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Antonio Ausilio

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Il Pinguino, recensione: Tom King scava nel passato di Oswald Cobblepot

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Terminata la lettura de Il Pinguino (due cartonati confezionati con la consueta cura da Panini Comics, che raccolgono i dodici numeri della maxiserie dedicata all’alter ego di Oswald Cobblepot, pubblicata negli USA tra il 2023 e il 2024) viene spontaneo chiedersi che cosa abbia fatto la DC per meritarsi un autore come Tom King. La domanda non nasce da qualche forma di antipatia verso la casa editrice di Superman e Batman, ma piuttosto dalla semplice constatazione che da parecchi anni le due major del fumetto d’oltreoceano (un discorso identico si potrebbe fare anche per la Marvel) non rappresentano più il punto d’arrivo di tanti sceneggiatori e disegnatori affermati. Forse, l’essere stato incluso nel team creativo che si occuperà del nuovo universo cinematografico DC, capitanato da James Gunn, ha giocato un ruolo determinante nelle scelte professionali dello scrittore americano, ma, paradossalmente - Love Everlasting a parte - la sua firma ha cominciato ad apparire su alcuni progetti creator owned (Animal Pound, Helen of Windhorn) solo dopo aver ricevuto quell’incarico. A nostro avviso, invece, è più probabile che il buon Tom abbia deciso di proseguire la sua esperienza presso l’editore californiano, perché ancora sinceramente entusiasta di poter gestire molti dei suoi storici character.

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Non che la cosa ci dispiaccia, comunque, vista l’altissima qualità con cui King continua a impreziosire le sue opere. Una qualità che, neanche a dirlo, ritroviamo nella serie del Pinguino, la quale non solo assolve al compito di riportare nel mondo di Batman (dopo essere stato messo provvisoriamente fuori gioco da Chip Zdarsky nei primi episodi del suo ciclo, sull’omonima testata del personaggio) uno dei suoi iconici nemici, ma prosegue l’egregia azione di approfondimento - e per certi versi di rinnovamento - delle personalità di questi ultimi, che l’autore statunitense ha iniziato con l’Enigmista, nell’ottimo one shot che ha inaugurato la collana Batman: una brutta giornata (ristampata di recente da Panini in edizione cartonata) e continuato con il Joker, in alcuni numeri della nuova incarnazione di The Brave and the Bold, di pochi mesi fa. In ognuno di questi lavori, King scava nel passato dei personaggi, mostrandoci risvolti parzialmente o totalmente inediti, cercando una spiegazione della loro deriva criminale, evitando tuttavia di commettere l’errore di portare i lettori a empatizzare con essi. Con le dovute differenze e sfumature – che dimostrano come lo scrittore abbia ormai una conoscenza così profonda delle nemesi più importanti del Cavaliere Oscuro, da potersi permettere il lusso di introdurre in loro qualche cambiamento, senza che questi ne modifichino in alcun modo l’essenza -  i tre villain vengono rappresentati come irrimediabilmente malvagi e spietati, benché per il Pinguino non sia trascurato il suo forte desiderio di rivalsa verso una società che, a causa dei suoi difetti fisici, lo ha sempre tenuto ai margini. Non è un caso che Stevan Subic, l’artista chiamato a illustrare i due capitoli della saga ambientati nel passato – che ricostruiscono, in una lunga digressione dalla vicenda principale, l’ascesa di Cobblepot da semplice barista dell’Iceberg Lounge a capo della malavita di Gotham City – ritragga l’antagonista di Batman in maniera grottesca, estremizzandone l’aspetto “freak”. Al contrario di Rafael De Latorre, il disegnatore titolare della serie, che, invece, pur non smorzando la figura sgraziata del personaggio, ne limita la deformità, lasciando spazio solo alla sua bassa statura e alla sua obesità. In questo modo, diventa più credibile la trama elaborata da King che vede il Pinguino ricattato dall’agente federale Nuri Espinoza per costringerlo ad abbandonare Metropolis – dove, dopo essere stato “esiliato” dai figli Aiden e Addison, si era rifatto una vita da normale cittadino – e tornare a Gotham City, al fine di reimpossessarsi del suo impero criminale. Primo passo per portare il Crociato Incappucciato davanti alla giustizia, nel piano perverso che la cinica (per usare un eufemismo!) Amanda Waller, superiore diretto dell’agente Espinoza, ha ordito contro tutti i superumani (un anticipo del crossover Absolute Power, che presto vedremo anche in Italia).

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Tolta questa premessa – ennesima stoccata dello scrittore verso l’opacità delle agenzie governative americane, che nasce dai suoi trascorsi alla CIA (un’esperienza di cui, evidentemente, non ha ancora smaltito le tossine) – la serie procede inizialmente attraverso l’ingresso di nuovi comprimari a ogni episodio, tutti necessari al Pinguino per restaurare il suo potere a Gotham City. I personaggi coinvolti sono o recenti creazioni dello stesso King (oltre a Nuri Espinoza abbiamo pure il killer “elegante” noto come l’Aiuto) o figure secondarie del sottobosco DC come Lisa St. Claire, la Force of July e Black Spider, che lo sceneggiatore americano, al solito, reinterpreta alla sua maniera. Lisa St. Claire, per esempio, è stata fino agli anni Settanta una delle protagoniste di diversi fumetti rosa, ma nelle mani di King diventa addirittura la ex signora Cobblepot (o meglio, una delle ex, dato che tra mogli decedute, fidanzate e flirt vari, il nostro Ozzy ha sempre avuto una vita amorosa alquanto invidiabile!), affascinante e machiavellica proprietaria di un casinò di Las Vegas, per nulla restia a invischiarsi in affari poco puliti. Oltre a questo, per rendere ancora più palese su quale attore della vicenda puntare i riflettori, la narrazione in terza persona cambia “voce” di continuo, soprattutto nei numeri finali, quando il succedersi degli eventi diventa vorticoso e incalzante, garantendo all’autore statunitense, attraverso poche didascalie, la possibilità di inquadrare tutti i personaggi e di approfondirne le intenzioni. Lo stesso vale per Batman, che, viste le dinamiche in gioco, rimane, però, spesso sullo sfondo. Persino il suo proverbiale fiuto investigativo viene messo in discussione, in particolare nei due episodi ambientati nel passato, accennati sopra, dove un Cavaliere Oscuro ancora alle prime armi, si lascia trarre in inganno da un giovane Oswald già abile doppiogiochista.

Il Pinguino, dal canto suo, oltre che reale motore della serie, è anche il collante che mantiene agganciate le storie personali dei vari comprimari alla vicenda principale. Il risultato è un fumetto scritto benissimo, che spazia brillantemente dal thriller all’action drama, con sprazzi di black comedy e un pizzico di supereroismo (quel tanto che basta a non farci dimenticare che siamo sempre e comunque all’interno del DC Universe). In più, per quanto Oswald Cobblepot abbia smesso da tempo i ridicoli panni del gangster da operetta appassionato di volatili, con cui è stato ritratto per molti anni, King porta a compimento il restyling del personaggio, trasformandolo definitivamente in una sorta di Wilson Fisk in versione DC, di cui, pur non condividendone affatto l’aspetto fisico, ne riprende la scaltrezza e la perspicacia. Così come, inevitabilmente, la brutalità e l’assenza di scrupoli.

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Sul versante grafico, il brasiliano De Latorre asseconda le intenzioni dello scrittore come meglio non si potrebbe. Con il suo tratto essenziale - benché sempre incisivo ed estremamente  rispettoso delle anatomie - e aiutato dalle tonalità volutamente spente del colorista Marcelo Maiolo (che diventano ancora più buie nelle parti disegnate da Subic, per esaltare il carattere parzialmente gotico di quegli intermezzi), l’artista sudamericano gioca efficacemente con le espressioni facciali, scegliendo le inquadrature in modo tale che il lettore possa percepire chiaramente lo stato d’animo dei vari personaggi, quasi come se non ci trovassimo di fronte a figure di carta, ma ad attori in carne e ossa. De Latorre, inoltre, è bravo a limitare gli sfondi o a “eccedere” con essi quando anche i dettagli si rivelano elementi fondamentali del racconto, dimostrando pure di non avere alcuna difficoltà a gestire la gabbia a nove vignette, tanto amata dallo sceneggiatore statunitense, alternandola con sorprendente fluidità a tavole costruite in maniera totalmente differente (fino ad arrivare ad autentiche splash page, all’occorrenza), concorrendo attivamente a imprimere il ritmo narrativo cercato da King e a far sì che il fumetto del Pinguino possa essere considerato l’ennesimo colpo messo a segno dall'autore di Washington DC. Con un unico rammarico: che la testata abbia chiuso dopo soli dodici numeri. È vero che l’attuale scrittore di Wonder Woman dà il meglio di sé su story arc brevi e ben definiti. Non provare, però, a sfruttare il potenziale richiamo derivante dal recente arrivo sul piccolo schermo del serial dedicato al personaggio (reperibile in Italia sulle reti Sky) lascia comunque un po’ stupiti. Pubblico diverso, certo. Mai come in questo caso, tuttavia, tale verità è apparsa così evidente.

Goldrake, recensione: l'UFO Robot d'oltralpe

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Chissà se è stata veramente la decisione della RAI di trasmettere, a partire dal prossimo gennaio, la nuova serie animata di Goldrake (Grendizer U in originale, un remake dello storico anime degli anni Settanta) a spingere le Edizioni BD/J-Pop a pubblicare in Italia il volume Goldorak (il nome dato in Francia al mitico robot gigante di Gō Nagai)?
Uscito oltralpe nel 2021 sotto le insegne della Kana (la filiale dedicata ai manga del colosso editoriale Dargaud) e accolto in patria da un notevole successo, il libro era ancora inedito da noi, nonostante una popolarità del personaggio rimasta sempre altissima nel Bel Paese, soprattutto tra gli over quaranta.
Forse si temeva una sorta di rifiuto a priori di un’opera che non veniva dal suo creatore, benché, in realtà, sia stato lo stesso Nagai a dare il via libera al progetto (la lettera con cui Xavier Dorison – autore dei testi assieme a Denis Bajram - ha chiesto al maestro giapponese di poter realizzare la nuova avventura di Goldrake compare nei contenuti extra in fondo al volume). Cosa non del tutto scontata, considerando che, invece di limitarsi a un semplice omaggio al mondo di Actarus e soci, i cartoonist francesi hanno dato vita a un vero e proprio seguito della serie animata.

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La storia raccontata nel libro prende il via dieci anni dopo la sconfitta dell’esercito di Vega e il ritorno di Actarus e Maria su Fleed (i nomi dei personaggi nell’edizione BD sono naturalmente quelli utilizzati in Italia), il loro pianeta natale. La guerra contro gli invasori spaziali sembra ormai dimenticata e le strade dei vari protagonisti si sono separate: Venusia è una specializzanda in chirurgia, mentre Alcor ha fondato un’azienda di successo che lo ha reso milionario. Inaspettatamente, però, dopo alcuni misteriosi segnali dalla Luna, un mostro di Vega compare nei cieli di Tokyo, seminando morte e distruzione. Si tratta della terribile arma degli ultimi superstiti del popolo extraterrestre, che, in cambio della pace, chiedono che l’intero Giappone diventi la loro nuova casa.

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Autentico atto d’amore nei confronti di un personaggio che ha segnato indelebilmente l’immaginario di tanti bambini italiani e francesi (Italia e Francia sono le due nazioni  dove - paese nipponico a parte - Goldrake ebbe sicuramente l’impatto maggiore) alla fine degli anni Settanta, quando l’anime sbarcò in Europa e dette origine a una rivoluzione culturale che ha avuto pochi eguali nella storia dell’entertainment, il fumetto transalpino riesce nella difficile impresa di trasportare l’opera di Nagai nel nuovo secolo, mantenendone intatte le suggestioni e molti dei suoi tratti distintivi, a dispetto di un linguaggio che risponde necessariamente a una sensibilità più contemporanea.
I due sceneggiatori scelgono, in particolare, di abbandonare la visione manichea che contraddistingueva in maniera inequivocabile parecchi lavori dell’autore del Sol Levante: la netta separazione tra buoni e cattivi, che in pochi avrebbero messo in discussione all’epoca della diffusione dei primi anime di genere mecha, più di cinquant’anni fa, risulterebbe assolutamente anacronistica al giorno d’oggi, per cui Actarus viene ritratto non come l’eroe tutto d’un pezzo che conoscevamo ma come un uomo tormentato che, dopo anni di battaglie, comincia a dubitare delle proprie azioni e si interroga su quanto l’odio cieco verso il nemico possa spingere a una lotta incessante, che non preveda altre soluzioni se non il totale annientamento dell’avversario. In questo modo Dorison e Bajram inducono il lettore a riflettere sull’insensatezza del ricorso alle armi come metodo per risolvere ogni disputa, attraverso passaggi di trama che suonano addirittura profetici, pensando al caos geopolitico a cui stiamo assistendo negli ultimi tempi.
Stesso discorso per la caratterizzazione degli altri personaggi, molto più sfaccettata rispetto all’originale. Le divertenti, ma ingenue, scaramucce amorose tra i protagonisti della serie storica, per esempio, per quanto significativamente rimaneggiate (tanto che non saremmo sorpresi se qualche fan hardcore delle opere nagaiane storcesse il naso) vengono messe da parte a favore di sentimenti maturi e maggiormente articolati, e persino un comprimario come Rigel, nato per stemperare i frequenti momenti drammatici della storia con siparietti comici di ogni tipo, diventa un dispensatore di saggezza e un esempio morale da seguire. In aggiunta a tutto ciò, senza arrivare a un ribaltamento dei ruoli, che non avrebbe avuto alcuna giustificazione logica, il lavoro di “revisione” realmente importante viene fatto con gli invasori di Vega, le cui azioni, pur spietate, vengono inquadrate più verosimilmente all’interno degli orrori che ogni conflitto bellico porta con sé.
Tuttavia, è opportuno sottolineare che questo approccio autoriale alla saga di Goldrake a volte si scontra con il comprensibile desiderio dei fumettisti francesi di non voler snaturare troppo i personaggi e gli elementi che contrassegnavano la serie originale, con l’inevitabile risultato, però, di avere alcuni snodi narrativi che si risolvono in maniera un po’ scontata e banale.

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Riguardo ai disegni (opera dello stesso Bajram, in collaborazione con Brice Cossu e Alexis Sentenac) ci preme condividere la scelta degli autori di mantenere, per quanto possibile, l’estetica che il regista Tomoharu Katsumata decise per il Goldrake televisivo degli anni Settanta, smussando le derive cartoonesche (che nell’anime vennero riservate esclusivamente ai personaggi caricaturali, come appunto Rigel) e grottesche tipiche dello stile di Nagai. In questo modo si è ottenuta una certa continuità con la serie per il piccolo schermo - l’unica davvero nel cuore degli appassionati - e non con il manga, che ormai viene preso in considerazione solo per ragioni filologiche.
Da evidenziare che - come precisato in fondo al volume - le tavole del fumetto non sono il frutto di una divisione dei compiti tra Bajram, Cossu e Sentenac, ma del lavoro contemporaneo dei tre disegnatori, ognuno dei quali, dopo lo storyboard iniziale, è intervenuto più volte con suggerimenti e correzioni fino a raggiungere l’esito artistico desiderato.
L’unico appunto per il comparto grafico riguarda, a nostro avviso, i colori di Yoann Guillo che, sebbene tecnicamente ineccepibili, risultano in alcune sequenze un po’ troppo freddi.

Prima di congedarci, oltre a ringraziare la BD per averci permesso di rivivere i magici momenti della nostra infanzia, segnaliamo che la casa editrice milanese ha affiancato al volume in versione regular (già di per sé un ottimo cartonato, confezionato in maniera impeccabile) anche una collector’s edition a tiratura limitata, valorizzata da un formato maggiorato e ulteriori pagine di contenuti extra.

Avengers: Il crepuscolo, recensione: i Vendicatori del futuro sotto l'ombra milleriana

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(Recensione di Avengers #9/171-11/173-13/175-15/177)

Quando Frank Miller nel 1986 decise di mostrarci un Batman anziano e disilluso, nel suo capolavoro Il ritorno del Cavaliere Oscuro, probabilmente non pensava di aver dato vita a un’opera seminale del fumetto americano (soprattutto considerando le accuse di fascismo ricevute da qualche collega e da alcuni operatori del settore, dopo la pubblicazione della miniserie). Da quel momento in poi, infatti, parecchi autori hanno scelto di misurarsi con tematiche simili, pur con inevitabili differenze dettate dalla diversità dei protagonisti o dallo stile dei cartoonist coinvolti.
Tra gli esempi più recenti e più riusciti di questo particolare sottogenere dobbiamo ricordare Catwoman: città solitaria di Cliff Chiang, benché l’ultima arrivata, in ordine di tempo, sia la miniserie in sei capitoli Avengers: Il crepuscolo (Avengers: Twilight in originale), da poco conclusasi in Italia sulla testata dedicata agli Eroi più Potenti della Terra.

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La trama vede gli Stati Uniti di un futuro prossimo trasformati in uno stato di polizia, in cui i cittadini hanno preferito rinunciare progressivamente alla propria libertà, in cambio di una maggiore sicurezza, dopo che in quello che è stato definito H-Day, gran parte dei supereroi è caduta per mano di criminali potenziati da Ultron, il quale, soggiogato Hulk, si è anche reso responsabile della distruzione di Boston.
Considerati alla stregua di pericolosi vigilanti in costume, Steve Rogers, Luke Cage e i pochi altri sopravvissuti vengono costretti a ritirarsi, lasciando spazio a una nuova formazione di Avengers, che, al soldo del governo americano, ha brutalmente imposto la pace al resto del mondo. In tale scenario si è inserito James Stark, figlio di Tony Stark e Janet Van Dyne (apparentemente scomparsi nel H-Day), che grazie all’enorme potere economico-finanziario acquisito dalle industrie di famiglia, è diventato di fatto il vero leader del paese. Il giovane James, tuttavia, è solo un burattino nelle mani di Kyle Jarvis, sedicente fratello minore del più noto Edwin (il maggiordomo degli Avengers), sotto le cui spoglie si nasconde, in realtà, uno storico villain del Marvel Universe.

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Un clima oppressivo, reso ancora più disperante dall’efficace sceneggiatura di Chip Zdarsky, nella quale risuona forte l’eco dell’opera di Miller. Difficile, in effetti, non vedere nella metafora fantapolitica dell’autore canadese una critica evidente agli Stati Uniti dei giorni nostri. La manipolazione dei media (frutto di un utilizzo indiscriminato delle fake news), l’abulico disinteresse della popolazione verso lo stato di diritto, l’abuso della forza militare, lo strapotere delle multinazionali, rappresentano per Zdarsky i nuovi temi da portare allo scoperto, come furono per il creatore di Elektra, quasi quarant’anni fa, la deriva guerrafondaia dell’amministrazione reaganiana e la perdita di valori della società americana.
Cionondimeno, basare la vicenda su un intrigo cospirazionista quando si ha a che fare con gli Avengers, lasciando l’azione in secondo piano, diventa – per quanto affascinante – difficile da gestire, anche per uno scrittore già insignito di diversi premi Eisner come il nostro Chip. Pertanto, dopo le pagine iniziali (sicuramente le migliori dell’intera miniserie) dove facciamo la conoscenza dei vari protagonisti e l’ansia di vivere in uno stato totalitario - che omaggia inevitabilmente V for Vendetta di Alan Moore e David Lloyd - si fa via via più asfissiante, la trama assume presto i contorni di una classica storia di supereroi. È unicamente l’abilità di Zdarsky a impedire che il tutto si riduca a una semplice scazzottata tra tizi in calzamaglia, attraverso l’utilizzo di personaggi ben caratterizzati, dialoghi incisivi e un invidiabile ritmo narrativo, favorito, oltretutto, da cliffhanger dosati alla perfezione.

Solo nel finale si percepisce una parziale sensazione di déjà-vu, principalmente perché gli eventi procedono in maniera un po’ affrettata e più prevedibile che nel resto della miniserie (a soffrirne sono in particolare alcuni nuovi character, di cui non si riesce a cogliere pienamente lo spessore), benché la lettura - pur con qualche concessione al melodramma e alla tipica ironia dell’autore - rimanga appassionante anche nei passaggi conclusivi.
Forse, per una migliore riuscita dell’opera, sarebbe stato preferibile concentrarsi sul solo Capitan America. Probabilmente, però, Zdarsky deve aver pensato che, in questo modo, le similitudini con il Batman di Miller sarebbero state fin troppe, al limite del plagio, a dispetto di una differenza morale piuttosto netta tra Steve Rogers e Bruce Wayne.

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Il comparto grafico è tutto appannaggio di un artista di valore come Daniel Acuña, che, nelle tavole realizzate per questa miniserie, esibisce tonalità psichedeliche, quasi ipnotiche. Un’evoluzione stilistica che lo avvicina ancora di più al suo mentore dichiarato Richard Corben, da cui aveva già ereditato l’uso di colori saturi e strabordanti. Le figure umane non presentano gli eccessi ipertrofici e grotteschi dell’autore di Den, sebbene ad anatomie regolari e ben proporzionate facciano da contraltare espressioni facciali, che, a volte, appaiono innaturali o cartoonesche. La cupezza dilagante di molte vignette e la sovrabbondanza di “effetti cinetici” potrebbero disorientare qualche lettore. Tuttavia, il risultato finale è decisamente ammaliante e sicuramente in sintonia con i testi di Zdarsky.

Avengers: Il crepuscolo è un fumetto qualitativamente oltre la media, che intrattiene in maniera intelligente e che spicca - insieme a pochi altri - nel desolante panorama offerto dalla Marvel negli ultimi anni. Ma che, allo stesso tempo, per i limiti che abbiamo descritto, non può essere considerato quel classico contemporaneo con cui, sulla scorta dell’entusiasmo suscitato dai primi numeri, è stato pubblicizzato.

Zagor 703-708, Supermike! recensione: il ritorno dello Spirito Giallo

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Supermike nasce come avversario di Zagor nel 1975, in una storia raccontata sui numeri di Zenith Gigante dal 173 al 176. I fan dello Spirito con la scure sono soliti considerare quell’avventura come una delle ultime appartenenti alla cosiddetta Golden Age del personaggio, un periodo che viene generalmente fatto partire con l’albo intitolato Angoscia! del luglio del 1972 - dove compare per la prima volta il vampiro Bela Rakosi - e terminare con il numero 189, L'orrenda magia, in cui il papà di Zagor Guido Nolitta, alias Sergio Bonelli, coadiuvato ai disegni da Gallieno Ferri – il creatore grafico del Re di Darkwood - e Franco Donatelli (con il contributo occasionale di Franco Bignotti), fece fare alle storie quel salto di qualità che trasformò il personaggio in uno dei più popolari del fumetto italiano.
La versione ufficiale, così come viene anche riportata da Moreno Burattini nel video di presentazione del ritorno di Supermike, vuole che l’idea per questo singolare villain fosse venuta a Nolitta per contrapporre a Zagor un antagonista con doti fisiche e intellettuali tali da metterlo realmente in difficoltà, in modo da rispondere ai tanti lettori che trovavano l’invincibilità dello Spirito con la scure – pure quando messo di fronte a robot giganti, stregoni immortali e mostri di ogni tipo - piuttosto inverosimile. Ciononostante, considerando che l’arrivo di Supermike coincise con il periodo di massima diffusione dei supereroi americani nelle edicole italiane, diversi commentatori – e noi tra questi – hanno sempre intravisto nel personaggio una sorta di bonaria presa in giro di Spider-Man e compagnia. Non fosse altro che per lo sgargiante costume giallo esibito dal Nostro una volta decisosi a sfidare il protagonista della serie e per il nome molto “sopra le righe” con cui, da quel momento in poi, ha cominciato a farsi chiamare. Due scelte sicuramente in linea con l’indole spocchiosa e megalomane di Mike Gordon (l’identità “civile” di Supermike), la quale, però, a ben vedere, è essa stessa una conferma delle reali intenzioni di Nolitta.

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A ogni modo, qualunque fosse la motivazione, siamo abbastanza certi che il creatore di Mister No non si aspettasse che il personaggio riuscisse a rivaleggiare in popolarità con Hellingen o con altri iconici nemici dello Spirito con la scure, tanto che, per come viene portato avanti lo scontro con quest’ultimo, sembrò a tutti davvero difficile che la loro strada potesse tornare a incrociarsi. Solo il compianto Alfredo Castelli ebbe l’ardire di immaginare il rientro in scena di Supermike, ma la controversa storia che ne seguì (pubblicata nel 1984 su quattro albi, a partire dal numero 277 di Zenith Gigante, con Ferri di nuovo alle matite), mai apprezzata dagli zagoriani duri e puri per le incongruenze e i vari punti irrisolti che la caratterizzarono, dimostrò ancora una volta quanto fosse complicato utilizzare in maniera credibile un character come Mike Gordon. 
Eppure, negli anni, le richieste dei lettori di rivedere lo Spirito Giallo (l’epiteto con cui le tribù di Darkwood identificano Supermike) sono diventate incessanti, tanto da convincere Burattini, da molto tempo curatore editoriale di Zagor e uno dei suoi principali sceneggiatori, a fare in modo che i due rivali tornassero a sfidarsi in una serie di prove di destrezza, forza e resistenza, sulla falsariga di quelle raccontate da Nolitta e Ferri. Inoltre, con lo scopo di accrescere ulteriormente il clamore verso un evento così atteso, non solo si è deciso di pubblicarlo in occasione del quarantesimo anniversario dell’avventura firmata da Castelli e l’artista genovese, ma il buon Moreno ha addirittura annunciato che lui e il disegnatore Marco Verni (incaricato di realizzare tutti i capitoli della nuova storia) avrebbero tentato di superare il record di Incubi, la saga ideata da Tiziano Sclavi nel 1988, famosa per essere la più lunga, come numero di pagine, dedicata allo Spirito con la scure. L’intenzione dei due autori, in verità, era già nota da tempo, cionondimeno, pur certi che, alla fine, l’obiettivo sarebbe stato raggiunto a noi come, crediamo, a gran parte dei lettori, è piaciuto stare al gioco. Benché, naturalmente, tutto sarebbe passato in secondo piano se la riapparizione di Supermike non si fosse dimostrata all’altezza delle aspettative. E in proposito, bisogna dire che, sebbene il compito più arduo sia apparentemente toccato al fumettista toscano, che ha dovuto architettare una motivazione plausibile per giustificare il ritorno del personaggio, pure Verni si è trovato ad affrontare un ostacolo assolutamente imprevedibile, l’alluvione che ha colpito Forlì, la sua città, nel maggio del 2023, che oltre a costringerlo a interrompere il lavoro per parecchi giorni, ha seriamente rischiato di fargli perdere una parte di quanto già disegnato fino a quel momento per questa storia.

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Tornando, però, al soggetto: senza nulla togliere alle varie e articolate ramificazioni della trama, che portano il racconto a essere meno banale di quello si potrebbe immaginare, esse sono tuttavia destinate, fin dall’inizio, a porre le basi per un “remake” della prima sfida tra Zagor e Supermike, la cui idea preliminare pare derivi da un suggerimento di Verni (egli stesso uno zagoriano di ferro e vero punto di riferimento della redazione di via Buonarroti quando occorre intercettare gli umori degli appassionati) e che, di fatto, a livello creativo, ha rappresentato l’unica strada percorribile per arrivare alla lunga avventura di questi ultimi mesi. Oltretutto, proprio Nolitta - probabilmente in maniera inconsapevole - aveva fornito un potenziale escamotage per il ritorno di Mike Gordon, che Burattini è stato abilissimo a sfruttare per rendere credibile l’intera vicenda. Per non dire, poi, del modo brillante con cui l’autore bonelliano è riuscito a ricucire la “continuity” del personaggio trovando, in particolare, una spiegazione per le stranezze e le contraddizioni della sceneggiatura di Castelli. L’aspetto maggiormente importante del lavoro di Burattini, però, è la facilità con la quale ha gestito le 518 pagine della storia. Non ci sono punti morti o “stiracchiature” che potrebbero far pensare a strategie per dilatare la narrazione il più possibile. Anzi, tolta qualche scenetta comica di alleggerimento, tutto il resto è funzionale a preparare la nuova sfida tra i due antagonisti, con una tensione realmente palpabile che cresce di capitolo in capitolo. Da notare, infine, come l’esito dello scontro si riveli, nell’epilogo, meno scontato del previsto. Un chiaro segnale da parte dello scrittore di non voler utilizzare l’effetto nostalgia fino in fondo, appiattendosi su una pedissequa replica della saga originale. Sempre ché – eventualità che non possiamo escludere, dato il tempo limitatissimo a disposizione di Verni per terminare le ultime tavole - la sceneggiatura, in extremis, non sia stata parzialmente rimaneggiata, proprio per scongiurare ritardi che avrebbero costretto la casa editrice milanese a soluzioni non in linea con la sua tradizionale affidabilità. L’unico appunto che, in effetti, ci sentiamo di rivolgere a Burattini è una certa frettolosità nel chiudere la vicenda, che contrasta in maniera abbastanza evidente con il “lungo respiro” della trama nel suo complesso e che si percepisce, a tratti, anche nei disegni del cartoonist forlivese, man mano che il racconto procede verso la sua conclusione. Una conseguenza peraltro inevitabile, visti i problemi causatigli dall’alluvione, ma che non oscura minimamente quella che può tranquillamente essere considerata una delle sue migliori prove sulla testata.

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Ferriano fino al midollo, Verni ha ormai reso il suo stile quasi indistinguibile da quello del maestro ligure, tanto da riuscire a ricreare nelle storie dello Spirito con la scure quell’atmosfera vintage così cara ai fan di lunga data. L’orgoglio con cui il fumettista romagnolo rivendica l’eredità artistica del suo mentore traspare in ogni vignetta e non lascerà indifferenti neppure i lettori più giovani, solitamente attratti da disegnatori con altre caratteristiche.
Lo stesso non si può dire per Alessandro Piccinelli, alle cui copertine vengono ancora riservati parecchi commenti negativi. Giudizi in maggioranza ingenerosi, a nostro avviso, benché dobbiamo ammettere che, a volte, non tutto funzioni a dovere. Se, infatti, per quanto riguarda la qualità degli sfondi e dei dettagli, o sulla scelta delle inquadrature, non ci sia praticamente nulla da contestare, il discorso cambia per le figure umane, i volti delle quali (e quello di Zagor in particolare) tendono a essere non di rado legnosi e poco espressivi. I personaggi in generale, poi, vengono di frequente rappresentati in pose eccessivamente “statuarie”, che fanno perdere all’immagine molta della sua intensità. Guardando proprio alla storia in esame, difficile affermare che le copertine delle prime cinque parti non siano di ottimo livello (soprattutto la prima, la terza e la quinta), a differenza della sesta, che, invece, non regge il confronto con quella de La settima prova, l’ultimo capitolo dell’avventura raccontata da Nolitta e Ferri, da sempre ritenuta una delle più drammatiche dell’intera serie.
Lo ripetiamo a scanso di equivoci, il valore di Piccinelli non si discute, e ci sono decine di tavole di Tex e Zagor a testimoniarlo, ma il tentativo del disegnatore comasco di trovare il giusto equilibrio tra innovazione e rimandi ferriani, di tanto in tanto va al di là delle sue capacità.

A leggere i commenti sui forum degli appassionati, tolte alcune “rumorose” voci dissonanti – che ci sono, inutile negarlo - il duo Burattini/Verni sembra aver raggiunto il proprio intento. Un risultato per nulla scontato, visto quanto il popolo degli zagoriani si sia rivelato esigente di recente (si vedano, per esempio, le pesanti critiche rivolte al settecentesimo numero della serie), che, tuttavia, non deve far credere agli autori di poter riposare sugli allori. I fumetti classici continuano a perdere terreno nelle (poche) edicole rimaste e senza l’impegno costante dimostrato finora dalla Bonelli, difficilmente lo Spirito con la scure riuscirà a conquistare i giovani lettori di oggi. Gli unici in grado di garantirgli di festeggiare in buona salute, tra poco più di un lustro, ben settant’anni di vita editoriale.

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