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Leonardo Cantone

Leonardo Cantone

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New York intitola una strada a Bill Finger, co-creatore di Batman

New York ha deciso di dedicare una strada al celebre co-creatore di Batman, Bill Finger. Per chiunque si troverà a passeggiare nel Bronx, e precisamente nell'angolo nord-est più vicino al Poe Park, passeggerà nel parco in cui, secondo la famiglia dell’autore, Bob Kane e Bill Finger parlarono per la prima volta del Cavaliere Oscuro.

La cerimonia si terrà l’8 dicembre e interverranno Athena Finger, la nipote del fumettista, e lo storico Marc Tyler Nobleman, autore del libro Bill the Boy Wonder: The Secret Co-Creator of Batman.

(Via Newsarama)

Capitano Adama incontra Capitano Caino: il crossover a fumetti di Battlestar Galactica

La Dynamite Entertainment ha annunciato la saga-evento che soddisferà tutti gli amanti della serie televisiva Battlestar Galactica: l’incontro tra il comandante Adama e il comandante Caino.
Gli equipaggi dei diversi filoni narrativi si incontreranno e scontreranno sulle pagine di una saga a fumetti nata dalla penna di Peter David e disegnata da Johnny Desjardins, che si aprirà con la scoperta, da parte dell’equipaggio della Pegasus, dell’Ultimo Cylone: sarà la minaccia con cui hanno già avuto a che fare o una ancora peggiore?

In attesa dell’uscita prevista in USA il 10 gennaio 2018, CBR ha pubblicato in anteprima le prime tre tavole a matita e le cover variant di Battlestar Galactica vs. Battlestar Galactica #1, affidate all’arte di John Cassaday, Michael Adams e Roberto Castro.

Huck, recensione: la purezza del supereroe secondo Mark Millar e Rafael Albuquerque

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Mark Millar ha abituato il lettore dei suoi fumetti e lo spettatore dei film ispirati ai suoi lavori alla decostruzione del mito supereroico (Kick Ass), a capovolgimenti narrativi (Wanted), alla ironica dissacrazione di modelli avventurosi (Secret Service), il tutto condito con violenza improvvisa e spesso esasperata, alimentando così l’effetto caustico dei suoi lavori. Con Huck, l’autore scozzese, intraprende una strada diversa avviata già con opere dal gusto classico come Starlight ed Empress, ovvero un recupero di atmosfere classiche, condite da una narrazione fresca e moderna.

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Fin dalle prime tavole si rivela lo scopo di Millar: il revival del buonismo dei fumetti anni ’50, fatto di eroi sempre sorridenti, buone azioni, di cattivi monodimensionali con mire di conquista globale. Huck, difatti, è un giovane benzinaio cresciuto in un orfanotrofio e dove, fin da piccolo, gli è stato insegnato il dovere morale ed etico di compiere almeno una buona azione al giorno. Il giovane eroe vive in una piccola comunità e tutti hanno deciso di mantenere il suo segreto. Chiaramente, questo segreto non rimarrà a lungo tale: la rivelazione della sua esistenza al mondo, spalancherà le porte al passato di Huck, ignoto anche a lui.

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Chiariamo subito che Millar non opera una decostruzione del mito supereroico anni ’50, piuttosto sceglie di muoversi sul confine tra citazionismo nostalgico e rielaborazione linguistica del fumetto action. Nonostante la storia sia ambientata ai giorni nostri, l’atmosfera è quella post bellica, dell’America rurale che, ipocritamente, pensava bastasse l’apparenza per creare la sostanza. E il fantasma che drammaticamente aleggia per tutta la storia è quello della Guerra Fredda, della corsa agli armamenti, non più nucleari, ma superumani. Il buono e sempliciotto Huck ha il compito di incarnare l’ideale dell’eroe “senza macchia e senza paura” e, in un contesto fumettistico contemporaneo in cui i supereroi sembrano solo combattere tra di loro piuttosto che aiutare l’umanità, questo ritorno alle origini si configura, dunque, come una novità. Millar si conferma sempre come un autore in controtendenza e capace di intercettare, nei propri lavori, diverse tensioni socio culturali.
L’autore torna ad esplorare l’icona di Superman (Superior e Nemesis, come anche Wanted, già erano stati terreno di sperimentazione), per poter raccontare ancora una volta le sfaccettature della vita quotidiana, realistica e vicina al lettore, in cui si intromette la dimensione supereroica. Se questa migliorerebbe o meno il nostro mondo, è un giudizio destinato solo al lettore.

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Per questo capitolo del suo Millarworld, l’autore scozzese, sceglie Rafael Albuquerque. Il disegnatore, coadiuvato dagli straordinari colori di Dave McCaig, si allinea perfettamente con l’obiettivo narrativo dello sceneggiatore, passando, con pochi ma efficaci tratti, da un’atmosfera soleggiata ed idilliaca, ad una cupa e drammatica. Il suo tratto che, specie nelle scene maggiormente concitate, vira verso una deformità fisica ma dalla grande espressività plastica, descrive con chiarezza l’intromissione del linguaggio filmico che Millar ricerca costantemente nei suoi lavori.

L’edizione Panini Comics ha in calce l’interessante studio dei personaggi principali che ne mostrano l’evoluzione grafica e il lavoro del disegnatore sulla costruzione di alcune tavole del fumetto.

#Like4Like, recensione: Il presente distopico di Marco Rincione e Prenzy

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Il fumetto è uno straordinario strumento per poter indagare il tessuto socio-culturale di un’epoca. Bastano due autori (anche uno solo) che a quattro mani, e a volte inconsapevolmente ma segretamente depositari di una consapevolezza sociale, riescono ad intercettare alcune dinamiche culturali e contestuali all’epoca in cui vivono, facendosi portavoce di una memoria storica. #Like4Like è questo, ma la lettura del volumeo lascia trasparire la completa consapevolezza e la totale padronanza del nucleo concettuale del graphic novel.

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Marco Rincione ai testi e Prenzy (Francesco Chiappara) ai disegni realizzano un lucido e drammatico fumetto distopico su un futuro non precisato (ma angosciosamente vicino a noi) in cui l’economia e le leggi sono basate sullo sfruttamento dei “like” conquistati (spesso con fatica e con risvolti terribili) sul social network “Likebook”.
Due storie – separate da un racconto breve di Rincione, doloroso grido di aiuto di una vittima della socializzazione – vengono utilizzati dagli autori come pretesto narrativo per operare una riflessione che parte dalla ormai scontata consapevolezza dell’endemico utilizzo dei social network, per esplorare dinamiche relazionali molto più complesse e tristemente stratificate che condizionano non più il solo “io digitale” degli utenti ma anche il quotidiano “reale” degli stessi.

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La prima storia vede Whitney Conray, arrestata per il crimine di aver apposto sotto una sua fotografia su Liekbook un “auto-like”. Ciò che Withney ha fatto, non è solo aver autocertificato di “importanza e bellezza” il proprio contenuto, ma di aver osato destabilizzare il sistema economico-sociale su cui si basa questo mondo. La seconda storia vede, invece, una giovane coppia, mediamente indigente, a corto di “like” e che tenta, tramite i social network, di racimolare “mi piace” attraverso contenuti generalisti: video di ricette, prima, e di gattini, poi.

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Il fumetto non vuole, di certo, mettere in guardia e non si pone come giudice dell’operato dei social network e dei suoi avventori. La sceneggiatura di Rincione attesta, attraverso una metafora dal sapore fantascientifico, una realtà sociale dalla quale non si può sfuggire e nella quale ognuno di noi è membro effettivo e attivo. Esposizione pubblicitaria di noi stessi alla ricerca di consensi, non importa quanto veritieri, disperata rincorsa di banali contenuti per facili “like” e, soprattutto, la progressiva disumanizzazione celata dallo schermo digitale e mascherata di buonismo artefatto ed esibito. Il disegno di Prenzy, deformato e caricaturale, esaspera la visione contorta di questa cupa rete sociale del “futuro”, tratteggiando, con grafismo nervoso, i personaggi del fumetto. Sia in un freddo e asettico laboratorio futuristico che in un ambiente realistico, nel disegno di Prenzy lo spazio non rimane semplice set della scena ma acquista la valenza narrativa di serrare i personaggi nelle proprie ossessioni “social”, attraverso immagini che l’internauta facilmente conosce e riconosce.

Il comportamento e l’emotività di tutti gli attori dei tre racconti genera un cortocircuito etico nel lettore che non può far altro che ammettere che, in fondo, anch’egli, contribuisce alla costruzione di questo infelice mondo artatamente “social”.

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