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Vendicatori: Zona Rossa

Zona Rossa (pubblicato su Thor 58-62, Paninicomics), testi di Geoff Johns, disegni di Olivier Coipel.
Voto: 7,5

Vi sarà capitato qualche volta di andare al cinema senza entusiasmo, rassegnati a vedere l’ennesimo film holliwoodiano, magari ben girato e ben interpretato, ma dalla trama scontata e dagli espedienti narrativi usati mille volte. In alcune fortunate e rare occasioni può succedere che veniate smentiti: vi accorgete con stupore che le prime scene promettono bene, così lasciate perdere i pop-corn e raddrizzate la postura che lentamente stava scivolando nella posizione di pre-addormentamento e vi lasciate catturare dalla storia. Non credete ai vostri occhi, vi state veramente emozionando ed appassionando! E proprio mentre il film si avvia alla conclusione, accompagnato dal vostro apprezzamento, arriva, a rovinare tutto, il gran finale traditore, dove con un proditorio colpo di mano, il regista vi confeziona il più classico e mieloso happy end.
La delusione è cocente e il fatto di aver comunque visto per tre quarti del tempo un ottimo film è una considerazione che vi lascia un pizzico di amaro in bocca, per quel che avrebbe potuto essere e non è stato. Ebbene questa sensazione è esattamente ciò che ho provato al termine della lettura della saga “Zona Rossa” dei Vendicatori: emozionante, avvincente, sconvolgente, ma in parte rovinata da un finale troppo convenzionale.

Non nego che mi ero avvicinato a questa saga con un pizzico di curiosità e di attesa (gli autori Geoff Johns e Olivier Coipel la meritavano) ma senza grandi aspettative, in fondo dopo aver letto migliaia di comics è difficile non trovare storie già raccontate almeno un’altra decina di volta.
E invece l’impatto con le prime pagine è stato pari a una scossa elettrica, grazie a una shockante sequenza iniziale di morte e devastazione, la cui essenzialità e crudezza è accentuata da dialoghi brevi e serrati, ritmo incalzante e uno story-telling cinematografico. E l’immancabile l’arrivo degli eroi non significherà affatto la soluzione di ogni problema, secondo il classico canone supereroistico “malefatta del cattivone di turno – arrivo degli eroi – megascazzottata – vittoria dei buoni - fuga o cattura dei malvagi”. La sicumera dei Vendicatori verrà messa a dura prova, perché il batterio responsabile dell’epidemia non può essere sconfitto con un pugno ben assestato, con il lancio di uno scudo di adamantio o utilizzando i raggi repulsori. Questa volta più dell’armatura tecnologica di Iron man, a salvare la situazione saranno determinanti gli scienziati delle stark enterprise, più della forza sovrumana di she-hulk potranno risultare utili gli studi medici sugli enzimi fatti da oscuri ricercatori del wakanda. Gli eroi sono in stallo e dovranno accontentarsi di rendersi utili in azioni di retroguardia, come il ritardare il propagarsi dell’epidemia, aiutare l’evacuazione della popolazione e investigare sulle sue cause, lasciando che in prima linea, a contrastare l’imminente catastrofe, ci vadano, una volta tanto, le anonime e tutt’altro che superomistiche “teste d’uovo” esperte di microbiologia patogena.

E a questo punto giunge il secondo colpo di scena: l’epidemia non è stata causata da uno dei tanti gruppi terroristici che popolano l’universo marvel (come ahimé anche il nostro) ma si è propagata da un laboratorio segreto americano, alle dipendenze del governo americano e protetto da soldati americani. Non terroristi senza scrupoli e senza coscienza, non perfidi malvagi mentalmente deviati e nemmeno alieni indaffarati a conquistare il mondo, ma le stesse istituzioni che dovrebbero occuparsi della sicurezza dei suoi cittadini, sono responsabili della catastrofe in atto. Emblematica è l’ultima pagina del secondo capitolo: dopo aver appena scoperto la terribile verità, Capitan America è a terra, in ginocchio, stanco e amareggiato, con la sola forza di mormorare “è colpa nostra”. Capitan America il simbolo stesso del coraggio e della determinazione, colui che non si arrende mai e mai perde la speranza, l’incarnazione dei più alti ideali di una nazione è di fronte all’unico nemico che non è riuscito a battere: il muro di gomma formato dall’intreccio di istituzioni deviate, politici corrotti, funzionari ambiziosi e senza scrupoli, schegge impazzite e senza controllo dei servizi segreti, il tutto amalgamato da una burocrazia che tutto copre e tutto nasconde.
I vendicatori sono per la seconda volta in scacco, perché se hai Ultron di fronte puoi usare senza problemi tutta l’enorme potenza di fuoco a disposizione, ma neutralizzare un politico corrotto e dedito ad attività criminali è questione molto più delicata e scottante e richiede ben altra accortezza che un uso grossolano della forza. Ancora una volta non potranno essere i superpoteri a salvare la situazione e i Vendicatori dovranno fare buon uso delle loro capacità più umane: l’intelligenza, l’intuito, la determinazione per dipanare l’ingarbugliata matassa.

Fin qui la storia scorre ottimamente, sprizzando adrenalina e suspence, coinvolgendo e sconvolgendo, ma ecco che lo scrittore decide di mettere in campo quello che lui considera il colpo di scena principe, cioè l’ingresso del supermalvagio, nientemeno che il temibile Teschio Rosso. I poveri supereroi, sinora messi in un angolo e sempre sulla difensiva, tirano un sospiro di sollievo e un sorriso increspa le loro labbra: l’incubo è finito! Altro che minacce vaghe e sfuggenti, e perciò più pericolose, quali batteri patogeni e cospirazioni governative, adesso hanno un obiettivo solido e concreto e soprattutto un ottimo bersaglio per un bel pugno. Così messi da parte i neuroni, distese le meningi troppo spremute, ritirate in buon ordine le truppe di scienziati che dovevano salvare l’America, i nostri eroi potranno risolvere finalmente la questione nel modo a loro più congeniale, con una bella, sana, catartica scazzottata coi fiocchi! Ammetto che l’ingresso del Teschio Rosso è d’effetto, e certamente emozionante per il novizio marvel-fan. Ma per il lettore più scafato si tratta però, semplicemente, di una conclusione “telefonata”, di una inversione di 180 gradi che riporta la storia nell’ampio alveo dell’ortodossia supereroica.
Il Teschio Rosso poi non fa certo una bella figura: ordisce un piano mefistofelico, si costruisce una personalità fittizia che riesce a posizionare nel cuore del potere americano, corrompe e devia settori delle istituzioni, piegandole ai suoi perfidi piani, porta avanti un vero e proprio laboratorio biologico segreto con tanto di scienziati di primissimo piano… e poi nel momento di maggior smarrimento dei Vendicatori, costretti a combattere contro ombre e fantasmi, ecco che il Teschio si palesa in tutta la sua arroganza, scegliendo di perdere tutti i vantaggi che si era creato con le sue macchinazioni e accettando stupidamente una resa dei conti basata esclusivamente sullo scontro fisico, dove viene inesorabilmente (e prevedibilmente) sconfitto. E poi ci si meraviglia che i nazisti abbiano perso la guerra…

Un vero peccato questa conclusione un po’ facile e scontata che però non deve far dimenticare il resto della saga, un concentrato di emozioni, azione e suspence, dove i Vendicatori sono stati portati realmente ai loro estremi, fisici e psicologici, immersi com’erano in uno scenario da incubo, costretti a destreggiarsi tra claustrofobiche nubi venefiche o tra improvvisati lazzaretti traboccanti morte e disperazione. Ma soprattutto hanno dovuto fronteggiare l’atavica paura della malattia e del contagio, che da sempre può paralizzare anche l’uomo più coraggioso, può portarlo a compiere atti disgustosi e deprecabili, seguendo l’altrettanto atavico istinto di sopravvivenza. Per non soccombere agli istinti, ogni vendicatore ha dovuto spogliarsi dei panni da supereroe e far emergere l’uomo, con un processo che, paradossalmente, li ha resi più forti.
Se il giudizio sulla sceneggiatura di Johns è contrastante, non si può che dire un gran bene dei disegni del francese Coipel, visto che è riuscito a dare un contributo personale al look dei vendicatori senza risultare gratuitamente innovativo e soprattutto ha un gran senso della narrazione. Infatti l’azione procede fluida e senza salti logici, si capisce sempre cosa succede in una vignetta o in una sequenza di vignette (sembra lapalissiano ma è un’accortezza che molti disegnatori dimenticano) e in generale pare in perfetta sintonia con lo scrittore: alterna pagine fitte di vignette (però mai caotiche) a splash page sempre d’effetto che danno respiro alla lettura. Un’ottima prova che, con le dovute proporzioni, non teme il confronto con il suo più ingombrante predecessore, tal George Perez.
Tirando le somme, si può tranquillamente archiviare “Zona Rossa” come un bel ciclo di storie da leggere con piacere, e magari da rileggere, per risollevarsi il morale, negli eventuali periodi futuri di “magra qualitativa”.


Mario Colasuonno

Dati del volume

  • Voto della redazione: 1
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