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Luca Tomassini

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Sweet Tooth - Il Ritorno, recensione: nel futuro della distopia di Jeff Lemire

Sweet Tooth Il Ritorno

Invitato sul set della trasposizione televisiva tratta dalla sua apprezzata serie a fumetti Sweet Tooth, Jeff Lemire ha potuto toccare con mano come la sua idea originale potesse essere ripresa e declinata per un nuovo pubblico, in un mondo che improvvisamente si trova a fare i conti con una pandemia diversa a quella descritta nella sua opera perché tristemente reale. Difficile pensare che l’autore canadese non avrebbe rimesso mano ad uno dei suoi lavori più celebrati, in un momento in cui la comunità internazionale si trova ad affrontare uno scenario di cui la serie sembra essere stata, col senno del poi, un’allegoria premonitrice.

Sweet Toothdi cui abbiamo parlato recentemente in occasione della ristampa targata Panini Comics – ci portava in un futuro prossimo, in cui l’umanità è stata decimata da una pandemia scoppiata improvvisamente, causando il collasso della civiltà. Sette anni dopo, il mondo è testimone della comparsa di una nuova razza di ibridi, metà uomini e metà animali. Questi esseri sembrano essere immuni al contagio, e diventano subito preda di cacciatori senza scrupoli che vogliono catturarli per venderli come cavie a scienziati intenzionati a vivisezionarli per motivi di studio. Tra gli ibridi troviamo Gus, il protagonista della storia, orfano metà bambino e metà cervo che vive nei boschi del Nebraska. Insieme al misterioso Jepperd, uomo della provvidenza che lo salva da un gruppo di bracconieri che stavano per catturarlo, Gus vive un’epopea on the road che sarà un vero e proprio viaggio di formazione, dall’epilogo malinconico.

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Lemire aveva dato alla sua opera una chiusura perfetta, quindi l’idea stessa di un possibile sequel era piuttosto complicata da seguire. L’autore è ricorso ad un escamotage narrativo, quello di spostare il racconto trecento anni dopo gli eventi narrati nella serie originale. In questo futuro distopico di un futuro distopico, una razza umana quasi estinta sopravvive in una sparuta comunità che vive sotto un bunker. Il gruppo di sopravvissuti conduce un’esistenza stanca e rassegnata, tanto per la propria situazione quanto per la teocrazia esercitata dal Padre, l’autoproclamatosi leader della comunità che vive circondato da milizie e servitori in una residenza avvolta dal mistero. Misteriose, infatti, sono le sparizioni di molti dei bambini del villaggio che sembrano collegate alle losche attività che si svolgono nel palazzo. Incapace di ribellarsi al regime del Padre, la comunità confida nella profezia di un salvatore ibrido che li libererà e riporterà la specie umana in superficie. E in effetti, a loro insaputa, quell’ibrido è già nato. Si chiama Gus, come il bambino cervo della serie originale con cui non sembra però avere alcun legame, e vive in gran segreto nel palazzo del Padre. Cresciuto in un ambiente rigido e chiuso da cui è impossibile evadere, Gus non ha ricordi del suo passato anche se ha spesso visioni che sembrano ricordi di una vita precedente. La sua naturale passione per la verità lo porterà a scoprire il terribile segreto custodito nel palazzo del Padre e a ribellarsi, regalando una nuova chance di vita e di libertà al gruppo di sopravvissuti.

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Leggendo Sweet Tooth – Il Ritorno si intuisce facilmente il motivo per cui Jeff Lemire ha ripreso in mano una delle sue opere più celebri, peraltro già perfettamente compiuta: la necessità di dare un messaggio di speranza ad un mondo che sta affrontando una pandemia tremendamente reale. Se la collana originale voleva essere da monito ad un’umanità che si stava perdendo, questa nuova uscita vuole essere un auspicio di superamento del momento più buio affrontato dall’umanità stessa negli ultimi decenni. L’autore si spinge oltre, suggerendo un’uscita dalla crisi che non riguardi solo un gruppo sociale ma l'intera popolazione nel suo complesso. L’allegoria del mondo nuovo che aspetta in superficie tanto gli umani quanto gli ibridi è emblematica in tal senso.

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La storia perde il dinamismo della serie originale, il viaggio on the road con la dinamica padre-figlio ricca di echi de La Strada di Cormac McCarthy, optando per una unità di luogo rappresentata essenzialmente dal bunker sotterraneo. Ciò non toglie la possibilità ad un narratore sopraffino come Lemire di sorprendere il lettore con twist di sceneggiatura che lo faranno sobbalzare sulla sedia. Come nella collana originale, Lemire si assume anche l’onere delle matite oltre a quello dei testi. Conosciamo ormai molto bene il suo stile semplice ma non grossolano, memore delle origini indie dell’artista, il suo tratto grezzo ma non dozzinale, fortemente empatico, antitesi della spettacolarità ma proprio per questo capace come pochi di trasmettere emozioni che vanno dritte al cuore del lettore.

Panini Comics propone Sweet Tooth – Il Ritorno nella sua ormai consolidata linea di cartonati "Black Label" dedicata alle proposte DC Comics d’autore, un formato di prestigio per un’opera che farà felici i fan della serie originale, ma che potrebbe spiazzare i nuovi lettori ignari degli avvenimenti precedentemente narrati.

Black Hammer/Justice League - Il Martello della Giustizia, recensione: giocare con gli archetipi

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Quando Black Hammer fece la sua comparsa sugli scaffali dei comic shop nel 2016, fu evidente come il suo creatore Jeff Lemire stesse portando la fiaccola del decostruzionismo e della metatestualità nel fumetto di supereroi contemporaneo. Collocatosi sul solco di classici moderni come il Supreme di Alan Moore e Astro City di Kurt Busiek e Alex Ross, Black Hammer è un fumetto in cui il genere supereroistico riflette su se stesso e sui suoi meccanismi ben conosciuti dal suo autore che è un fan sfegatato del genere stesso. Ne abbiamo parlato più volte in passato, sottolineando come Black Hammer sia prima di tutto un omaggio commosso di Lemire alle sue letture d’infanzia, di cui si avvertono potenti gli echi in ogni vignetta.

Già la vicenda in sé, che racconta di un quintetto di eroi che, impegnati a sventare una crisi dimensionale causata dal malvagio Anti – Dio, scompaiono improvvisamente dalla metropoli Spiral City finendo per essere ritenuti morti, ricorda un evento chiave della storia del fumetto americano come Crisi sulle Terre Infinite. Se nella saga spartiacque della storia della DC Comics gli eroi della Golden Age sacrificatisi durante la battaglia finale contro l’Anti – Monitor sopravvivevano in una sorta di “dimensione tasca”, in Black Hammer gli eroi scomparsi riappaiono nella contea di Rockwood, in una provincia rurale dimenticata da Dio dove i supereroi non sono mai esistiti. L’ambiente campagnolo diventa così il limbo in cui gli eroi si ritrovano esiliati loro malgrado, costringendoli a svestire le calzamaglie per accettare una nuova esistenza agreste, lontana dalla gloria che fu, riservata solo a fulminanti flashback. Memorie di imprese epiche lontane nel tempo in cui il lettore può rintracciare echi delle proprie letture d’infanzia. In questo gioco di riferimenti sparsi, una caccia al tesoro metatestuale che costituisce la cifra stilistica che caratterizza l’opera, i lettori potranno facilmente riconoscere nei protagonisti l’omaggio di Lemire ad alcuni dei personaggi classici della DC Comics: se Abraham Slam si rifà tanto ad Atom e a Wildcat della Justice Society of America, Golden Gail richiama Shazam, Barbalien fa pensare al Martian Manhunter della Justice League, Il Colonnello Weird è un omaggio alle avventure sci-fi di Adam Strange mentre dietro Madame Dragonfly si cela la Madame Xanadu delle testate horror DC degli anni ’70.

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Dopo aver deliziato il lettore con quattro volumi (e numerosi spin-off) pieni di omaggi e strizzate d’occhio al genere supereroistico, il passo successivo compiuto dall’autore è stato quello di ospitare tra le pagine della sua serie, che è un’analisi del genere stesso, i simboli per antonomasia del comicdom, ovvero Superman, Batman e i colleghi della Justice League. Una scommessa azzardata, quella di rendere scoperto il gioco di rimandi per iniziati che ha caratterizzato Black Hammer finora, contaminandolo con le icone reali del fumetto di supereroi, che si rivela però vincente grazie alla verve narrativa di Lemire. Dando per scontato che il lettore conosca i personaggi della sua fortunata opera, l’autore mette in scena un team-up insolito fra i suoi esuli e la Lega più celebre della storia del fumetto, partendo non da un classico incontro ma da uno scambio di ruolo: grazie all’intervento di un misterioso personaggio magico, che sembra poter passare da un universo all’altro senza problemi, i due supergruppi si ritrovano improvvisamente uno nell’habitat dell’altro. Così Abe e i suoi si ritrovano catapultati a Metropolis sostituendo la League durante una dura battaglia contro Starro; intanto, Batman, Superman, Wonder Woman, Cyborg e Flash prendono il loro posto nella quieta contea di Rockwood. Mentre gli esuli di Black Hammer vengono affrontati da Aquaman, Hawkgirl, Martian Manhunter e il resto della Justice League, che li crede responsabili della scomparsa dei loro amici, a Rockwood Bruce, Clark, Diana e gli altri vivono un’esistenza rurale nella loro fattoria dove trascorrono dieci anni, a causa di una bizzarra anomalia temporale. Ma forse le cose non stanno proprio così, e la rivelazione dell’identità del misterioso (ma non troppo) villain porterà la vicenda verso una risoluzione da classico team-up.

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Black Hammer/Justice League: Il Martello della Giustizia è una deviazione godibile e fracassona dalla narrazione principale dell’epopea citazionista di Lemire, nata dall’ evidente desiderio dell’autore di far incontrare le sue creazioni con molti degli archetipi che li hanno ispirati, vedi i siparietti tra Barbalien e Martian Manhunter, l’incontro tra Madame Xanadu e Zatanna, o quello tra il Colonnello Weird e gli eroi spaziali per eccellenza dell’universo DC, il Corpo delle Lanterne Verdi. Il risultato è quello di un’opera meno centrata della serie principale dal punto di vista del rigore formale e del citazionismo, ma che rimane comunque all’insegna dell’intrattenimento di qualità e della forte cifra autoriale tipica dell’autore.

In assenza del disegnatore titolare di Black Hammer Dean Ormston, l’onere delle matite è affidato a Michael Walsh, autore di provenienza indie che, seppur dotato di un tratto più realistico di quello del collega, riesce a mantenere una continuità stilistica con l’opera principale all’insegna di uno storytelling semplice ma non privo di efficacia, all’insegna dell’anti – spettacolarità. Una scelta insolita per un crossover tra supereroi, che ne denuncia ulteriormente la vocazione autoriale.

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Black Hammer/Justice League: Il Martello della Giustizia viene presentato da Panini Comics in un pregevole cartonato da libreria, corredato da preziosi extra tra cui le numerose copertine variant dell’edizione statunitense e i bozzetti di Walsh, che si segnala soprattutto per gli ottimi redazionali di Andrea Gagliardi, indispensabili per inquadrare l’opera nel contesto decostruzionista a cui appartiene e per il prezioso approfondimento critico.

DCeased - Pianeta Morto, recensione: il ritorno dei morti viventi targati DC Comics

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L’apocalisse zombie è il filone narrativo che più di tutti, in questi primi venti anni del nuovo secolo, ha rappresentato un’efficace allegoria delle crisi sociali, economiche e politiche che hanno attraversato il nostro tempo. La progressiva perdita delle certezze acquisite nella seconda metà del Novecento ha fatto si che la metafora di un mondo dove le istituzioni crollano sotto la spinta di morti viventi, concepita per prima da George Romero nell’arco della sua filmografia, dilagasse nella fiction cinematografica, televisiva e fumettistica. È il caso di The Walking Dead, serie cult scritta da Robert Kirkman e pubblicata da Image Comics che ha generato una longeva serie tv di grandissimo successo. Nel 2005, durante un breve periodo di collaborazione con la Marvel, Kirkman portò nella Casa delle Idee la sua predilezione per le storie a tema zombesco. Nacque così Marvel Zombies, riuscitissima combinazione tra morti viventi e il mondo dei supereroi che ha generato numerosi sequel e spin-off nel corso degli anni. Kirkman accompagnò i lettori in un universo Marvel alternativo, segnato dalla piaga di un contagio che non aveva risparmiato i super-esseri, costringendo un manipolo di sopravvissuti ad una difficile lotta per la sopravvivenza.

L’altra big del fumetto statunitense, la DC Comics, non ha inseguito immediatamente la moda a tema zombie come la rivale, salvo poi gettarsi nella mischia, nel 2019, con la miniserie DCeased, scritta da Tom Taylor e disegnata da Trevor Hairsine. Il gioco di parole che da titolo all’opera è eloquente: il lanciatissimo Taylor, esploso in DC grazie alla saga Injustice, tratta dall’omonimo videogioco ambientato in alternativo futuro distopico, immagina una terra parallela abitata da versioni a prima vista abituali delle familiari icone DC, ma in realtà profondamente diverse. Nel primo volume della saga, Apocalisse Zombie, avevamo assistito al tentativo di Darkseid, finito tremendamente male, di ricomporre l’Equazione dell’Anti-Vita partendo dalla metà in suo possesso e dall’altra metà prelevata dal corpo di Cyborg, rapito e portato per l’occasione su Apokolips. La scoperta tardiva che l’equazione è corrotta e che si tratta di un virus tecno-organico prende di sorpresa Darkseid, che pur rispedendo immediatamente Cyborg sulla Terra, provoca la distruzione di Apokolips e la sua stessa fine.
Sulla Terra la situazione degenera immediatamente: dai sistemi di Cyborg il virus si propaga subito online, sfruttando internet, e dai dispositivi compromessi attacca le persone, trasformandole in zombie. Cadono, tra gli altri, icone della comunità supereroistica come Superman, Batman e Wonder Woman, rimpiazzati dai loro eredi, ma anche Lanterna Verde, Flash e Aquaman.

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Nel terzo volume della saga, Pianeta Morto, da poco uscito per Panini Comics, il drappello di eroi superstiti, che hanno evacuato la Terra portando i sopravvissuti al sicuro, ricevono un messaggio da Cyborg, i cui resti cibernetici giacciono ancora sul pianeta abbandonato. È un messaggio importante, che potrebbe contenere la chiave per una cura per tutta l’umanità. La Justice League dovrà decidere se rischiare il tutto per tutto tornando sul pianeta ormai devastato, e la decisione porterà a nuovi ed inevitabili sacrifici. Ma la Terra non è rimasta del tutto indifesa grazie all’impegno di John Costantine e dello Shadowpact, gruppo di esseri dotati di poteri magici. E proprio Costantine si prenderà la luce dei riflettori, con una decisione che avrà un forte impatto sull’esito finale della vicenda.

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Dceased: Pianeta Morto porta a compimento le trame iniziate da Tom Taylor nei due volumi precedenti e ne costituisce il climax. Anche se la lettura dei due precedenti capitoli è consigliata, la miniserie non mancherà di appassionare anche i lettori appena arrivati, grazie alla scaltrezza narrativa di Taylor che, dopo una breve sintesi delle puntate precedenti, getta subito il lettore in una sarabanda di azione e suspense da togliere il fiato. Il fatto di giocare con versioni alternative delle più celebri icone del DC Universe dà allo sceneggiatore la possibilità di tratteggiarne caratterizzazioni segnate da lutti e da esperienze estreme, che le rendono simili ma diverse dalle controparti originali. Il copione è quello tipico delle opere apocalittiche di questo genere e della struttura restaurativa in tre atti (dopo la presentazione dei personaggi e la fase dello scontro e lotta, avvenuti nei volumi precedenti qui ci troviamo davanti alla risoluzione della crisi). Si tratta però di un piano eseguito brillantemente e non pedissequamente da Taylor, che colpisce duro sul piano emotivo causando shock a ripetizione al lettore.

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Dal punto di vista grafico è piacevole ritrovare Trevor Hairsine, artista britannico autore del primo volume e artista emergente dei primi anni 2000, quando si guadagnò un posto tra gli “Young Guns”, gli astri nascenti di casa Marvel. Hairsine è ricordato soprattutto per l’ottimo lavoro svolto sulla linea “Ultimate” della Marvel in quegli anni, che sembrava il preludio ad una carriera di altissimo livello. Non tutte le promesse sono state mantenute, ma in Dceased: Pianeta Morto il lavoro svolto è di notevole profilo. Il suo stile dinamico e dettagliato, capace di realizzare tavole spettacolari, è il perfetto compendio alla sceneggiatura mozzafiato imbastita da Taylor.
Dceased: Pianeta Morto viene presentato da Panini Comics con la consueta cura tipica della sua linea di cartonati da libreria, un volume consigliato per chi ama le letture cariche di suspense e l’intrattenimento di qualità.

Maestro: Sinfonia in Chiave Gamma, recensione: Il ritorno dell' Hulk di Peter David

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Nella sterminata produzione realizzata dagli autori Marvel nell’arco dei sessant’anni di vita dell’editore, non sono mancati i casi di cicli di storie in cui si è generata una simbiosi totale tra scrittore e la collana da lui curata. Un’identificazione completa tra autore e personaggi tale da poter affermare che quelle che i lettori leggevano sulla carta non erano solo storie, ma veri e propri pezzi di vita trasfigurate in saghe a fumetti. Il pensiero corre a subito a Chris Claremont e ai “suoi” X-Men, trasformati dallo scrittore in caso editoriale nel corso di un ciclo durato 16 anni in cui Claremont ha riverberato aspetti della sua personalità in tutti i personaggi della collana, rendendoli tridimensionali come mai accaduto prima. Se c’è un ciclo Marvel capace di rivaleggiare con i mutanti di Claremont per identificazione tra scrittore e personaggio e per la sua lunga durata, quello è senza dubbio l’Hulk di Peter David.

Quando lo scrittore iniziò la sua run, col numero 331 del 1987, la testata languiva nei bassifondi delle classifiche e attraversava un periodo difficile dal punto di vista qualitativo. La superstar John Byrne aveva tentato di rivitalizzarla, con un ciclo di sei numeri poi interrotto per trasferirsi alla DC Comics per rilanciare Superman. Il suo successore, lo stimato membro della redazione Marvel ma fumettista dalle scarse capacità Al Milgrom, assumendosi l’onere di traghettare la testata verso una nuova gestione aveva comunque introdotto una novità importante, il ritorno dell’Hulk grigio delle origini, cominciando a giocare con le crisi di identità di Bruce Banner. Ma fu con la gestione David che l’aspetto psicanalitico prese il sopravvento, trasformando il suo ciclo in una lunga seduta di terapia dedicata al povero Banner. Lo scrittore pose l’accento sui conflitti interiori che dilaniavano il personaggio, derivanti dagli abusi subiti dal padre durante l’infanzia. Le mutazioni del personaggio, da verde a grigio, da ottuso ad intelligente, erano il riflesso dei suoi stati d’animo. David prese il concetto della personalità multipla, rapidamente toccato dai suoi predecessori, e ne fece l’architrave della sua gestione.

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Il momento più felice della gestione di David, che terminò col numero 467 del 1998, fu probabilmente il periodo in cui collaborò con Dale Keown, artista che combinava la potenza del tratto di John Byrne con le linee morbide e seducenti di Alan Davis. È di questa fase del suo ciclo il celeberrimo episodio La psicanalisi di Hulk, in cui lo psicologo Leonard Samson convinse la tre personalità dominanti (Banner, l’Hulk grigio e cinico e quello verde e rabbioso) a collaborare e a fondersi in una entità unica. Ne emerse la personalità nota come Il Professore, un body builder dalla pelle verde  che conservava, moderandola, la sagacia di Joe Fixit, la versione grigia, unendola all’acume scientifico di Bruce Banner. Fu in questo periodo che videro la luce alcune delle storie più ispirate di David, visualizzate in modo elegante da Keown, che cementarono la reputazione della collana come una delle migliori di quei primi anni ’90.

Il successo della testata principale consentì la pubblicazione di speciali fuori serie ad essa collegati, la più celebre dei quali fu senza dubbio la miniserie Hulk: Futuro Imperfetto scritta da David e disegnata dal maestro George Pérez. In questa saga iconica in due capitoli, Hulk nella versione “Professore” viene trasportato in un futuro distopico da un gruppo di ribelli che chiede il suo aiuto nella guerra contro il tiranno chiamato Maestro. Con suo grande sconcerto, Banner scopre presto l’identità del despota: trattasi di una sua versione futura, unico sopravvissuto dell’Età degli Eroi, che governa il suo regno con pugno di ferro, soggiogando la popolazione e lasciando pieno sfogo al suo lato oscuro. Solo il suo vecchio amico Rick Jones, ormai anziano e messosi alla testa di una banda di rivoluzionari contro il regime del Maestro, cerca di contrastarlo. Fronteggiando la sua nemesi, Banner affronta quel lato di se che aveva sempre cercato di nascondere, la sua metà oscura e maligna. Pur uscendo vincitore dal confronto, l’incontro col Maestro non lascerà del tutto indenne il Golia Verde, provocando un turbamento interiore che avrebbe avuto importanti ramificazioni negli anni a venire. Ma una domanda era sempre rimasta inevasa: come era avvenuta la trasformazione di Banner nel despota del futuro? Qual’era stato il sentiero oscuro che lo aveva portato a questa trasformazione? Le risposte, mai finora fornite da David ma soltanto suggerite, vengono finalmente svelate in Maestro: Sinfonia in Chiave Gamma, volume che ospita il primo ciclo della nuova serie dedicata al tiranno verde.

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Peter David torna a scrivere le vicende del tiranno verde, coadiuvato dal vecchio sodale Dale Keown e dal nuovo arrivato German Peralta. Troviamo così un Hulk che si risveglia nel futuro dopo un disastro nucleare che ha decimato la popolazione mondiale, frutto della natura autodistruttiva dell’umanità. Vagando attraverso lande desolate, il Gigante di Giada riflette su quanto siano stati inutili gli anni spesi, con gli altri eroi, a difendere il genere umano da se stesso. Riflessioni amare che condivide con Rick Jones, il suo vecchio amico ormai anziano e disabile che guida la resistenza contro il Maestro, il despota che ha preso il potere a New York City, ora ribattezzata Dystopia. Hulk andrà a cercarlo per affrontarlo e batterlo, ma non per liberare la popolazione soggiogata, quanto per reclamarne il titolo e sostituirsi a lui. D’altronde, e questo sarà il motivo del contrasto che lo porterà ad allontanarsi da Rick, a Banner non interessa più il destino della gente comune, che ritiene responsabile della fine del mondo.

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Il ritorno di Peter David al personaggio che ne ha segnato la carriera è un fumetto di fantascienza distopica che dedica più spazio all’azione che all’introspezione psicologica che è il tratto tipico dello scrittore. La conversione di Hulk da eroe a despota privo di empatia è troppo frettolosa, e non pienamente giustificata da monologhi interiori e dagli scambi di battute con Rick Jones che ne preannunciano la svolta caratteriale. Preso invece come una sorta di “Mad Max” supereroistico, Maestro ha una sua ragione d’essere, anche per lo spettacolare comparto artistico che accompagna i testi di David. German Peralta fa parte della nidiata dei giovani artisti che si stanno facendo largo in Marvel negli ultimi anni, e si era già fatto notare con ottimi cicli di Thanos e Cable. In Maestro sforna tavole spettacolari e dettagliate, ricche d’azione, che i colori densi di Jesus Aburtov esaltano creando un effetto d’insieme che ricorda molto le bd francesi. Dale Keown si incarica invece di aprire il volume, illustrando il prologo e le back-up stories dei capitoli successivi. Il suo stile è ora più massiccio rispetto alla sua celebre run su Incredible Hulk, anche per l’adesione allo stile Image della seconda metà degli anni ’90 che sembra essere rimasto un suo tratto distintivo, e al suo dedicarsi ormai soprattutto a pin-up e cover, fattore che ne ha frenato le capacità di storyteller in anni recenti. Resta intatta comunque la sua capacità di confezionare tavole spettacolari e d’impatto, che attrarranno sicuramente i vecchi lettori e appare bizzarra la scelta della Panini di non indicare il suo nome in copertina accanto a quello degli altri autori.

Maestro: Sinfonia in Chiave Gamma è un volume suggerito soprattutto per i vecchi fan di Peter David e del suo Gigante di Giada, anche se bisognerà attendere una seconda uscita per leggere la conclusione delle vicende del verde despota del futuro.

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