G.O.D.S., recensione: la cosmogonia Marvel secondo Jonathan Hickman
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Scegliere di recensire l’ennesima serie ideata da Jonathan Hickman, pur consapevoli che negli USA non mancano le novità a fumetti meritevoli di un articolo di approfondimento, vuol dire rischiare di andare incontro a una pioggia di critiche da parte di chi – comprensibilmente - preferirebbe vederci scrivere d’altro. Tuttavia, è davvero possibile far finta di niente di fronte a un’opera imperfetta ma affascinante come G.O.D.S. (senza considerare le ambizioni dietro al progetto, che nelle intenzioni dell’autore avrebbe dovuto addirittura condurre a una riscrittura della cosmogonia della Marvel)?
La risposta sembra scontata, eppure a ogni nuovo lavoro del cartoonist del South Carolina, i social e i blog di settore non perdono occasione di ospitare qualche commento negativo nei suoi confronti. C’è chi mal digerisce la sua narrazione troppo articolata e complessa. Chi trova insopportabile il suo continuo ricorrere alle infografiche (che, a onor del vero, si sono diffuse come un virus letale su varie testate della Casa delle Idee, a prescindere dalla loro reale utilità). O ancora, chi non gradisce la sua tendenza a introdurre personaggi mai visti prima, che finiscono spesso per rubare la scena ai protagonisti, per poi sparire dalla circolazione, appena passata la mano ad altri autori.
Rimproveri non del tutto campati in aria, sia chiaro, a cui aggiungiamo anche l’apparente insofferenza a lavorare su character dalla continuity molto rigida con i quali, a volte, Hickman non riesce a sfruttare appieno la sua enorme creatività (un limite - se così lo vogliamo chiamare – che potrebbe essere la motivazione che lo ha spinto ad accettare di diventare il deus ex machina del nuovo Universo Ultimate). Ciò non toglie, però, che se è ancora possibile scrivere qualcosa di buono di quello che la Marvel ha prodotto di recente, lo si deve in gran parte proprio al nostro Jonathan. Con un avvertimento: se chi ci sta leggendo, pensa di rientrare tra i “detrattori” elencati sopra, è bene che stia alla larga da G.O.D.S., dato che la miniserie in questione è – assieme a Decorum - quanto di più hickmaniano si sia visto negli ultimi anni. Pure riassumerne la storia è un’impresa decisamente complicata, nella consapevolezza che poche righe saranno giusto sufficienti a delineare in maniera approssimativa i protagonisti della vicenda e a fornire solo qualche informazione di base sugli eventi raccontati.
A ogni modo, per farla breve, scopriamo che dopo una guerra durata eoni tra le Autorità Superiori (traduzione un po’ libera dell’originale The-Powers-That-Be) e l’Ordine Naturale delle Cose, due entità astrali che incarnano rispettivamente magia e scienza, l’accordo che ne è seguito ha sancito che entrambe potessero continuare ad agire sulla Terra esclusivamente tramite i propri servitori. Quello delle Autorità Superiori viene denominato Avatar, mentre per l’Ordine Naturale delle Cose opera un’intera organizzazione, il Centum, i cui membri vengono chiamati centivar. La fragile tregua ha retto fino ai giorni nostri, ma rischia di terminare a causa del matrimonio tra Wyn, l’attuale Avatar, e Aiko Maki, destinata a diventare il novantasettesimo centivar. Costei decide, inevitabilmente, di separarsi dal marito, sebbene i due, in considerazione del loro ruolo, non potranno fare a meno di incontrarsi nelle varie crisi cosmiche (tra cui l’evento Babilonia, che dà il via alla vicenda, in procinto di essere scatenato dal proto mago Cubisk Core) che mirano a compromettere la realtà per come la conosciamo.
Confusi? È probabile. E se già le premesse non incoraggiavano alla lettura, temiamo che, dopo questo scampolo di trama, anziché aumentare la curiosità verso la miniserie potremmo aver ottenuto il risultato opposto, facendo desistere anche i più temerari nell’avventurarsi alla scoperta del mondo di Wyn e soci (che – credeteci – non sono pochi!). All’inizio, oltretutto, abbiamo descritto G.O.D.S. come un’opera imperfetta e in effetti non si può negare che per gran parte degli episodi la storia sembri girare a vuoto e che i legami con il Marvel Universe tradizionale siano piuttosto labili - cosa che, verosimilmente, allontanerà i fan di lungo corso dell’editore newyorkese (le vendite non esaltanti, registrate fin dalla prima uscita, parrebbero proprio dimostrare questa ipotesi). Oppure che di parecchi personaggi non si apprenda quasi nulla, rendendo alquanto difficile entrare in empatia con essi e che siano ancora numerosi i particolari che ci sono stati celati (non ci viene nemmeno rivelato il significato dell’acronimo – o meglio “word puzzle”, come specificato da Hickman stesso in alcune interviste - che dà il titolo alla miniserie). Ciononostante, la capacità con cui lo sceneggiatore americano, partendo da pochi spunti e da qualche concetto noto anche ai frequentatori occasionali della Casa delle Idee, riesce a plasmare interi piani dimensionali, nuove realtà e scenari inesplorati, è a dir poco impressionante.
Quello che maggiormente colpisce è la notevole coerenza con cui il tutto sembra procedere, a dispetto dei molti punti oscuri, e una solidità narrativa che non vacilla neppure quando Hickman si concede il vezzo di ripescare alcune sue creazioni passate, che – come detto sopra – dopo di lui erano praticamente finite nell’oblio (ricompaiono, per esempio, i Cigni Neri, visti per la prima volta durante la sua gestione degli Avengers). Come se ciò non bastasse, l’autore di Infinity e Secret Wars impreziosisce il racconto con dialoghi ammalianti e una prosa che ricorda, a tratti, quella del Neil Gaiman dei tempi migliori. Tanto che il numero più riuscito della miniserie, il sesto (in cui Aiko, per rimediare a un suo errore, chiede aiuto all’enigmatico Leone dei Lupi), non sfigurerebbe affatto accanto a qualche celebre capitolo di Sandman (il fumetto era stato effettivamente presentato come la versione marvelliana della collana dedicata a Morfeo, ma – esclusi alcuni passaggi sicuramente ascrivibili al fantasy o a uno dei suoi sottogeneri, tra cui proprio l’episodio appena citato – a predominare è il supereroismo fantascientifico e non il favolismo mistico/filosofico delle storie del Signore dei Sogni). Persino la cripticità della trama e degli avvenimenti descritti (confessiamo che ancora non abbiamo capito cosa sia esattamente l’evento Babilonia prima menzionato), invece che rappresentare un ostacolo, diventano uno stimolo a proseguire la lettura. Per di più, l’impiego indiscriminato di cambi di prospettiva di vario tipo, in apparente discontinuità con la vicenda principale e di frequenti digressioni nello spazio e nel tempo – che hanno l’evidente scopo di disorientare il lettore, affinché non riesca a mettere subito a fuoco tutti gli indizi relativi ai diversi protagonisti – produce la chiara sensazione di avere di fronte un maestoso affresco, ben lontano dall’essere rivelato per intero. Hickman, infine, lascia pure largo spazio al sentimentalismo, cosa abbastanza inusuale per lui, benché necessario a costruire una metafora molto originale dell’impossibilità di convivenza tra magia e scienza.
Suggestioni e personaggi immaginifici che, per prendere forma, non potevano trovare un disegnatore migliore di Valerio Schiti. Il cartoonist romano ha raggiunto una maturità artistica tale, da essere ormai ritenuto una garanzia dai vertici della Casa delle Idee. Non è un caso che egli venga ripetutamente preso in considerazione in occasione di grandi eventi (Empyre e A.X.E.: Judgement Day, giusto per citarne un paio) e Schiti, anche - e principalmente - in G.O.D.S. ripaga questa fiducia con tavole spettacolari e un character design di altissimo livello, che arriva pure a ridefinire alcuni storici comprimari dell’Universo Marvel (su tutti, il Tribunale Vivente). Per quanto Stuart Immonen sia tuttora il suo nume tutelare, il suo stile sta gradualmente evolvendo verso nuove direzioni, senza, però, rinnegare la morbidezza e l’eleganza del tratto, la perfezione delle anatomie e l’espressività dei volti. I progressi maggiormente evidenti sono nello storytelling – sempre più efficace - e nella composizione delle vignette (magnificate, oltretutto, dagli splendidi colori di Marte Gracia, con cui il fumettista capitolino pare quasi aver costituito una coppia artistica di fatto), che aiutano in maniera determinante a evitare che i testi di Hickman scadano nella didascalia.
Alla fine, comunque, la domanda che dobbiamo porci è: vedremo mai un seguito di G.O.D.S.? Difficile a dirsi, anche guardando ai dati di vendita a cui abbiamo accennato in precedenza. Da orfani della versione esoterica dello S.H.I.E.L.D. – primo magistrale tentativo di Hickman di uscire dai canoni marvelliani di cui, purtroppo, sembrano essersi perse le tracce – ci viene spontaneo fare gli scongiuri. Tuttavia, sarebbe francamente inconcepibile chiudere l’operazione così presto dopo aver profuso tanto impegno nel promuoverla (si pensi, in particolare, alle tavole introduttive comparse in fondo alle testate dei personaggi principali della casa editrice, qualche mese prima dell’uscita della miniserie o la presentazione di quest’ultima già durante il San Diego Comicon del 2022). Inoltre, ci viene pure il sospetto che G.O.D.S. sia l’oggetto di scambio chiesto dallo sceneggiatore alla Marvel, per apporre la sua firma su opere più mainstream (come l’imminente Aliens vs. Avengers). Se così fosse, dovremmo solo armarci di pazienza e aspettare che Hickman concluda i non pochi lavori in corso e i progetti annunciati nelle ultime settimane. Sappiamo, tra l’altro, che ci sarà lui dietro Imperial, uno dei maxi eventi della Casa delle Idee del 2025 e, benché al momento non si conosca nulla della trama, tutto lascia presagire che si tratti di una saga di grandi proporzioni. Che possa anche trovare il tempo di regalarci a breve una nuova scorribanda tra centivar e avatar è onestamente alquanto improbabile. Cionondimeno, è pur vero che stiamo parlando di un autore che in passato ha mostrato di poter gestire più serie contemporaneamente senza perdere in qualità di scrittura. Che riesca a sorprenderci ancora una volta?