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Leonardo Cantone

Leonardo Cantone

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Escher - Mondi Impossibili, recensione: il corpo dell’assurdo

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Non c’è necessità di spiegare la seminale figura di Maurits Cornelis Escher: le sue incisioni, le scale impossibili, le arditissime prospettive, i giochi prospettici. Ed è per questo che il lavoro di Lorenzo Coltellacci (ai testi) e Andrés Abiuso (ai disegni), anche ai lettori non esperti di Storia dell’Arte, risulterà piacevolmente evocativo.

Un giovane ragazzo si ritrova catapultato in una dimensione onirica di escheriana (per l’appunto) ispirazione come un’Alice nel Paese delle Meraviglie della Storia dell’Arte (e non solo). Uno dei manichini che abitano le architetture fantastiche dell’artista olandese lo accoglie e, in questo ruolo virgiliano, guida il ragazzo attraverso la storia, gli eventi e l’arte di Escher.

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Lo schema narrativo messo in piedi da Coltellacci, permette al lettore di fare un veloce excursus non tanto sulle correnti artistiche, tecniche o concettuali di Escher, quanto sul rapporto che intercorre tra arte e vita e di come questi siano bilanciati dalla sensibilità personale di un artista. Per quanto possa sembrare un’ovvietà, spesso, immaginando un autore (di qualunque mezzo espressivo) si dimentica di valutare l’uomo che c’è dietro, in quanto contenitore di contraddizioni, interpretazioni e ambizioni comunicative. Nel graphic novel, invece, è il perno attorno a cui ruota e si dipana la semplice trama atta a svelare, in un continuo passaggio tra onirico e reale, come l’Uomo Escher e l’Artista Escher abbiano deciso di convivere.

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Abiuso, perciò, non può far altro se non marcare con forza questa continua dicotomia sia di setting che di character. Le citazioni visive all’arte di Escher sono onnipresenti, a volte palesi, altre volte più sottili, tutte atte a ricostruire nel mondo onirico tratteggiato da Coltellacci, la figura artistica di Escher attraverso le sue rappresentazioni. L’onirico prende corpo, struttura: il gioco grafico e narrativo dei due autori è quello di permettere al lettore di essere in grado di “interagire”, attraverso i personaggi, negli ambienti escheriani, di svelarne le messinscene e i trucchi di esplorare le architetture impossibili dell’autore.

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Se da un lato questa volontà narrativa e grafica permettere di non banalizzare il biopic riportato da Coltellacci e Abiuso, dall’altro scivola in qualche didascalismo che – anche se a volte comprensibilmente necessario – rischia di rallentare il racconto con pause dal sentore divulgativo.
Ma, chiaramente, leggere Escher - Mondi Impossibili non vuol dire leggere un piccolo saggio illustrato di Storia dell’Arte, vuol dire iniziare un piccolo viaggio alla scoperta (o riscoperta) di uno straordinario artista. Ragion per cui anche la veste editoriale cartonata di Tunué non può che presentarsi con la giusta importanza.
Il compito di Coltellacci e Abiuso, dunque, è quello di fornire coordinate e incuriosire il lettore, di dare la chiave d’accesso a quei mondi impossibili che Escher ha regalato al mondo interno: uno sguardo verso l’onirico e l’assurdo sbirciando attraverso la porta socchiusa. Se varcare la soglia, come per il ragazzino protagonista, la decisione spetta a lui.

Love – La Volpe, recensione: la forza delle emozioni universali

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Il fumetto è un medium complesso, articolato, le cui narrazioni vivono della giustapposizione delle sue unità compositive. E quando un racconto, anche semplice, è nelle mani di due sapienti autori, il fumetto può esprimersi nella sua dirompente forza narrativa anche quando vengono elise alcune delle sue unità compositive. La Volpe, titolo della saga di Love creata da Frèdèric Brrèmaud e Federico Bertolucci, si allinea con i capitoli precedenti nella medesima volontà narrativa: raccontare per immagini.
Chiaramente, il fumetto è “racconto per immagini”, ma l’esplorazione dell’universo faunistico realizzato dalla coppia di autori in tutta la saga, necessitava di una marcata preponderanza dell’immagine come strumento comunicativo. Nessun dialogo, nessun suono, Brèmaud e Bertolucci, abbracciano quasi interamente le tre unità aristoteliche della narrazione.

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La Volpe racconta un breve periodo della vita del predatore dalla rossa pelliccia. Abitante, insieme ad altre specie, di una piccola isola vulcanica in un non precisato mare del nord, la volpe protagonista viene sorpresa durante una battuta da caccia dall’eruzione di magma e lapilli, gas e cenere. Gli animali dell’isola cercano di fuggire, si nascondono, lottano per la sopravvivenza. Eppure la volpe è l’unica che sembra andare incontro alla morte.

Sembra facile gridare al capolavoro con ogni capitolo della serie Love, ed in effetti, lo è. Ogni elemento narrativo, ogni sequenza e giustapposizione di vignette è misurata per essere incastrata alla perfezione. Data l’assenza di ogni tappeto sonoro, la narrazione deve essere chiara, precisa, e lo straordinario lavoro di Brèmaud e Bertolucci la imbriglia in sequenze dalla straordinaria leggibilità.

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L’atmosfera che si respira durante la lettura non è di solo semplice “documentario sugli animali”, nonostante l’evidente verosimiglianza con quel tipo di linguaggio mediale, ma di un racconto ancestrale, le cui narrazioni ed emozioni vivono nella parte più profonda di ogni lettore. La naturalità ancestrale è il fulcro del racconto: sopravvivenza, paura, amore. Sentimenti primordiali, proprie tanto della specie umana quanto di quella animale. La volpe protagonista non è mera pedina nelle sapienti mani degli autori, quanto vero e proprio microcosmo simbolico dell’emotività, su cui il lettore riversa la propria.

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Saldapress ristampa questo racconto con una lussuosa veste grafica cartonata e ricca di bozze e sketch di Bertolucci per un folto e interessante dietro le quinte della lavorazione: non solo un “bestiario” di prove per gli animali protagonisti o corollari, ma anche layout e matite delle tavole di alcune sequenze importanti del racconto. Dunque, se si ama il medium fumetto, è impossibile non amare il lavoro sull’intera saga di Love. Brrèmaud e Bertolucci riescono a catturale il lettore sin da subito, con immediatezza e straordinaria potenza visiva. La Volpe è un tassello commovente e coinvolgente in cui ognuno di noi ci si può ritrovare. E non siamo canidi dalla pelliccia rossa.

Menta, recensione: il delicato racconto della crescita

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Il senso dell’olfatto è spesso legato alla memoria. Odorare, “sentire”, un profumo ci collega a sensazioni, suggestioni antiche, probabilmente non tutte piacevoli, ma sicuramente legate a qualcosa che ha inciso in ciò che siamo. Su questo assunto ruota la vicenda raccontata da Christian Galli, autore unico, in Menta e che vede come protagonista Lamia, una ragazzina amante della lettura e della scrittura che è solita associare l’odore delle persone ad un profumo particolare. Un profumo conosciuto e riconoscibile che possa, in qualche maniera, dare tangibilità al rapporto emotivo con chi la circonda.
Quando Lamia incontra Michele, il profumo che associa al ragazzo sconosciuto e trasferitosi da poco è quello della menta. Un profumo, però, che percepisce anche dove non dovrebbe, un profumo che potrebbe rivelare qualche cosa di misterioso ed oscuro.

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La storia che costruisce Galli è un racconto di formazione per adolescenti, narrato con la giusta misura per affrontare alcune tematiche fondamentali: il rapporto tra pari, con il mondo degli adulti in diverse declinazioni, e specialmente il lutto. Livia e la sua migliore amica Lucia sono caratterialmente costruite per poter intercettare le diverse anime dell’ampio spettro adolescenziale, in modo tale che l’identificazione con un personaggio o con un altro possa avvenire. Nel racconto di Menta tale identificazione è assolutamente necessario: Galli con estrema e realistica delicatezza e una buona dose di metafore riesce a trattare alcune tematiche importanti nella crescita di un individuo senza essere stucchevole e spesso con la forza simbolica adatta.

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Il disegno si assesta sulle medesime direttrice: lontano dal realismo grafico o dall’estrema stilizzazione si pone su perfetto stile cartoonesco adatto alla alle necessità e al mood narrativo. Figure morbide, ben caratterizzate, espressioni esagerate quanto basta, ma sfondi ed ambienti maggiormente tendenti al realismo. Un delicato equilibrio che Galli riesce a mantenere per tutto il racconto e che fa da cifra stilistica perfetta per la storia.
Il colore gioca un ruolo estremamente importante: allineandosi con i cambi di scena e le diverse atmosfere narrative, non è mai cupo o orrorifico (anche quando avrebbe potuto) ma riesce ad evocare le sensazioni emotive dei personaggi tanto nelle scene più leggere, quanto in quelle maggiormente pese e drammatiche. Ma ha anche valore simbolico: il verde, il colore della menta, è onnipresente nelle sue ricche sfumature e richiama costantemente alla natura che accoglie azioni e personaggi. Evitando lo spoiler, il cui significato va colto a fine lettura, Livia indosserà una maglietta con sopra rappresentata la foglia della menta: questa la forza simbolica rappresentativa anche dei piccoli particolari tratteggiati in tavola.

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La facile lettura di Menta non ne pregiudica in nessun modo il valore narrativo, ma ne permette l’immersione a prescindere dall’età in cui il lettore decida di approcciarsi al volume. Volume, questo, curato da Tunuè con la giusta veste editoriale: un bellissimo cartonato, dalla stampa perfetta che non svilisce la struttura coloristica delle tavole (come detto, fondamentale nella fruizione del racconto), con interessanti omaggi tanto grafici quanto narrativi.
Menta di Christian Galli è sicuramente un racconto capace di affrontare tematiche complesse per un’età difficile riuscendo mantenersi costante nella narrazione, senza forzarla o alterarla con mire paternalistiche o patetiche che avrebbero allontanato i lettori, specie i più giovani a cui il libro è indirizzato.

Proctor Valley Road, recensione: Grant Morrison e l’horror per ragazzi

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Tutti i ragazzi hanno avuto quella fase in cui la maturazione richiedeva negoziazione con gli altri, cameratismo, complicità e sfida nei confronti del gruppo di amici più stretto. E, chiunque, ha avuto l’estate (o qualunque altro periodo limitato di tempo) alla Stand By Me. Di certo ci si augura non esattamente come il racconto (poi film) di Stephen King, ma come quella sorta di “tempo senza tempo” che gli occhi dell’adulto rileggono con nostalgico desiderio.
Aver citato Stand By Me non è un caso, poiché la storia di The Body scritta da King e divenuto film di Rob Reiner è il “romanzo di formazione contemporaneo” che più si è sedimentato nell’immaginario pop (insieme a, forse, solo The Goonies, ma per altre ragioni narrative), creando una schiera di emuli più o meno riusciti da Piccoli Brividi a Stranger Things. L’horror, il disturbante, l’inquietante incontra la pubertà ed entra a far parte del processo di crescita dei personaggi.

Grant Morrison con Proctor Valley Road intraprende (per restare in tema) la stessa strada: sceglie, come dimensione nostalgica del proprio racconto, l’estate del 1970, la sonnolenta cittadina californiana di Chula Vista e la “strada più infestata da demoni” del titolo.
Le quattro ragazzine protagoniste del graphic novel vogliono racimolare i soldi per andare a un concerto di Janis Joplin e, tra le diverse trovate per guadagnare, decidono di improvvisare un tour guidato lungo l’inquietante Proctor Valley Road. I tre ragazzi coinvolti in questo bizzarro tentativo però spariscono improvvisamente nel buio della strada. Per le protagoniste inizia un incubo dal quale dovranno uscirne lottando contro un antico pericolo: la Locataria.

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Morrison, coadiuvato ai testi da Alex Child, utilizza molti degli stilemi classici del romanzo di formazione a volte, forse, in maniera troppo pedissequa che sembrano distanti dal mood dei racconti a cui l’autore britannico ha abituato i lettori. Non mancano chiaramente, i “guizzi” narrativi alla Morrison nei dialoghi, negli scambi di battute e, specialmente, nella caratterizzazione di alcuni villain. Complice lo spaccato socio-culturale dell’epoca raccontata nella storia, è forte la sensazione di un tempo passato, “mitico” e trasognante, un tempo di corto circuiti culturali e politici e di libertà tout court a volte svilita o fraintesa. Il Sogno Americano interpretato da due autori britannici si declina presto nell’orrorifico dietro le quinte dello stesso, delle fragilità di una società da sempre e spesso incapace di gestire le contraddizioni. E questa incapacità si riversa sulle nuove generazioni: le protagoniste di Proctor Valley Road sono outsider del proprio contesto, del normativo culturale opprimente e per questo si ritrovano invischiate nell’eccezionalità demoniaca del racconto.

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Nonostante la presenza di Morrison permette a una lettura a più livelli, i disegni di Naomi Franquiz palesano immediatamente la fascia d’età a cui il graphic novel è destinato in prima istanza: gli adolescenti. Inquadrature dal forte gusto cinematografico, vignette fortemente incentrate sui personaggi, graficizzazione quasi caricaturale degli stessi. Anche i colori di Tamra Bonvillain si assestano sulla medesima direttrice. Per quanto non manchino un pizzico di sangue, budella e carne in marcescenza, l’equilibrio tra disegno e colori non permette mai all’immagine di sfociare verso il Grand Guignol, consegnando la lettura al pubblico più giovane.

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Edito da Panini Comics nella collana 100% HD, il volume è un pregevole contenitore: copertina cartonata soft touch, grande qualità di stampa e cover gallery finale. Non il Morrison migliore e in grande spolvero, dunque, ma un tassello importante per la sua carriera artistica perché incursione in uno specifico tassello del genere fantastico e horror a cui, prima o poi, quasi tutti i grandi autori si sono cimentati. E lo ha fatto senza mai deviare dal suo percorso: ha solo imboccato una strada per lui ancora sconosciuta.

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