui viviamo, capita spesso che dentro questi soggetti qualcosa si rompa, a volte in maniera irrimediabile, trasformando la vita in un vortice di ansie e preoccupazioni, di frenesia e paura, dal quale diventa sempre più difficile uscire.

Il settimo splendore è una storia che parla di crescita individuale, di presa di coscienza e coraggio, quando è troppo tardi per continuare a temporeggiare: evolversi o soccombere, dunque, con la consapevolezza che ogni crescita impone un sacrificio.
Cosa siamo quindi disposti a sacrificare veramente per crescere e superare i nostri limiti e le nostre paure?

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Il lavoro di caratterizzazione dei personaggi, protagonista “in primis”, è encomiabile: Favia riesce a creare in Modì un character a tutto tondo, dotato di una complessità emotiva e psicologica straordinaria, ricco di sfaccettature che rendono il Nostro, in una parola, umano.

Come già detto, la storia si svolge a Parigi: la capitale francese è vera e propria protagonista, silenziosa ma onnipresente, del racconto.
La città che ci viene presentata non è però quella “da turista”, quanto piuttosto quella dei vicoli e dei Cafè, dei lampioni dalla luce gialla e della scalinate nascoste.
Parigi è quanto mai rappresentata in maniera sincera e romantica, in un vero e proprio tributo dell’autore a una città archetipo per ogni artista.

Se la città ci appare più bella che mai grande merito va dato all’artista che si è occupato della parte grafica del libro: Ennio Bufi riesce, con il suo tratto morbido e ricercato, a infondere vita ad ognuna delle 120 e passa pagine de Il settimo splendore.
Il lavoro compiuto sulla resa espressiva dei personaggi, oltre che sulle precisa resa delle scenografie, contribuisce in maniera rilevante a dotare l’opera di quella piacevole gravità emotiva che ogni lettore apprezzerà.

Non si può non sottolineare, in questo senso, il pregevole lavoro compiuto da Walter Baiamonte ai colori: con i suoi pastelli dalle tonalità cangianti il colorista riesce al meglio a esprimere il “mood” in continua evoluzione del racconto.

Il settimo splendore, dunque, parla di crescita e sacrificio, perdita e dolore, paura e coraggio: in sostanza, parla di vita.
Perché Modì potrebbe essere potenzialmente ciascuno di noi, dato che, nella vita, ogni essere umano si trova a dover compiere delle scelte che ne influenzeranno il destino, scelte a volte difficili, a volte doverose, e non necessariamente giuste.
Arriva per tutti il giorno nel quale dobbiamo decidere chi vogliamo essere, e, una volta presa una decisione, iniziare a correre verso il nostro futuro, senza mai fermarsi a guardare indietro, nella speranza che ciò che c'è ad aspettarci sia migliore di ciò che ci siamo lasciati indietro.

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Niente Paul Pope a Lucca Comics & Games 2014

  • Pubblicato in News

Vi avevamo annunciato che quest'anno al Lucca Comics & Games la Bao Publishing avrebbe portato come ospiti Paul Pope, Fiona Staples e Brian K. Vaughan.

Purtroppo però a seguito di alcuni problemi di salute Pope non potrà essere presente alla convention. Ci saranno moltissimi altri ospiti però che renderanno grande la festa a Lucca. Per citarne alcuni Roberto Recchioni, Fumio Obata, Vanna Vinci e Zerocalcare.

Di seguito vi riportiamo il contenuto del post apparso sul sito della casa editrice.

"Lucca, stiamo arrivando!

Dal 30 ottobre al 2 novembre ci sarà Lucca Comics & Games 2014, e BAO Publishing non potrà mancare. Ci troverete allo stand E219 al padiglione Editori in Piazza Napoleone.
Avremo un sacco di ospiti e di novità da presentarvi: Brian K Vaughan e Fiona Staples per Saga (di cui però non ci sarà il Volume 4, che esce ai primi di dicembre, in contemporanea con gli USA, ma avremo il nuovissimo volume Mystery Society, di Steve Niles e Fiona Staples, casomai non sapeste cosa farle autografare...), Fumio Obata per Si dà il caso che, Cameron Stewart per Sin Titulo, Zerocalcare per Dimentica il mio nome, Vanna Vinci per Il richiamo di Alma, Sergio Gerasi per In inverno le mie mani sapevano di mandarino, Nicolò Pellizzon per Gli amari consigli, Ennio Bufi e Leonardo Favia per Il settimo splendore, Elena Casagrande per Suicide Risk (il terzo volume sarà in anteprima proprio in quei giorni), Sualzo per Gaetano e Zolletta, e diversi autori di Orfani, compreso Roberto Recchioni, saranno in dedica al nostro stand a più riprese.
Dobbiamo purtroppo informarvi sul fatto che Paul Pope non potrà esserci. Paul ha un problema di salute che in certi periodi, difficili da prevedere, gli impedisce di viaggiare. All'ultimo momento ci ha fatto sapere di dover rinunciare, a malincuore, alla sua prima Lucca. Ci sarà virtualmente, perché allo stand avremo in anteprima il primo dei due volumi di Aurora West.
Troverete anche il set dei magneti da frigo di Zerocalcare e vi potrete portare via le tote bag di Zerocalcare di quest'anno e quella ufficiale BAO (che ha sopra Gatto Bugia, non diciamo altro).

Lunedì prossimo pubblicheremo il calendario ufficiale delle sessioni di dediche e le modalità per averle. Vogliamo che abbiate l'esperienza più serena e positiva possibile, al nostro stand, e per questo dovremo stabilire poche, semplici regole.
Stiamo scalpitando per incontrarvi, e non vediamo l'ora di cominciare questa straordinaria edizione della nostra fiera preferita".

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Dimentica il mio nome

Già dopo aver letto la prima manciata di pagine di Dimentica il mio nome, quinto libro a fumetti di Zerocalcare edito da BAO Publishing, ci si rende conto di avere di fronte un’opera di grande intensità emotiva.

Subito il racconto si fa forte, aprendosi con l’evento principale della storia, un lutto raccontato in modo così intimo e diretto da colpire il lettore come una pallonata in pieno diaframma, di quelle che spezzano il fiato. Un evento sì personale, ma che, allo stesso tempo, ci accomuna tutti inevitabilmente: subito quindi avviene quella sensazionale sincronizzazione fra autore e lettore, che consente di trovare subito un senso di fisiologica familiarità.
Si entra immediatamente in un labirinto fatto di malinconia e ricordi, di perdita e mancanza, raccontati con semplicità, senza che Zero rinunci al suo taglio ironico e alle sue bombe di cultura pop che lo hanno reso famoso in tutto il Paese.

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Parlare di se stessi, della propria vita e del proprio passato è opera ardua per chiunque decida di fare della scrittura la sua vita, perché è così facile cadere nella più scontata banalità.
Dobbiamo sottolineare come l’intera produzione precedente del fumettista romano abbia avuto come pietra angolare la sua vita, presente e passata, ma questa volta Zerocalcare decide di osare di più, addentrandosi in acque perigliose e agitate, per navigare le quali è richiesta una certa esperienza e una considerevole dose di coraggio.
Nonostante le insidie però, l'autore, da buon capitano, decide di dispiegare le vele e salpare per questo viaggio, viaggio del quale il lettore si sentirà ospite mai indesiderato.
Nel corso di questa lunga traversata, Zerocalcare ricostruirà il passato misterioso e straordinario della sua famiglia, fatto di verità nascoste o parzialmente omesse, di sofferenza e amore, di fantasmi e morte.
Attorno alla morte della nonna, c'è un racconto composto da molti piccoli tasselli, o più semplicemente capitoli, che, alla fine, andranno a comporre un mosaico meraviglioso nella sua interezza.

Dimentica il mio nome è un’opera straordinariamente complessa, che, inoltre, arricchisce ulteriormente la “mitologia” attorno al mondo di Zerocalcare: per la prima volta, ad esempio, ci vengono narrate le “origini segrete” dell’Armadillo, vera e propria coscienza del protagonista, e, oltre alla presenza di personaggi storici come Secco, Cinghiale, Mamma Cocca e altri, ritorna sempre Rebibbia, protagonista silenziosa e onnipresente nella produzione dell’artista.
Rebibbia, quartiere periferico di Roma, che è quasi un universo a sé, un microcosmo nel quale Zerocalcare si muove e verso il quale avverte un forte e chiaro senso di appartenenza.

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Interessante è anche il confronto storico fra epoche e generazioni diverse, rappresentate dalla nonna e dallo stesso Zero: il lavoro di ricerca fatto è notevole e, grazie a questo, riesce facile apprezzare a pieno le fisiologiche difficoltà di comprensione e comunicazione fra mondi diversi e distanti, separati da diversi decenni, fatti di guerra, segreti e incertezze.

Specifichiamo una cosa: nonostante i tanti che lo vedono come una sorta di “profeta generazionale”, all’autore di questa carica non gliene frega un accidente, poiché sua intenzione è semplicemente quella di raccontare una storia, quella sua e della sua famiglia.
Questo gli consente di non sfociare mai nell’ipocrisia o nella retorica, dato che Zerocalcare non si esime dall’auto-critica, dal sottolineare molteplici aspetti che lo rendono una persona come tutti, fatta anche di difetti e controsensi: l’umanità e l’onestà intellettuale con la quale ci viene presentato Dimentica il mio nome costituisce l’aspetto più prezioso dell’opera.

La tematiche presenti nel libro sono molteplici, il duplice filo rosso che però accompagna tutta la storia è quello fatto dalla paura e dal dolore, cancri dell’anima umana, che si intrecciano continuamente fra loro, attanagliando e soffocando la nostra mente.
La paura, quella strana forza che cresce dentro di noi, silenziosa e spietata, che ci paralizza nei momenti decisivi, rendendoci a posteriori vittime di rimpianti e rimorsi. “La paura uccide più della spada” sentenziava il maestro Syrio Forel ne Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R.R. Martin (a proposito, spassosissima la citazione di Game of Thrones), e questa frase è più vera che mai: quante volte nella nostra vita abbiamo rinunciato a qualcosa solo per paura? Paura di sbagliare, di fallire, di rischiare, di rimanere soli? Quante volte abbiamo avuto paura di vivere, quando la vita ci metteva nella scomoda posizione di dover mettere tutto in discussione?

Qui l’autore mette sul piatto tutte le sue paure, e il suo dolore, come detto. Il dolore che inevitabilmente tutti noi dobbiamo subire prima o poi, chi più, chi meno.

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Ma il dolore fortifica, o almeno così dicono. Il dolore ci permette di costruirci addosso un’armatura indistruttibile e inossidabile, che ci rende progressivamente uomini e donne vere, forti e coraggiosi. Che poi, quand'è che smettiamo di essere qualsiasi cosa eravamo prima per evolverci ad adulti manco fossimo Pokèmon? Alla fine, perché nessuno ci dice davvero che, sotto quell’armatura di granito, siamo sempre noi stessi? Perché nessuno ci dice che quell’armatura è forgiata nel distacco e nella disillusione, nella perdita di speranza e di capacità di sognare e amare?

Nessuno ci rivela questa scomoda verità perché il dolore puzza più del letame, e la cosa più comune di fronte a questo è ignorarlo e fuggire a gambe levate. Lo facciamo tutti.
E così, inesorabilmente, perdiamo qualcosa, accorgendocene sempre troppo tardi.

Questo è anche il caso del Nostro, il quale trovava rifugio nel “Pisolone”, simpatico sacco a pelo della Giochi Preziosi dalle sembianze di dolce animaletto, tanto in voga negli anni ’80. All’interno del Pisolone, Zero era al sicuro dalle sue ansie e paure, sentendosi protetto dal crudele mondo là fuori.
Ma nessuno può scappare per sempre, e, anzi, il continuo fuggire in cerca di rifugio non è altro che un modo per permettere alle paure di crescere e moltiplicarsi indisturbate, e dove si annidano le paure, si sa, crescono i mostri, pronti ad attaccarci nel momento più inaspettato.

Volendo per un attimo eliminare tutti questi elementi , per puro gioco mentale, dall’equazione generale, Dimentica il mio nome rimane comunque una storia avvincente e scorrevole, in tutte le sue 234 pagine di durata. La trama costruita da un blocco centrale, sul quale si incastrano flashback e sottotrame secondarie, si dimostra estremamente fluida e ben architettata, cosa che dimostra quanto Zerocalcare sia cresciuto anche sotto il profilo meramente tecnico dello storytelling.

Come buona parte della produzione dell’autore, anche Dimentica il mio nome è quasi interamente in bianco e nero, e a questo proposito possiamo rilevare come lo stile grafico, pur rimanendo fondamentalmente invariato, sia diventato più pulito e armonico.
Quasi interamente, si è detto, perché a dire il vero una traccia di colore (l'arancio) c’è: questa scelta dal punto di vista cromatico ha un significato molto specifico, ma non vi si può rivelare di più senza cadere vittime del “Demone dello Spoiler”.

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Si tratta di un evento davvero raro quando si riesce a ridere e piangere contemporaneamente, e leggendo questo libro ci si trova catturati proprio in uno di questi momenti.
Terminata la lettura, con gli occhi lucidi e il sorriso stampato in faccia, si avverte la quasi irresistibile pulsione di cercare, con un gesto o anche semplicemente un pensiero, tutti coloro che amiamo (o abbiamo amato) nella nostra vita, soprattutto se questi affetti non ci sono più.
Perché il ricordo è la abilità più preziosa in dotazione all’essere umano, anche se a volte fa male; e l’affetto e il calore umano, sono la cura più efficace contro la sofferenza che il vivere spesso comporta.
La malinconia è quindi quella sensazione che ci accompagna nel corso dell’intera lettura, quel vortice di sensazioni che ci scava dentro e ci fa avvertire un inspiegabile senso di vuoto che abbiamo necessità di riempire con qualcosa, per non soccombere: questa è la vita, dopotutto.

E, a questo proposito, è bellissima la metafora della vita paragonata a un albero: alla nascita è semplicemente un seme, nel tempo cresce forte e rigoglioso, ma, invecchiando “l’albero si attorciglia, il tronco si fa nodoso, contorto, le radici spaccano quello che ci sta intorno, fino a che non riesci più a capire com’era la pianta originale”.


Dimentica il mio nome
parla di crescita, attraverso la perdita, la paure e il dolore, districandosi fra rimorsi e rimpianti, riuscendo a convivere con la malinconia e imparando, a poco a poco, a percepirsi in modo diverso, comprendendo l’importanza vitale delle piccole cose.
Quest'opera è una gemma assai preziosa nel panorama fumettistico nazionale degli ultimi anni (di sicuro) e (probabilmente) di sempre.

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