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Francesco Tedeschi

Francesco Tedeschi

Neonomicon

Ebbene sì, ancora il Necronomicon, i miti di Cthulhu e il pantheon dei Grandi Antichi di H.P. Lovecraft, un universo narrativo che ha letteralmente contagiato tutto, ma proprio tutto il mondo dell’intrattenimento – romanzi, racconti, fumetti, film, giochi da tavolo, giochi di ruolo live e non, videogames e persino peluches.
La mitologia lovecraftiana viene propinata davvero in tutte le salse.
Beninteso, H.P. Lovecraft è senza dubbio uno dei più grandi geni oscuri della letteratura di tutti i tempi, e forse è proprio per questo che Cthulhu & Co. hanno ormai fatto la fine di "We are the champions" dei Queen o del mito del vampiro: su ciò che, archetipicamente, è inimitabile si instaura un processo inflazionante e, ahimè, svilente che porta l’origine stessa di tutto a diventare ingiustamente ridondante.

Eppure… Eppure questo volume si intitola Neonomicon, termine che, se ci atteniamo alla traduzione di "Necronomicon", ossia "Libro dei nomi morti", suona come "Libro dei nomi nuovi". Considerato che è Alan Moore l’ideatore di questo progetto, non stupisce che qualcosa di nuovo da dire sui miti di Cthulhu ci sia ancora.

Anni fa, per Magic Press, uscì Il Cortile, una storia breve sceneggiata da Anthony Johnston e tratta da un racconto di Moore. È grazie a Neonomicon, volume che racchiude una versione a colori de Il Cortile e Neonomicon stesso, che apprendiamo che la prima altro non è che il prequel della seconda vicenda, anch'essa disegnata da Jacen Burrows e scritta, questa volta, da Moore in persona. Allora, forte di una nuova e innovativa linfa vitale, l’universo dei Grandi Antichi si propone agli occhi del lettore in un’inedita versione caratterizzata da una fortissima componente sessuale (tematica che a una prima lettura dei miti lovecraftiani sembra essere assente), un disturbante esoterismo perverso e malato, un plot attanagliante… e una sconvolgente proposta di spiegazione a quell’enigma plurimo che da anni avvolge Lovecraft, il Necronomicon, gli Antichi e le sette che li venerano (che peraltro esistono davvero).

Leggere in sequenza Il Cortile e Neonomicon significa immergersi in un universo inquietante e senza via d’uscita, un bugigattolo stretto e putrescente la cui imboccatura si è chiusa alle nostre spalle.
Se con From Hell lo scrittore di Norhampton ha fornito una spiegazione plausibile ai misteri che celavano l’identità di Jack lo Squartatore, qui Moore riesce a dare una direzione unanime ai flussi di voci e teorie contrastanti che gravitano attorno all’enigma di Lovecraf.
I disegni di Jacen Burrows sono perfetti per le sceneggiature del volume: realistiche e brutali, le tavole seguono la trama in un crescendo di orrore e perversione, trascinando lo spettatore verso un finale che non mancherà di stupire il lettore più esigente e, compito ancor più difficile, soddisfare l’esperto della meravigliosa narrativa fenomenologica di H. P. Lovecraft.

Come al solito BAO Puplishing offre un’edizione elegante e curata (disponibile in standard edition, variant edition e ultra-variant edition), magistralmente tradotta, che rende pienamente giustizia all’opera.

Bone – L’integrale

Tre strani cugini, esiliati dalla loro cittadina natale, si ritrovano sperduti in un deserto… Un sospetto sciame di locuste li divide, e uno di loro, Fone Bone, si trova all’improvviso in una valle popolata da creature mostruose simili a ratti, draghi supponenti e insetti giganteschi, e su cui grava una grande minaccia…

Non bisogna dire niente di più sulla trama dell’opera più famosa di Jeff Smith, perchè anche rivelare una sola svolta narrativa di Bone sarebbe un delitto a tutti gli effetti ai danni di chi ha la fortuna di non averlo ancora letto.
Sono passati vent’anni da quando la piccola creatura di Boneville ha fatto capolino del mondo della Nona Arte per la prima volta, eppure Bone non ha sentito l’usura del tempo: l’opera di Jeff Smith mantiene infatti invariate la sua freschezza e la sua originalità, e niente di simile è stato scritto prima, nè dopo.

In bilico tra il fantasy (molto, molto sui generis: qui i draghi fumano e i mostri vogliono una quiche) e l’umoristico, la pluripremiata saga di Bone (10 Eisner Award e 11 Harvey Award) prende dolcemente il lettore per mano e lo accompagna in un vortice di avventura, magia ed emozioni: la storia dei cugini Bone si dipana infatti in un crescendo evolutivo che ha origine da una struttura tendenzialmente episodica e umoristica, ma che vira senza brusche svolte in una dimensione avventurosa ed eroica. Tutto questo condito con una buona dose di ironia, un’escalation di geniali colpi di scena man mano che ci si avvicina al finale e un fortissimo impatto emotivo. Queste componenti, declinate in un universo in cui le atmosfere fantasy convivono con i dollari e il romanzo di Melville "Moby Dick" con un fortissimo substrato onirico, danno vita a una delle opere più riuscite e uniche dell’intero panorama fumettistico americano contemporaneo.
Complici le splendide tavole, opera dello stesso Smith, perfettamente in linea con l’incredibile sceneggiatura, Bone è un’opera che non può assolutamente mancare nella biblioteca di ogni amante non solo del fumetto d’alto livelli, ma della grande narrativa in generale.

Dopo il prequel alla saga de La Principessa Rose in un’edizione che rende giustizia all’opera, Bao Publishing propone l’intera epopea di Bone in un unico, lussuoso tomo di oltre 1300 pagine: il volume, che prevede sia una nuova e ottima traduzione sia l’originale bianco e nero, molto più indicato del colore per un fumetto simile, si avvale di una qualità della carta e della rilegatura persino superiore rispetto a quella della versione integrale originale americana.

Arricchiscono il volume, proposto in quattro edizioni differenti (standard, variant, ultra variant e cartonata limitata a 101 copie), le note dell’ineffabile Neil Gaiman, da sempre grande appassionato del capolavoro di Jeff Smith.

The Green Woman

Fielding Bandolier è un ferocissimo serial killer con un solo scopo: chiudere in bellezza la sua carriera costellata di cadaveri in un modo che sia degno. A cercare di fermare l’ultima carneficina del mostro, il poliziotto di New York Bob Steele, uomo tutto d’un pezzo, cinico e disilluso.
Fino a questo punto, il plot di The Green Woman sembra la trama di un noir dalle tinte forti… Ma poi, il plot vira improvvisamente verso un risvolto molto lontano dal thriller classico: il poliziotto e la sua nemesi si incontreranno infatti in uno strano locale chiamato "La Donna Verde", un luogo posseduto da un’entità in grado di far rabbrividire persino Fielding Bandolier.

Il soggetto che sta alla base della prima graphic novel scritta da Peter Straub e Michael Easton è davvero accattivante: un inseguimento mozzafiato che sfocia nel soprannaturale, arricchito da una serie di particolari squisitamente raccapriccianti. Ottima anche l’idea di un luogo maledetto in cui tutti i nodi vengono al pettine: gli indizi disseminati qua e là nel corso della storia, che spesso prendono le sembianze di flashback, spingono il lettore verso il colpo di scena che aspetta, in un crescendo di sanguinaria brutalità. L’unica pecca della sceneggiatura è la sua lunghezza: Straub, grandissimo scrittore di best-seller clamorosi, ed Easton, famoso poeta e sceneggiatore di fumetti, allungano il brodo più del dovuto, rallentando così l’incalzare della storia e interrompendo il claustrofobico climax da cui la graphic novel è pervasa; anche la dimensione allucinatoria, spesso eccessiva e ripetitiva, rischia di diventare fuorviante. Nel complesso però, The Green Woman è un’opera che non deluderà gli appassionati dei generi di cui è la crasi (noir, thriller, horror…), complici anche gli splendidi dialoghi scritti da Straub.

E’ doveroso un discorso a parte per la componente artistica della nuova graphic novel Vertigo: le splendide tavole del grande artista John Bolton, magistralmente dipinte, aumentano il grado di immedesimazione da parte del lettore nel crudo horror di Straub ed Easton, aggiungendo un grande valore al volume e riuscendo a creare un’atmosfera d'impatto, forte e coinvolgente.

Cowboys & Aliens

Mentre la lotta tra cowboy e indiani impazza nel far west, una navicella aliena atterra sul nostro pianeta con il chiaro intento di colonizzare la Terra e i suoi abitanti. Come spesso accade quando compare un nemico comune, i vecchi rivali sono costretti a mettere da parte i loro rancori e collaborare per affrontare una minaccia maggiore…

Nella pagina dedicata agli autori del graphic novel Cowboys & Aliens, alla voce Scott Mitchell Rosenberg, leggiamo: “crea, sviluppa e produce progetti a fumetti adattandoli ai più diversi media”. Il problema di Cowboys & Aliens è principalmente questo: è chiaramente un progetto nato con l’idea di diventare un film, ancor prima di essere dato alle stampe. La versione cartacea diventa quindi una sorta di sussidio, che, anche se dovrebbe essere il punto d’inizio di un’operazione destinata a sfociare in una versione cinematografica, risulta invece essere tristemente simile a quelle riduzioni a fumetti, tratte da lungometraggi di successo, di cui non si sente il bisogno.

La sceneggiatura, di Andrew Foley e Fred Van Lente, è piatta e approssimativa, non coinvolge il lettore, nè lo diverte… Il che è un vero peccato, vista l’originalità dello spunto: un combattimento tra cowboy e alieni colonizzatori non si era mai visto, e un’idea simile avrebbe potuto dare origine a un graphic novel intelligente e ricco di componenti ironiche e citazioniste. Spesso, quando si ha a che fare con generi come il western moderno, se il luogo comune viene portato all’esagerazione, può risultare autoironico e di conseguenza divertente e azzeccato: Cowboys & Aliens non cavalca il clichè a sufficienza quando e quanto dovrebbe, ma lo utilizza a sproposito, facendo irrimediabilmente diventare il luogo comune quello che è alla radice: una semplice banalità, se visto in quest’ottica. Il risultato è un calderone che non ricalca con ironia i generi di cui è la crasi come dovrebbe, una sorta di ibrido sradicato dal terreno in cui è cresciuto, e al quale dovrebbe mostrare molta più gratitudine, magari deridendolo affettuosamente.
Beninteso, alcune trovate interessanti ci sono (come ad esempio l’equazione iniziale secondo la quale l’uomo bianco è per gli indiani ciò che i colonizzatori spaziali sono per lui), ma, per come sono sviluppate, sembrano studiate per il grande schermo, non per la carta stampata.

Anche la componente artistica, opera dei veterani Dennis Calero e Luciano Lima, lascia a desiderare: così come la sceneggiatura, anche i disegni sono stati realizzati con la mano sinistra da autori di norma abilissimi. Prive di solennità ed esagerazione, qualità che un combattimento tra cowboy e mostri spaziali richiederebbe, le tavole si susseguono senza stupire.

Nemmeno la veste editoriale è degna di nota: anzi, la scelta infelice di utilizzare la locandina del film come copertina non fa altro che acuire la sensazione di tenere tra le mani un gradino inutile tra una sceneggiatura e un lungometraggio.

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