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Brad Barron 1

Brad Barron 1 – “Non umani” (Sergio Bonelli Editore, brossurato, 98 pagine in b/n, € 2.50) testi di Tito Faraci, disegni di Bruno Brindisi, copertina di Fabio Celoni.

Se ne era parlato tanto, in questi mesi. Forse persino troppo: Brad Barron, ovvero la prima miniserie di casa Bonelli (sì, è vero, negli anni ’70 c’era già stata la Storia del West di Gino D’Antonio, ma quelli erano altri tempi…). Un’unica vicenda strutturata in 18 episodi con il primo personaggio creato e gestito interamente da Tito Faraci, uno dei più talentuosi e prolifici sceneggiatori del fumetto italiano, già apprezzato autore di Diabolik, Topolino, Dylan Dog, eccetera. La storia: un’audace rilettura in chiave fumettistica dei “luoghi comuni” dell’immaginario anni ’50, adattata agli occhi (forse, un po’ stanchi) di un pubblico ormai avvezzo alla spettacolarità visiva dei film hollywoodiani, all’innovazione seriale introdotta dai telefilm e all’intensità ludica offerta dai videogiochi.
Si è discusso a lungo, e con pareri spesso contrastanti, di questo “Tom Strong” (character di Alan Moore che recupera un certo immaginario pre-supereroistico americano) in salsa Bonelli, di questo “Last Man Standing”, Ultimo Uomo In Piedi, forse l’ultima speranza di un fumetto ormai sfiancato dalle “invasioni aliene” degli altri media. Un personaggio che più classico non si può, figlio diretto di Tex e di Mister No più che di Dylan Dog o Nathan Never, e destinato a incarnare, come da tradizione, le varie declinazioni dell’avventura (non solo fantascienza ma anche hard boiled, horror, western, ecc.) in una luce più fresca e, forse, più formalmente innovativa. Ma attenzione, non ci troviamo di fronte soltanto a un soldato tutto d’un pezzo, valoroso e un po’ indisciplinato come tanti suoi predecessori. I ricordi dello sbarco in Normandia (probabilmente non dissimili dalle immagini di cruda disperazione che abbiamo visto in film come “Salvate il Soldato Ryan” di Spielberg) hanno lasciato delle ferite talmente profonde nell’animo del tenente Barron, da spingerlo a cambiare definitivamente vita: a metter su famiglia con una bella moglie (bionda), e una deliziosa bambina (bionda pure lei), a dedicarsi a una brillante carriera accademica e a scrivere persino un saggio sulle ipotesi di vita extraterrestre. È a questo punto però che cominciano i guai – perché, ovviamente, le ipotesi del professor Barron si rivelano nient’affatto peregrine. Come già Orson Welles ebbe modo di dimostrarci, i marziani non soltanto esistono davvero ma hanno pure l’intenzione di conquistare il nostro pianeta o in alternativa di raderlo al suolo.
Certamente, questi alieni non hanno il faccino rassicurante dell’E.T. di Spielberg né la ridicola meschinità di “Mars Attack” di Burton, ma rievocano piuttosto le paure di L’Eternauta e le catastrofi di “Indipendence Day” o di eventi ben più reali del nostro passato recente. Si chiamano Morb, sono brutti e cattivi, e il loro sport preferito è condizionare le menti degli esemplari umani per farne crudeli esperimenti o per obbligarli a sadici incontri all’ultimo sangue. Fortuna che i newyorkesi degli anni ’50 sono in generale delle brave persone, e che i Morb non sembrano aver colto appieno le potenzialità di alcuni esemplari particolarmente dotati come il nostro professor Barron. Il quale dovrà, suo malgrado, indossare ancora una volta i panni del soldato tutto d’un pezzo per ritrovare la propria famiglia e, forse, per spazzare dalla faccia della Terra la minaccia degli “invasori malvagi”.
Esordio funzionale all’introduzione degli ambienti e dei personaggi, “Non Umani” si segnala essenzialmente per la bella copertina di Fabio Celoni e per gli ottimi disegni “retrò” di Bruno Brindisi al servizio di un intreccio solido e ben congegnato. A una elegante costruzione della tavola, con alcune piacevoli rotture della gabbia bonelliana ed efficaci variazioni di prospettiva, si accompagna però un uso non sempre opportuno delle didascalie. Come Miller ci ha mostrato fin dagli anni ’80 (ma forse, anche quelli erano altri tempi…) la voce fuori campo è utile se integra la narrazione visiva, completandola o contrastandola senza didascaliche sovrapposizioni. Più interessante ci sembra l’inserimento dei flashback “soggettivi”, che intersecano la vicenda principale con una certa naturalezza.
Il ricorso al monologo interiore e la non-linearità della narrazione sono per il momento i principali segnali di quella “innovazione nella tradizione” che Faraci intende perseguire. È ancora presto per valutare se la sua operazione sia riuscita oppure no, di certo ci troviamo di fronte a un fumetto realizzato con grande professionalità che manca però di uno slancio ulteriore, quel fattore imprevisto che sappia coinvolgere il lettore al di là di una forma impeccabile ma fredda. Vedremo se ciò avverrà nei prossimi episodi. Brad Barron è qui, finalmente. Possiamo anche smettere di parlarne.


Davide Scagni
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