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JLA TP 19

JLA TP 19: Il dolore degli dei (Play Press, 144 pagg., Brossurato , colori, € 13,00) testi di Chuck Austen, disegni di Ron Garney


La clamorosa ascesa nell’olimpo dei comics di Chuck Austen, autore che nel giro di pochissimi mesi è passato dallo status di novello carneade a quello di scrittore hot - in grado di tirare le fila delle principali icone di casa Marvel e DC - è una parabola tipicamente americana: l’uomo comune che, grazie alla sua intraprendenza, scala i gradini del successo e siede tra i grandi… fino al triste epilogo ed al ritorno al (quasi) anonimato.
Amato dagli editor ed inviso dai fan più fedeli ed oltranzisti delle due Major, nei circa tre anni durante i quali ha tenuto le fila di personaggi come gli X-Men, Superman, Capitan America e i Vendicatori, Austen ha saputo meravigliare (e sconvolgere) i lettori con intuizioni spesso brillanti e meritevoli di approfondimento, ma altrettanto spesso narrate in maniera scialba e anonima, con uno stile di scrittura che sembrava più interessato a sollevare reazioni immediate che a raccontare con amore e fedeltà le gesta dei protagonisti. Un autore troppo di frequente sopra le righe a dai cui scritti si evince con troppa prepotenza il suo totale disinteresse nel mettersi al servizio del personaggio, arrivando, pur di riuscire a raccontare le proprie storie, a stravolgere le caratterizzazioni consolidate in decenni e decenni.
I medesimi pregi e difetti della scrittura di Austen caratterizzano anche il suo breve ciclo narrativo sulle pagine della collana dedicata agli eroi più potenti del cosmo DC, recentemente pubblicato - con il titolo Il dolore degli dei - dalla Play Press sulla collana di volumi JLA TP.
Partendo da uno spunto estremamente interessante e di sicuro poco sfruttato nell’universo superomistico - il dolore che gli eroi provano in conseguenza ai propri fallimenti, e pensando alle vittime che i loro errori generano - Austen costruisce una storia ricca di spunti interessanti ma narrata in maniera svogliata e ripetitiva che si trascina stancamente fino al suo banale epilogo.
Il dolore di Superman, che nel corso di un incendio ha permesso a un eroe nuovo e a lui sconosciuto (le cui fattezze sono ricalcate sul capo famiglia degli Incredibili) di aiutarlo e di sacrificare la propria vita, se da un lato offre una prospettiva interessante e getta nuova luce sulla fragilità emotiva dell’uomo d’acciaio, finisce per essere abbastanza banale e poco credibile anche per il lettore meno aduso alla lettura dei fumetti dedicati alle gesta degli uomini in calzamaglia: è mai possibile che in oltre sessant’anni di avventure Kal-El non abbia mai avuto a che fare con i danni collaterali delle sue gesta (e soprattutto di quelle dei suoi nemici)?
Le perplessità diventano paradossali proseguendo nella lettura del volume. Capitolo dopo capitolo assistiamo da un lato a un Superman affranto che sorveglia l’orfano dell’eroe caduto mentre litiga con compagni di classe sempre troppo poco comprensivi (e viene da chiedersi: un Superman così sensibile, non si rende conto che mentre lui sorveglia un ragazzino nel mondo muoiono centinaia di persone altrettanto incolpevoli?), dall’altro a una specie di epidemia che colpisce uno dopo l’altro tutti i membri della JLA mettendoli a confronto con le conseguenze dei propri errori. E mentre il lettore più scafato è più che convinto che prima o poi uscirà dall’ombra un mefistofelico burattinaio che ha tirato le fila della storia, Austen spiazza tutti rivelando che l’ignoto eroe morto sul campo era il capostipite di una famiglia di incredibili eroi, disposti a tutto pur di vendicarlo… ma altrettanto pronti a rassegnarsi repentinamente al trionfo di un bene superiore, rappresentato dal fatto che anche gli Dei provano nel profondo il loro medesimo dolore.
Più che una storia a fumetti, insomma, il volume sembra un trattatello scritto da Austen per dimostrare le proprie tesi in fatto di vendetta e dolore, un trattatello che si rivela una lettura disimpegnata ma tutto sommato decisamente prescindibile.
Alle matite troviamo un bravo Ron Garney, in grado di narrare visivamente (dalla scansione delle vignette sulla tavola fino alla scelta delle inquadrature) una storia ottima ed efficace, anche se la scelta di inchiostrarsi da solo da' fin troppo spesso l’impressione che il bravo Ron abbia tirato via un po’ troppo alcune tavole, dimostrando di aver dato più importanza al rispetto delle scadenze che non alla cura del prodotto.



Stefano Perullo





Carlo Del Grande
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