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Non tutti sono Charlie, ma qualcuno finge di esserlo

Quando lo scorso 14 gennaio, Charlie Hebdo è tornato in edicola, Il Fatto Quotidiano ha deciso di allegare la rivista al suo giornale. Maliziosamente qualcuno avrà pensato che quelli de Il Fatto avranno avuto un tornaconto personale, in fondo avranno venduto più copie (ricordiamo che il ricavato andrà in beneficenza), si sarà fatto pubblicità. Leggendo dall'editoriale di Antonio Padellaro, scopriamo però che il caporedattore di Charlie Hebdo li ha ringraziati dicendo "Siete l'unico giornale italiano che ce l'ha chiesto".

Leggendo poi l'apertura di Gérard Biard, mi hanno colpito le sue parole:

"Da una settimana, come nella magnifica vignetta di Willem, Charlie ha un sacco di nuovi amici. Perfetti sconosciuti e celebrità planetarie, umili e benestanti, miscredenti e dignitari religiosi, sinceri e gesuiti, gente che terremo con noi per tutta la vita e altri che saranno soltanto di passaggio. Oggi ce li prendiamo tutti, non abbiamo tempo né cuore di scegliere. Ma non per questo ci caschiamo. Ringraziamo di cuore quelli che, a milioni – semplici cittadini o rappresentanti delle istituzioni–ci sono veramente vicini; quelli che, sinceramente e profondamente, “sono Charlie”, e che si riconosceranno. E fanculo agli altri, che tanto se ne fregano… [...]I milioni di persone anonime, tutte le istituzioni, tutti i capi di Stato e di governo, tutte le personalità politiche, intellettuali e mediatiche, tutti i dignitari religiosi che questa settimana hanno proclamato: “Io sono Charlie”, devono sapere che ciò significa anche: “Io sono la laicità”. Siamo convinti che per la maggioranza di chi ci appoggia sia un fatto acquisito. E gli altri si arrangiassero".

Ecco, questa cosa mi ha fatto riflettere. Un'arguta battuta, Spinoza recita:
"Condiviso in tutto il mondo l’hashtag #JeSuisCharlie. Il vantaggio è che non bisogna tirarsi la secchiata".

Perché diciamolo, scrivere un hashtag sui social, cambiare un'immagine di profilo o condividere una foto è un attimo. Ma qual è la consapevolezza dietro questi gesti?
Nei primi giorni dopo la strage mi ha colpito il fatto che i media anglosassoni non riproducessero le vignette. Hanno trattato la vicenda nei minimi dettagli, ma nessuna immagine a supporto. Una scelta a mio modo errata, ma col senno di poi posso definirla coerente. Opposta a quella, ad esempio, de Il Fatto Quotidiano, ma con una sua logica ben precisa. La stessa cosa che non posso dire per Il Corriere della Sera.

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Fra le varie news, giorni fa segnalammo anche un volume, dal titolo, "Je Suis Charlie" in allegato al quotidiano milanese. Particolarmente significativo è il sottotitolo: "Matite in difesa della libertà di stampa". Tenetelo bene in mente. Un volume che io, ancora ignaro, avevo prenotato in edicola (per la cronaca, arrivato solo oggi ma che non ho pi preso). Alcuni dettagli emersi dopo, però, mi hanno fatto, diciamo così, storcere il naso.

Che senso ha infatti, come precisato in un articolo stesso del quotidiano, raccogliere nel volume le migliori vignette di Charlie Hebdo, evitando però quelle più polemiche, che potrebbero offendere la sensibilità di qualcuno. È come fare un volume di Milo Manara togliendo la donne nude o una rassegna dedicata a Quentin Tarantino tagliando le scene violente. Si è mortificato, così facendo l'essenza stessa di quello che Charlie Hebdo è. Tutto il discorso legato alla libertà di stampa e di satira, svanisce nel nulla. Resta lo scopo benefico, d'accordo, ma è il modo peggiore per farlo.

Ma c'è di peggio.

Il volume raccoglie molti omaggi di vari fumettisti che, nelle ore e nei giorni dopo l'attentato, hanno dimostrato la loro solidarietà al settimanale satirico e alle vittime dei tettoristi. Purtroppo, le loro vignette sono state pubblicate (a bassa risoluzione) senza che ne avessero dato il consenso. Un fatto grave non solo perché irrispettoso del lavoro altrui e dei diritti d'autore, ma perché denigra una categoria, quella dei fumettisti (o illustratori) che è la stessa che dovrebbe in questi giorni essere difese a spada tratta. È un po' come se dopo la morte di 12 operai in una fabbrica, il padrone ne celebri la memoria assumendo in nero altri dipendenti. Insomma, una doppia contraddizione allo spirito di Charlie Hebdo.

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A questo punto, giustamente, forte è stata l'indignazione degli autori che hanno sollevato un polverone. Vi rimandiamo a due (impossibile citarli tutti) dei fumettisti più attivi sulla vicenda: Roberto Recchioni e Leo Ortolani che ben spiegano il punto di vista della loro categoria sulla vicenda.
Se è lecito chiedersi se avessero fatto la stessa cosa con altre categorie (avrebbero pubblicato brani musicali o filmati senza autorizzazione?) la domanda che ci poniamo è: il modo di agire del Corriere è stato consapevole o si è trattato di semplice ingenuità? Quasi sarebbe meglio auspicare che si tratti della prima ipotesi, perché è assurdo pensare che il più antico quotidiano d'Italia possa prendere senza alcun diritto immagini di autori e farci un libro.

Alla fine, le scuse sono arrivate (prima da Ferruccio De Bortoli ieri, poi sulle pagine del Corriere oggi), ma sono più giustificazioni che altro. Cosa significa che c'era poco tempo a disposizione? Che non c'era il tempo per contattare ogni singolo autore e aspettare l'Ok? Siamo nell'era di Internet, contattare con un messaggio standard anche 100 autori su un social network o per mail e attendere la risposta, quanto avrebbe potuto ritardare l'uscita del volume? Un giorno? Due? Tre?
Se questa triste vicenda ci ha insegnato qualcosa è quella del rispetto. Meglio attendere di fare tutto nel modo corretto, nel rispetto del lavoro altrui, piuttosto che far uscire un volume in fretta e furia per cavalcare l'onda. È come se io avessi l'esigenza di costruire un'abitazione in fretta e furia e lo facessi senza attendere l'autorizzazione per poterla costruire. Esistono leggi, esiste una legalità, esistono procedure da rispettare e la fretta, e anche la buona fede, a volte non bastano.

Ma sopratutto, che esigenza c'era di uscire per forza e così rapidamente con un volume fatto male, senza che rispecchi lo spirito di Charlie Hebdo e senza autorizzazione degli autori coinvolti loro malgrado?
E allora, se non siete Charlie, non fingete di esserlo. Siate coerenti.

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