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Verità, giustizia e metodo americano... di fare polemica

super2Quando la politica entra nel mondo dei fumetti il risultato è sempre un’incognita: trattare temi attuali attraverso un mezzo di comunicazione così immediato e seguito può servire per far discutere ed interessare le persone a questioni importanti della quotidianità; l’altra faccia della medaglia è che si può scatenare una sequela di inutili polemiche su un universo che, pur con una grande influenza su un pubblico vasto, rimane una creazione astratta.

L’ultima in ordine di tempo di queste “querelle fumettistiche” è l’ondata di reazioni, positive e negative, alla decisione di uno degli eroi USA per antonomasia, Superman, di abbandonare la sua cittadinanza. Come vi avevamo già anticipato, nel numero #900 di Action Comics l’Uomo d’Acciaio di casa DC si trova a partecipare ad una manifestazione anti governativa in Iran. L’amministrazione di quello che qualche anno fa Bush Jr. definiva “stato canaglia” interpreta questo gesto come un atto di guerra degli Stati Uniti nei suoi confronti. L’alterego di Clark Kent, stanco che ogni sua azione sia vista come un prolungamento del governo americano, minaccia di rinunciare alla sua cittadinanza acquisita, per rispondere alle esigenze di un mondo che “ormai è troppo piccolo, troppo connesso. Verità, giustizia e American way non sono più abbastanza”.

Inutile dire che la storia ha immediatamente fatto il giro di ogni network del pianeta, provocando una quantità enorme di commenti e reazioni, soprattutto da parte degli ambienti più conservatori della destra statunitense. “Crede nella neutralità svizzera o nell’interventismo britannico?” scrive il giornalista Jonathan Last sul "Weekly Standard", “se non crede nell’America, non crede in nulla”. Ancora più sdegnata la replica di "Swamp Fox Press": “gli autori intendono usare questo fatto come una critica politica, ma si tratta di un vero e proprio schiaffo all’identità americana. Mostratemi un altro paese che ha fatto di più per il mondo che gli Stati Uniti”.

Molto più pacata e ironica la risposta della stampa internazionale e del settore, con l’australiano "Herald Sun" che titola “non essendo tecnicamente nato negli USA e non essendo stato formalmente adottato dai coniugi Kent, Superman potrebbe essere considerato un immigrato illegale” o il redattore di "Bleeding Cool", Rick Johnston, che spiega: “appena ho saputo la notizia, ero certo che avrebbe avuto un grande impatto. Ma non penso che dietro ci sia la minima volontà di cospirazione o che faccia parte di un grande piano di marketing della DC.”

Sentendo le reazioni degli artisti che lavorano in prima persona in questo mondo, si possono trovare ulteriori spunti di discussione, al di là delle polemiche. Il disegnatore Dan Lawlis critica: “c’è qualche dubbio sul fatto che il mondo dei comic non sia dominato da estremisti di sinistra senza dio? No, ed è il motivo per cui non perdo un’occasione per darmi da fare in questo campo”, mentre la sceneggiatrice Gail Simone ironizza “non per essere sfacciata, ma la Marvel ha in programma una storia in cui Iron Man mangerà la Costituzione”. Una non troppo velata nota di sarcasmo arriva, infine, dallo scrittore canadese Chip Zdarsky: “certo, potrà pur rinunciare alla cittadinanza, ma solo un americano chiamerebbe sé stesso “Superman” e si vestirebbe in quel modo.”

In sostanza, è evidente come una semplice idea per una trama di un fumetto possa ripercuotersi sulla realtà con un clamore e una risonanza impensabili. Soprattutto dai commenti della gente comune, emerge l’influenza sempre maggiore di quest’industria su numerosissime persone: esternazioni quali “se rinuncia alla cittadinanza, allora deve lasciare subito il paese. E se decide che Clark Kent può rimanere americano, si dimostra un ipocrita. Mi fa vomitare!” o “questo significa che Superman difenderà i palestinesi quando lanciano 200 razzi sulle famiglie israeliane?” dimostrano come una battuta in un baloon possa divenire determinante per quelle che sono delle vere e propri icone pop moderne. Ciononostante, polemiche eccessive come queste posso scatenare rabbia e paure immotivate a causa di personaggi del tutto fittizi e immaginari. Se Capitan America in un albo decidesse di abbandonare i colori a Stelle e Strisce perché deluso dallo scandalo Watergate, come già accaduto negli anni ’70, in quello successivo potrebbe tornare a vestirli per una banale decisione dello sceneggiatore.

La bellezza del mondo dei fumetti sta nell’essere uno dei mezzi di comunicazione migliori, che, combinando parole ed immagini, può far vivere emozioni forti e far riflettere su temi centrali nella vita di tutti i giorni. Arrivare a parlare di eroi inventati, siano essi Batman o Corto Maltese, come se fossero persone reali in grado di condizionare la politica o la società è, però, un’assurdità che lascia il tempo che trova. Quasi nessun personaggio di fantasia è associato ad un particolare schieramento partitico o ad un ideologia (anche se molti tentano plagi in tal senso) ed è giusto che sia così, per poter far identificare ogni lettore, di qualunque paese, razza o religione con il suo paladino cartaceo. Nel contempo, parlare di attualità nei comic è utile per creare spunti di discussione e confronto, fermo restando che nella vita reale Barack Obama non stringerà  mai la mano a Spiderman. Per concludere, sono illuminanti le parole dell’autore britannico Paul Cornell: “aspetto con ansia il giorno in cui si parlerà finalmente delle trame dei fumetti, invece che delle polemiche che ci si ricamano sopra.”

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