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Dylan Dog 250

Dylan Dog 250 (Sergio Bonelli Editore, brossurato, 100 pagine in b/n, € 2,70) testi Tiziano Sclavi, disegni Bruno Brindisi, colori Studio Tenderini

Dylan Dog 250Per l’Indagatore dell’incubo per eccellenza il tempo dei festeggiamenti sembra non finire mai. A pochi mesi dal ventennale è infatti giunto il momento di un’altra celebrazione.

Al protagonista, però, questa nuova avventura deve sembrare tutto fuorché una festa. Tiziano Sclavi, sadico ma non per questo meno ispirato, ha deciso di colpirlo nel suo tallone d’Achille: la claustrofobia. Un ascensore senza uscite è infatti il filo conduttore di una trama costruita su continui risvegli e altrettanti cambi di location. Ne esce un viaggio la cui oniricità viene spinta fino all’inevitabile smarrimento delle certezze, fino a non lasciar trapelare cosa sia reale e cosa no.

In realtà, quello che Dylan si ritrova a intraprendere è un percorso forzato dagli eventi, un cammino al limite dello psicoanalitico la cui complessità rischia di creare un paradosso: far sembrare banale il soggetto ideato da Sclavi, quasi fosse l’incarnazione del nulla narrativo. Al contrario esso assomiglia a un groviglio di messaggi da decodificare, trasmessi anche per mezzo di citazioni che spaziano dalle liriche di De André alle architetture ispirate da Tolkien.

L’azione porta a una reazione, la commissione del peccato induce a un tentativo di espiazione di un senso di colpa latente. La volontà di non sacrificare il buono rimasto dentro un’anima ormai corrotta da mostri e demoni interiori. Il terrore di riscoprirsi mediocri tra i mediocri, e la conseguente fobia di ritrovarsi nei panni di un boia divenuto tale proprio per sfuggire a quel meccanismo che ci vorrebbe tutti uguali. La solitudine interiore, percepibile nel momento in cui si affronta il giudizio, paragonata al vuoto relazionale di una metropoli deserta. Lo smarrimento di ogni certezza, l’isolamento come costante di un’esistenza resa malinconica da una progressiva perdita di senso.

L’Ascensore per l’Inferno è un cunicolo interdimensionale capace di attraversare i diversi piani della mente, una trappola senza via di fuga la cui destinazione è il luogo di un giudizio inevitabile, di un processo da svolgersi di fronte allo specchio deformato della coscienza, raffigurata come un tribunale dalle fattezze luciferine.

Al contrario del buon Dylan, al lettore questo numero deve invece apparire come una vera e propria cerimonia a cui non manca nulla. C’è una sceneggiatura che coinvolge, in linea con lo stile visionario ed equilibrato di Sclavi, il quale dimostra di saper dosare le parole, di saper lasciare parlare le immagini e, di conseguenza, di riuscire a mantenere dei tempi narrativi ineccepibili. Ci sono i disegni di un Bruno Brindisi che incanta soprattutto nella vignette di più ampio respiro e, infine, c’è una colorazione più che efficace a opera dello Studio Tenderini.

Si direbbe, dunque, che in casa Bonelli si sia riusciti a creare un’alchimia adatta per l’occasione, un risultato che è inevitabilmente legato alla caratura dei nomi chiamati in causa.



Simone Celli
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