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Valerio Coppola

Valerio Coppola

Lindbergh 1

Nella città-stato di Eldora, isolata in cima a una vetta e circondata solo da nuvole che ne segnano il confine invalicabile, una legge sacra bolla come criminale ogni tentativo di spiccare il volo. L’ultimo ad averci provato è il “guardiano del confine” Merius, per questo considerato a sua volta come criminale e, da allora, dato per morto. Ma la passione per il volo è stata ereditata, assieme alle funzioni di guardiano, dal piccolo figlio Knit che, assieme al suo strano cucciolo Plamo, vive ai margini della società di Eldora finché, un giorno, dal cielo piomba una mostruosa creatura accompagnata da un enigmatico individuo di nome Shark, che rimetterà in gioco tutto il mondo di Knit.

In Lindbergh il volo è motore di ogni circostanza e avvenimento: si affaccia nei nomi e nel lessico, rappresenta il confine della legge, la paura del potere, e le aspirazioni umane. Mentre da un lato è inevitabile che la memoria corra a miti come quello di Icaro, a intrigare di più è invece, in questo primo tankōbon, il sottotesto sulla sacralità e su come questa viene costruita e sfidata. Una sfida che qui non è ribellione, ma ha il volto semplice di un’innocente aspirazione a “uscire”, così da poter viaggiare in mondi diversi da quello immutabile imposto dalla tradizione.

Ahn Dongshik imposta una trama lineare, in cui gli antefatti vengono chiariti subito e l’intreccio si sviluppa senza svicolare o rimandare eccessivamente le svolte. Ciò nonostante, la lettura non manca, in chiusura, di lasciare un’attesa per gli sviluppi futuri con una punta di mistero fornita, soprattutto, dal personaggio di Shark. La caratterizzazione dei personaggi, a parte lo stesso Shark, non è eccessivamente complessa, ma nella sua semplicità risulta coerente, diretta ed efficace, senza scadere nella banalità. L’autore mostra una buona capacità nel rimanere in equilibrio, ricercando la misura anche nei momenti più concitati ed evitando certi eccessi espressionistici tipici del manga.

Molto piacevole è anche il tratto sottile e dettagliato, con un uso dei retini abbondante senza essere invadente e che, anzi, regala spessore alle figure. La costruzione della pagina non presenta soluzioni troppo particolari, posizionando le vignette in gabbie serrate e abbastanza rigide: ciò fa sì che, nei pochi casi in cui si il campo si apre, l’effetto climax risulti anche più riuscito, comunicando in maniera più forte, per esempio, l’esperienza del volo.

Ahn Dongshik delinea insomma un piacevole fantasy, intrecciando nella semplice trama una buona tessitura di sottotesti e raccontando il tutto con un ritmo ben cadenzato ed efficaci tempi narrativi. La lettura restituisce, per altro, una forte sensazione di unitarietà grazie alla svolta finale che anticipa scenari del tutto diversi per il secondo volume.

Intervista a Jeff White (ILM): creare The Avengers

  • Pubblicato in Screen

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Nell'immane lavoro di postproduzione occorso per la realizzazione di The Avengers, di primaria importanza è stato il ruolo della Industrial Light & Magic, compagnia veterana e leader nel campo degli effetti visivi, sin dai tempi della prima trilogia di Guerre Stellari. Nella pellicola Marvel dedicata ai Vendicatori, la ILM ha seguito tutto il processo, ma in particolare del suo lavoro ha fatto parte l'innovativo Hulk che in questi giorni vediamo sul grande schermo. Come leggerete, far recitare questo personaggio non è stata cosa da poco. Per renderci conto del preziosissimo contributo dato dalla ILM al film evento, Comicus ha contattato il supervisore agli effetti visivi Jeff White, che con grande gentilezza ha accettato di fare due chiacchiere con noi approfondendo diversi aspetti del film.

Italian/English version

Intervista e traduzione a cura di Valerio Coppola


Jeff_WhiteLavorare con tanti personaggi dai poteri così disparati ha significato un carico di lavoro particolare? Qual è stato l'aspetto più difficile o problematico del vostro lavoro su questo film?


La sfida più grande in questo film è stato il numero di problemi che avevamo da risolvere in un arco ristretto di tempo. Abbiamo costruito una versione digitale di ognuno degli Avengers, un’intera razza aliena e ricreato New York sia per le riprese da terra che per quelle aeree. In generale, comunque, la cosa più difficile è stata creare Hulk.

Per quanto riguarda l'aspetto più estetico degli effetti, quanto e in che modo vi ispirate alla colossale produzione a fumetti alle spalle di questi personaggi?

Ci siamo riferiti ai fumetti costantemente. Una buona parte degli artisti che hanno lavorato al film erano grandi fan del fumetto, e continuavano ad apportare idee prese dai fumetti, che poi noi incorporavamo. Hulk, in particolare, riprendeva parecchie pose nell’animazione e nel design dal design di [Jack] Kirby.

Dopo i due Iron Man tornate su questo personaggio anche in The Avengers: come cambia il personaggio rispetto alle pellicole precedenti, per quello che riguarda il vostro lavoro?

Anche con due film già al nostro attivo, Iron Man si è dimostrato una bella sfida in questo film. C’era un livello di qualità già molto alto fissato nei primi due film, che noi dovevamo eguagliare nel momento stesso in cui gli stavamo creando un’armatura del tutto nuova. Abbiamo avuto molti degli stessi animatori dei film precedenti, e penso che questo abbia davvero aiutato a mantenere una continuità nella maniera in cui il personaggio si muove. Avevamo anche degli eccellenti riferimenti su come apparisse sul set, e abbiamo lavorato su tutto il materiale e il lavoro di texture adoperato nei film precedenti. In The Avengers abbiamo optato per rendere i suoi metalli un po’ più splendenti rispetto ai film precedenti. Questo lo ha molto aiutato a risaltare un po’ di più in riprese affollate di leggende dei comics veramente spettacolari.

Riguardo gli altri personaggi che sono già apparsi in film precedenti, in che modo vi siete coordinati con il lavoro fatto da altri vostri colleghi? Dover continuare il lavoro impostato da altri vi ha condizionato parecchio? Avete avuto libertà di innovare?

Il regista, Joss Whedon, aveva una grande storia da raccontare con questi personaggi, e a tal fine ha pescato i design da dove gli rimaneva meglio rispetto a quella storia. Poiché ogni personaggio cambia rispetto all’incarnazione precedente, noi abbiamo iniziato i nostri costrutti digitali da zero. Gli attori erano davvero disponibili con il loro tempo per tutte le sessioni di cattura digitale che abbiamo fatto per ottenere [dai loro corpi] geometrie, texture e lineamenti facciali di buon livello.

Riguardo a Hulk, è stato detto che il personaggio in CGI è molto fedele alle fattezze della sua controparte in carne e ossa, Mark Ruffalo. Vi siete occupati voi di rendere questa somiglianza? Come avete lavorato?

Joss e la Marvel avevano preso una decisione molto presto sul fatto che avremmo potuto vedere Mark Ruffalo nel design di Hulk, e io penso che ciò renda davvero questo Hulk qualcosa di particolare. Noi non avremmo potuto chiedere niente di meglio che iniziare a lavorare da un attore con tanto talento, e avendo sempre quella persona reale cui tornare a riferirci. Questo ha davvero fatto la differenza mentre avanzavamo attraverso la miriade di problemi insiti nel creare un personaggio realistico. Abbiamo iniziato catturando una libreria base preparatoria, con sagome del nostro doppio digitale di Mark Ruffalo. A quel punto abbiamo portato Mark in una sessione di cattura in light stage [studio delle luci e ombre sul modello originale, ndr], che potesse fornirci la geometria e le texture. A ciò ha contribuito un calco del suo volto, delle sue mani e piedi, e della sua dentatura. Quindi abbiamo proceduto con Mark in una tuta per la motion capture con punti traccianti sul suo volto e quattro telecamere puntate fisse su di lui per aiutarci a catturare la sua performance. Mark deve essersi sentito un po’ come un esperimento scientifico, con tutti i dati che stavamo raccogliendo, ma alla fine dei giochi ha fatto davvero la differenza. Siamo stati in grado di costruire il nostro doppio digitale di Mark Ruffalo e di applicargli tutte le motion capture facciali con verifiche in tempo reale che stessimo effettivamente catturando la sua performance. A quel punto abbiamo potuto trasferire tutti quei dati all’Hulk con qualche reindirizzamento valoriale per via delle differenze nelle proporzioni. Un altro elemento di design che ci ha aiutato è stato che Hulk non era completamente teso e a piena forza per tutto il tempo. È grosso e potente, ma Joss voleva che ci orientassimo più su un fisico da wrestler, che gli conferisse un po’ di morbidezza attorno all’addome. Questo ci ha dato molta liberà di far risaltare la muscolatura e le vene quando ne avevamo bisogno. In più, il nostro Hulk ha peli sul corpo e piccole tracce di grigio sulle tempie che rispecchiano Mark e portano un impressionante carico di realismo al personaggio.

Hulk_ILM

C'è stata, dal punto di vista strettamente tecnico, qualche innovazione che avete introdotto nel vostro lavoro mentre realizzavate The Avengers?

Abbiamo passato un sacco di tempo a lavorare a nuove tecnologie per Hulk. Abbiamo davvero spinto in avanti la nostra capacità di lavorare con la facial capture e tiranrne fuori qualcosa che potessimo passare a un animatore. L’ombreggiatura della pelle ha visto numerosi miglioramenti, così come la costruzione di una rete complessa di ombreggiature per creare differenti livelli di polvere. Solitamente, noi proviamo a essere economici rispetto alla complessità con cui costruiamo i modelli, così che poi siano facili da gestire, ma con Hulk abbiamo optato per un reticolato a risoluzione estremamente alta, e poi ci abbiamo costruito attorno una solida programmazione in multi-risoluzione  per renderlo gestibile.

Parlando dei set, invece, nei traile si vede che gran parte dell'azione si svolge a New York, un luogo molto familiare al pubblico. Come vi siente mossi per ricreare questi posti, quando è stato necessario?

Ci siamo ritrovati a dover ricreare ampie sezioni di New York City. Abbiamo iniziato con i fotografi della ILM che hanno dedicato otto settimane a fotografare New York con camere fisse sui tetti degli edifici e su gru che procedevano lungo le strade. In tutto, abbiamo scattato circa 1300 panosfere e quasi 275 mila foto in totale. Tornati alla ILM, abbiamo proiettato quelle foto sulla geometria dei palazzi e iniziato il minuzioso lavoro di rimuovere ogni albero, persona, macchina, marciapiede e rimpiazzarli con il nostro set virtuale di mascheramento. Abbiamo finito rimpiazzando ogni finestra sugli edifici con finestre in computer grafica che ci potessero restituire i riflessi appropriati e una distribuzione casuale degli spazi interni che cambiava prospettiva in accordo al movimento della telecamera. Abbiamo vestito le strade con oltre 190 accessori, inclusi taxi, bus, tende da sole, tubature, giù giù fino agli uomini sandwich. Molti dei fotogrammi in cui gli Avengers sono di fronte alla Grand Central Station contengono nostri sfondi virtuali.

Che rapporti avete avuto con il regista Joss Whedon e con i produttori dei Marvel Studios?

È stata una collaborazione grandiosa. Joss e il team della Marvel sono stati coinvolti in ogni passo del processo che ha portato in vita The Avengers. Hanno portato una grande profondità in termini di esperienza con tutti i film precedenti che avevano realizzato, e Joss è proprio venuto alla ILM per parlare con gli artisti e trasmettere le idee che aveva su chi sia questo Hulk. Joss è grande nel lavorare con gli attori, e in un certo senso Hulk non era niente di diverso. Ci ha davvero aiutato a comporre la performance che voleva vedere.



English version

Jeff_WhiteDid working with so many characters from varied powers mean a particular work load? What has been the most difficult or problematic aspect of your job on this movie?

The greatest challenge on this movie was the number of problems we had to solve in a short amount of time. We built digital versions of each of the Avengers, an entire alien race and recreated New York for both ground shots and aerial plates. By far the most difficult, however, was creating the Hulk.

Regarding the aesthetics of the special effects – How much and in which way do you get inspired by the huge comic production that is behind the movie characters?

We referenced the comics constantly. Quite of few of the artists that worked on the film were huge comic book fans and they would bring by ideas all the time from the comics that we would incorporate. The Hulk, in particular, referenced many poses in animation and design elements from the [Jack] Kirby design.

After the two Iron Man, your company is back working on this character also in The Avengers: how has he changed compared to the previous movies, always speaking about your job?

Even with two movies under our belt, Iron Man proved to be quite a challenge on this film. There was a very high bar set on the first two films that we needed to match while creating an entirely new suit for him. We had many of the same animators from the previous movies and I think that really helped carry continuity forward in the way he moved. We also had excellent on set reference of his look and built off of all the material and texture work used in the previous films. In The Avengers, we elected to go a little shinier with his metals than previous films. It helped him stand out a bit more in shots crowded  with really cool comic book legends.

As for the other characters, who have already been in past movies, in what way did you coordinate with the work done by your other colleagues? Did having to continue some work which was started by other people condition you a lot? Did you get enough freedom for innovations?

The director, Joss Whedon, had a great story to tell with these characters and to that end he tweaked the designs where he needed to in service of that story. Because every character changed from their previous incarnations, we started our builds of the digital versions from the ground up. The actors were very gracious with their time for all of the digital capture sessions we did to get good geometry, textures and facial shapes.

Regarding Hulk, it was said that the character in CGI is very similar to his human counterpart, Mark Ruffalo. Did you work on making them so similar? How did you do that?

Joss and the team at Marvel made a decision very early on that we should be able to see Mark Ruffalo in the design of the Hulk and I think it really sets this Hulk apart. We couldn’t have asked for a better situation than starting from such a talented actor and always having that real person to keep going back to. It made all the difference as we waded through the myriad of problems in creating a realistic character. We started off by capturing a base training library of shapes for our Ruffalo digital double. We then had Mark go through a Lightstage capture session to give us geometry and textures. This was augmented by doing a lifecast of his face, hands and feet and a dental mold. We then had Mark in a mocap suit onset with tracking dots on his face and four witness cameras trained on him to help capture his performance. Mark must have felt a bit like a science experiment with all the data we were collecting but in the end, it really made the difference.  We were able to build up our Mark Ruffalo digital double and apply all of the facial motion capture with side by side verification that we were really capturing the performance. Then we could transfer all of that data to the Hulk with some retargeting to account for their differences in proportion. Another design element that helped us was that Hulk was not fully flexed and muscled all of the time. He’s big and powerful, but Joss wanted us to go for more of a wrestler physique which gave him little softness around the midsection. This gave us lots of room for us to pop the musculature and veins when he needed to. Plus, our Hulk has body hair and a little greying around the temples that mirror Mark and brings a tremendous amount of realism to the character.

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Were there, from a mere technical point of view, any innovations introduced in your work while you were focusing on The Avengers?

We spent a long time working on new technology for the Hulk. We really pushed forward our ability to work with facial capture and have it solve out of the box into something we could hand to an animator. The skin shader saw numerous improvements as well as building a complex shading network to create different layers for dust, dirt and how sweat beads on the skin. Typically, we try and be economical with how complex the models are built so they are fast to render but with the Hulk we instead opted for an extremely high resolution mesh and then built a solid multi-resolution pipeline around that to make him manageable to work with.

Speaking of the sets, instead, in the trailers we can see that most of the action was set in New York, a very familiar place for the public. How did you recreate those places, when the situation demanded it?

We ended up needing to recreate extensive sections of New York City. We started with ILM photographers doing an 8 week shoot in New York City with still cameras on building rooftops and in man-lifts driving down the street. In all, we shot around 1300 panospheres, almost 275,000 photos in all. Back at ILM, we projected that photography onto the geometry of the buildings and began the painstaking process of painting out every tree, person, car and sidewalk and replacing them with our virtual set dressing. We ended up replacing every window on the buildings with a CG window that would give us proper reflections and a random distribution of room interiors that changed perspective as the camera was moving. We dressed the streets with over 190 assets including cabs, buses, awnings, construction pipes right down to the sandwich boards. Many of the shots where the Avengers are in front of Grand Central Station are our virtual backgrounds.

What relationship have you had with the movie director Joss Whedon and the Marvel Studios producers?

It was a great collaboration. Joss and the team at Marvel was part of every step of bringing The Avengers to life. They brought a great depth of experience with all of the previous films they had done and Joss actually came up to ILM to talk to the artists and convey the ideas he had about who this Hulk is. Joss is great at working with actors and in a sense, the Hulk was no different. He really helped us dial in the performance he wanted to see.

Thor e i Nuovi Vendicatori 157

Una saga termina, una fa il punto e un’altra si avvia nell’ultimo numero di Thor e i Nuovi Vendicatori. Tutto mentre l’Universo Marvel è scosso da Fear Itself e dalla terribile avanzata del Serpente, dimenticato dio della paura fratello di Odino e suo prigioniero per millenni.

Ad aprire le danze è la conclusione dello scontro tra asgardiani e Galctus, in contesa per il seme dell’Albero del Mondo, sulla collana personale del Tonante. Lo scontro titanico tra il divoratore di mondi e Odino sembra risolversi in uno stallo, e solo lo sforzo diplomatico di Silver Surfer riuscirà a sbloccare la situazione, con conseguenti importanti novità per l’araldo argentato.
La storia si fa gradire più che altro per le collaudate matite di Olivier Coipel, impreziosite dai colori brillanti di Laura Martin. Il disegnatore francese comunica in ogni tavola spazio e pulizia, anche laddove le vignette si affollano, grazie soprattutto a un tratto pulito, curato e armonico. Il tasto dolente, vera pecca dell’intero albo, è l’operato dello scrittore di questa storia: Matt Fraction continua a coltivare il vizio di imbastire eventi catastrofici su scenari colossali che tuttavia, terminata la lettura, lasciano il sapore di un’inutile pomposità, con effetti inconsistenti. Ma, al di là della trama, il peggio è dato dalle caratterizzazioni dei personaggi che sembrano preda di psicologie oscillanti, altalenando di continuo tra opposte inclinazioni e facendo perdere al lettore ogni filo logico: si pensi, per esempio, al rapporto tra Odino e Thor, oppure al livello di aggressività di quest’ultimo. Non è questione di ambiguità o di sofisticata sfaccettatura, quanto piuttosto di immotivata schizofrenia narrativa.

Tutt’altra classe, invece, nelle pagine scritte da Kieron Gillen. Sulla collana dedicata al rinato Loki e alle sue trame per contrastare l’avanzata del Serpente, lo scrittore interrompe la narrazione degli eventi per volgere lo sguardo su alcuni retroscena. Attraverso un divertente (e inquietante) dialogo tra Mefisto e un semplice barista, assistiamo così alla reazione dell’intero piano divino/demoniaco dell’Universo Marvel rispetto agli eventi che coinvolgono la Terra. La raffinatezza si dispiega a più livelli: in sole ventun pagine, Gillen riesce al contempo a creare la surreale scena del bar, a restituire un ritratto coerente e organico della cosmologia Marvel (in particolare degli inferi), a tratteggiare in poche parole tutta la stupenda complessità di Mefisto e a chiudere con una doppia e intrigante svolta finale. La scrittura è un piacere in sé: le parole vengono usate con intelligenza, i dialoghi sono colmi di ambiguità e allusioni tipicamente mefistofeliche. Vivida eppure insondabile, da ogni parola trasuda la personalità di Mefisto, e il personaggio torna a essere un gigante.
Peccato solo che ai disegni Doug Braithwaite venga sostituito da Richard Elson, non disprezzabile nella sua canonica artigianalità, ma di certo meno particolare ed elegante rispetto al titolare.

Doppia razione per i Nuovi Vendicatori. La prima storia chiude la parentesi “Fear Itself”, accogliendo nel gruppo l’ennesimo outsider in cerca di redenzione, ossia Devil. Come già aveva fatto negli ultimi mesi, Brian Michael Bendis approfitta dello sfondo del crossover per focalizzarsi sui singoli personaggi, quasi a voler sfruttare l’azione per concedersi un po’ di paradossale riposo dagli ultimi sconvolgimenti. I disegni sono del sempre ottimo Mike Deodato jr., autore di tavole dall’alto tasso di spettacolarità sia per impostazione sia per inquadrature.
Segue un episodio che con tutta evidenza segna l’avvio per il prossimo ciclo narrativo, con il ritorno in grande di Norman Osborn e della sua setta di seguaci, in una storia tutta azione. Le matite sono affidate al maestro Neal Adams, che non manca di confermare la propria grandezza nella costruzione della pagina, anche se l’accuratezza del tratto non pare di eccelso livello (e le chine di Tom Palmer non portano miglioramenti).

A chiudere, un altro piccolo classico con le storie asgardiane firmate Stan Lee e Jack Kirby.
L’albo presenta la consueta cura editoriale targata Panini, anche se con due collane (e mezza) asgardiane e la nuova serie italiana Avengers appena lanciata in edicola, viene da chiedersi cosa ci facciano ancora su queste pagine i Nuovi Vendicatori, ben lontani dalla loro casa naturale.

Per farla finita con il cinema

Dire “il cinema” equivale ormai a nominare una parte topica della nostra esperienza personale: l’espressione evoca un intero mondo di storie e volti che fanno parte a pieno titolo del nostro vissuto. Ognuno ha i suoi riferimenti, le sue inclinazioni e il proprio modo di filtrare ciò che gli arriva, ma tutti, ormai, abbiamo il “nostro” cinema ed è di tale rapporto con quelle storie e quei volti che ci parla Blutch con il suo Per farla finita con il cinema.

Ciò che scorre in queste pagine non è una vera e propria storia: non c’è trama lineare, quanto piuttosto un intreccio diffuso di riflessioni su come la settima arte interagisce con il suo amante e viceversa, ottenuto attraverso la presentazione di diverse scenette alquanto surreali, caratterizzate ogni volta da un colore-filtro.
In questo susseguirsi di situazioni, la rappresentazione che l’autore dà del proprio rapporto con il mondo del grande schermo, come si può intuire dal titolo, è problematica. Da un lato si respira un profondo amore per questa forma artistica e la sua storia, attraverso una miriade di citazioni sia testuali che visive, nonché un’evidente conoscenza tutt’altro che superficiale, e anzi attenta e sentita; ma poi tutto ciò sconfina nel morboso, ed è qui che lo stesso Blutch riconosce un problema.

La questione, in fin dei conti, sta tutta nel ruolo e nel luogo che abbiamo tributato al cinema nella nostra vita. Ad esso ci rivolgiamo per trovare ispirazione, per individuare una sorta di continuazione del nostro quotidiano su una scala più piacevole. Solo che poi questa ispirazione finisce per colonizzare la nostra mente, soprattutto facendo leva sull’ineguagliabile potenza iconica dell’immagine che si imprime nella memoria: così tendiamo a mutare finanche le nostre categorie, trasformando il cinematografo, le sue storie e le sue metastorie in un luogo mitico del nostro essere. Chi non ha un film, o anche solo la scena di un film, che arriva a definire una parte importante della sua personalità?
Il problema, però, è capire fino a dove questa sorta di adorazione del cinema, questo suo farsi totem, possa essere accettabile. E questo al di là della riflessione, pur presente nel libro, su quanto il cinema sia arte oppure industria seriale mossa al mero profitto. Il punto è: può il cinema, nei casi estremi, diventare chiave di lettura prevaricante del vissuto, fino a distorcere secondo i suoi canoni la percezione del nostro mondo (per esempio, della donna)?

Per farla finita con il cinema non dà risposte alle molte domande che pone, anche se, come spesso accade, un suggerimento di risposta risiede nella domanda stessa. Blutch si preoccupa, più che altro, di rendere il travaglio di un rapporto con la settima arte che, evidentemente, lui ha vissuto in maniera profonda, lasciando trasparire tutta la propria passione, attraverso l’eleganza graffiata di un tratto che si snoda in una serie di episodi cromatici. E quanto è efficace il fumetto per raccontare un mezzo altrettanto visivo, quale il cinema…

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