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Antonio Ausilio

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Space Bandits, recensione: l'ottimismo fantascientifico di Mark Millar e Matteo Scalera

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Abbiamo già scritto in passato di come Mark Millar venga ormai costantemente preso di mira da buona parte della critica fumettistica, perché accusato di pensare soprattutto al proprio tornaconto, piuttosto che a realizzare storie degne di nota. Tuttavia, vale la pena ripetere che questo atteggiamento si è acuito da quando Netflix ha acquisito il Millarworld (l’etichetta che raccoglie le serie creator-owned dell’autore scozzese) e fa sì che ogni nuova opera uscita dalla sua penna venga aprioristicamente bollata come superficiale o utile solo per un futuro sfruttamento cinematografico. È vero che di fronte a lavori francamente imbarazzanti come il recente Sharkey il cacciatore di taglie la tentazione di andare dietro a quei giudizi un po’ affrettati potrebbe anche avere una sua giustificazione, ma in questo modo si rischierebbe di perdere quanto di buono Millar è ancora in grado di offrire ai suoi non pochi estimatori. Più semplicemente, è probabile che la necessità di dover rispettare le scadenze imposte dal colosso dello streaming lo porti a privilegiare alcune serie rispetto ad altre, con la conseguenza di assistere a una differenza qualitativa abbastanza netta - e difficilmente prevedibile – tra un’opera e l’altra, che, alla lunga, potrebbe anche determinare una generale disaffezione dei lettori nei suoi confronti (un problema a cui sembra essere riuscito a porre rimedio un altro autore particolarmente prolifico come Jeff Lemire, da qualche tempo più restio ad accettare troppi lavori).

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Che Millar sia ancora uno scrittore valido lo abbiamo già sottolineato in occasione dell’uscita italiana di The Magic Order, ma ci sentiamo di ribadirlo anche al termine della lettura di Space Bandits, nuovo volume di Panini Comics, uscito da poco in fumetteria, che raccoglie l’omonima miniserie pubblicata negli USA lo scorso anno, realizzata dal cartoonist scozzese in coppia con il parmense Matteo Scalera. Il titolo sembra lasciare poco spazio all’immaginazione, tuttavia nasconde che i protagonisti della storia non sono un generico gruppo di briganti del cosmo, ma piuttosto due fuorilegge di sesso femminile, trovatesi per caso a collaborare, per vendicarsi dei rispettivi partner (i membri della banda di malfattori, di cui è a capo una delle due e il truffaldino amante dell’altra), responsabili di aver fatto finire entrambe ai lavori forzati su un gigantesco crostaceo morto, diventato la prigione dei peggiori criminali dell’universo. Quel titolo non svela neppure gli omaggi continui agli anni Ottanta, recentemente riportati alla ribalta grazie al successo della serie televisiva Stranger Things, al cui fascino, evidentemente, non è immune neppure lo stesso Millar, tanto che, fin dalla prima vignetta, questa sua nuova creazione si presenta come un giocoso omaggio all’estetica di quel periodo, dove trovano spazio persino trovate un po’ stravaganti come un’astronave da crociera che si chiama Lionel Richie, o gli appariscenti abiti indossati dai personaggi, che sembrano usciti da una rivista per teenager dell’epoca. Diverse bizzarrie che, nel loro insieme, rendono piuttosto improbabile lo scenario fantascientifico in cui è ambientata l’opera e che giustificano l’uso massiccio dell’ironia, necessaria a rendere digeribili al lettore anche le invenzioni più folli dell’autore scozzese.

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Degli anni Ottanta, in realtà, Millar rispolvera anche il riuscito mix tra commedia e azione, che molto spesso caratterizzava le pellicole per il grande schermo o i telefilm del periodo, nella maggior parte dei casi popolati da eroi scanzonati che, persino nelle situazioni più drammatiche, erano in grado di stemperare la criticità del momento grazie alla loro simpatia. Tutti elementi abilmente riutilizzati dall’autore di Kick-Ass e Civil War, ma con una differenza sostanziale: in quei film e in quelle serie televisive, i protagonisti erano sempre uomini, mentre le donne erano spesso relegate al ruolo di comparsa. Qui, invece, i personaggi principali sono due aliene e sono i maschi a rimanere in posizione subalterna. In altre parole, Millar non si limita ad aggiornare al linguaggio contemporaneo quel genere tanto popolare qualche decennio fa, ma si diverte a ribaltarne anche i concetti di base, quasi a dimostrare che chi, come lui, è capace di unire una scrittura di alto livello a una fervida immaginazione, può permettersi di utilizzare i riferimenti e le citazioni solo come un gustoso extra, forse buono a cavalcare la moda del momento, ma per nulla necessario all’economia della storia in sé. Il piatto forte di Space Bandits, infatti, è costituito fondamentalmente dalle spericolate peripezie delle due antieroine, che avrebbero potuto tranquillamente svolgersi in un’altra epoca e con un’ambientazione differente, senza perdere, tuttavia, un grammo della loro originalità.

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Millar, però, ha dimostrato più volte la sua passione per la fantascienza o i temi fantasy in generale, e scegliere come sfondo la galassia ha garantito ai suoi testi di trovare una rappresentazione più che degna nei fascinosi disegni di Scalera. Ciò nonostante, sono soprattutto l’azione frenetica e il rapido succedersi degli eventi a esaltare l’artista emiliano, che si scatena in tavole ipercinetiche e splash-page di grande impatto, oltre a spingersi a sperimentare con successo soluzioni visive ardite e prospettive inusuali (peraltro già parzialmente intraviste nell’ottima Black Science). In più, le sue anatomie spigolose e volutamente sproporzionate, unite a un’espressività dei volti dei personaggi tendente al cartoonesco (particolarmente accentuata negli alieni non umanoidi) rafforzano i toni da commedia di tutta la vicenda. Da non sottovalutare neppure i colori saturi e invasivi di Marcelo Maiolo, che danno ancora più energia ai disegni di Scalera, anche se l’unione tra la sceneggiatura spensierata di Millar e una parte grafica volutamente tesa a evocare il luccichio del decennio edonista per antonomasia, fa spesso somigliare la storia a un gigantesco videoclip. È probabilmente questo il vero limite della serie, perché per quanto divertente sia seguire le scorribande della coppia protagonista, a volte la trama tende a essere un po’ troppo prevedibile e l’autore scozzese sembra scegliere sempre la soluzione più appetibile per i lettori. Di questo ne soffre anche la caratterizzazione delle due simpatiche criminali, soprattutto la forzuta Thena Khole, che paga questa sua inusuale peculiarità, apparendo spesso come una semplice figura di contorno (la classica spalla un po’ ingenua che sa menare le mani e poco altro). Molto meglio la geniale calcolatrice Cody Blue, decisamente più in sintonia con quella vasta galleria di personaggi brillanti e determinati, per i quali Millar ha sempre mostrato un attaccamento particolare.

Concludiamo con una curiosità: nelle pagine finali, assistiamo a una prova generale per rendere il Millarworld, o almeno una parte di esso, un universo condiviso. Che sia un’esplicita richiesta di Netflix per inseguire i successi del Marvel Cinematic Universe?

Harley Quinn. Gotham arrivo!, recensione: la linea young Adult della DC Comics

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Il clamore suscitato dal passaggio dei diritti dei personaggi della DC Comics dalla RW Edizioni alla Panini Comics, ha fatto passare un po’ inosservata la notizia che non tutti i fumetti della casa editrice americana sarebbero stati pubblicati dall’editore modenese. La Cosmo, infatti, proseguirà la sua collana di volumi dedicati alle strisce sindacate di Superman e compagnia, e continuerà a ristampare in versione economica diverso materiale DC della Silver Age. La vera novità, tuttavia, è che l’Editrice Il Castoro si è aggiudicata i diritti di pubblicazione della linea Young Adult, un imprint nato lo scorso anno con lo scopo di realizzare graphic novel dedicati ai personaggi più famosi dell’editore newyorkese (sebbene le storie saranno totalmente slegate dalla continuity classica) e destinati a un pubblico di giovani e adolescenti. Per rendere l’operazione ancora più accattivante, inoltre, gli sceneggiatori non sono stati scelti tra i nomi più importanti del fumetto americano, ma tra i più affermati scrittori di bestseller per ragazzi.

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Il primo titolo ad arrivare in Italia è Harley Quinn. Gotham arrivo! (in originale Harley Quinn. Breaking Glass), scelto con la precisa intenzione di sfruttare l’uscita su grande schermo del film Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn. Ai testi troviamo la lanciatissima Mariko Tamaki, che, in verità, non è proprio un’autrice estranea al mondo del fumetto, avendo già collaborato diverse volte con Marvel, DC e vari editori indipendenti, oltre a essere l’autrice di pluripremiati graphic novel, tra cui E la chiamano estate (uscito in Italia per Bao Publishing), grazie al quale ha vinto un premio Eisner. Questo recente lavoro per la DC, le ha fatto guadagnare una nuova nomination alla competizione che si terrà il prossimo luglio, dove è stata candidata anche come best writer e per un altro romanzo a fumetti, Laura Dean continua a lasciarmi (da poco nelle nostre fumetterie, sempre per Bao). La scrittrice canadese è ormai una veterana del genere adolescenziale, quindi sa bene che la prima regola da rispettare in questi racconti è quella di avere dei teenager come protagonisti. E così Harleen Quinzel, che nell’Universo DC classico è una psichiatra dell’Arkham Asylum, che arriva a innamorarsi del Joker, tanto da seguirlo nelle sue attività criminali con il nome da battaglia di Harley Queen, nella storia della Tamaki diventa un’esuberante quindicenne, in trasferta a Gotham City per incontrare sua nonna, che nei piani della madre di Harleen, impegnata per un anno su una nave da crociera, avrebbe dovuto occuparsi di lei per tutta la durata della sua assenza. Madre e nonna, però, non sono più in contatto da parecchio, così quando Harleen arriva in città scopre che l’unico altro parente che aveva è morto da poco e la sua abitazione è ora occupata da Mama, una drag queen che gestisce l’intero palazzo e il locale dove lei e le sue colleghe si esibiscono la sera. Mama accetta di ospitare la scapestrata adolescente che, grazie alla sua vivacità e al suo carattere estroverso, impiegherà pochissimo ad abituarsi alla nuova situazione, riuscendo anche a fare amicizia con la coetanea Ivy, una ragazza di colore impegnata nella difesa dell’ambiente e dei diritti delle minoranze. Allergica alle regole e sempre pronta a mettersi nei guai, Harleen rimarrà presto affascinata dal misterioso Joker, un giovane anarchico che nasconde il suo volto dietro una maschera, pronto a sfruttare lo spirito ribelle della protagonista per creare scompiglio in città.

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Già da questo breve riassunto della trama si intuisce che lo scopo evidente di tutta l’operazione Young Adult è quello di realizzare delle opere in grado di catturare non solo l’interesse dei fan più giovani dei personaggi DC, possibilmente intrigati a vedere una nuova interpretazione dei loro beniamini, ma anche di spingere nuovi lettori completamente a digiuno o quasi del mondo di Batman e soci ad avvicinarsi al libro. Inoltre, i frizzanti dialoghi della Tamaki e il modo sbarazzino in cui viene ritratta la protagonista, se da un lato permettono di raggiungere facilmente il target adolescenziale che era nei piani della dirigenza dell’editore newyorkese, dall’altro rendono il graphic novel appetibile anche per un pubblico adulto. Cosa ancora più vera pensando al ricco cast di comprimari, che l’autrice canadese caratterizza benissimo, riuscendo così a creare un piccolo microcosmo di personaggi a cui è veramente difficile rimanere indifferenti. Naturalmente, per rendere ancora più stimolante la lettura a chi conosce bene la versione classica dei personaggi DC, le strizzatine d’occhio alle storie del Cavaliere Oscuro sono numerose. La Tamaki, tuttavia, è molto brava a fare in modo che tali omaggi non diventino una fastidiosa forzatura della trama, inserendoli in maniera coerente in una storia dove, in realtà, le avventate “imprese” della protagonista sono solo un divertente intermezzo di una vicenda dove si parla di prevaricazione dei più forti sui più deboli, di speculazioni finanziarie, di omologazione sociale, di intolleranza e di diversi altri temi che accomunano gran parte dei giovani di ogni latitudine. Argomenti forse affrontati in maniera leggera, ma che, per contro, non scadono mai nella retorica o nel luogo comune.

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Le tavole di Steve Pugh potrebbero lasciare gli amanti delle nuvole parlanti un po’ disorientati. Le vignette, infatti, sono quasi completamente prive di dinamicità e lo storytelling è praticamente assente: se non ci fossero i balloon a ricordarci di avere tra le mani un fumetto, penseremmo di essere di fronte a una lunga sequenza di illustrazioni, come quelle che si trovavano nei romanzi di avventura di una volta. Un po’ la stessa sensazione che si prova di fronte ai lavori di Alex Ross, di cui, però, Pugh non riprende lo stile pittorico e iperrealista. A ogni modo, il tratto dell’autore britannico, per quanto insolito, non rappresenta assolutamente un difetto e riesce comunque a rendere reali i personaggi immaginati dalla Tamaki, lasciando che la narrazione scorra attraverso l’espressività dei loro volti e il continuo variare dei colori, intrinsecamente legati all’atmosfera che si respira nelle varie fasi del racconto, in cui trovano la loro ragion d’essere anche il rosso e il nero, tipicamente abbinati al costume dell’anti-eroina.

Nonostante la cancellazione della linea Vertigo, compensata solo in parte dall’arrivo dell’etichetta Black Label, Harley Quinn. Gotham arrivo! rappresenta una conferma della grande capacità che la DC ha dimostrato fin dagli anni '80 di saper differenziare i propri prodotti, senza fossilizzarsi sul classico genere supereroistico, che - sulla spinta dell’enorme successo raccolto dai suoi film - sembra, per ora, l’unico su cui alla Marvel interessa davvero investire.

Batman - L’ultimo cavaliere sulla Terra, recensione: il Batman post-apocalittico di Snyder e Capullo

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Con Batman - L’ultimo cavaliere sulla Terra, Scott Snyder e Greg Capullo tornano a lavorare assieme per una saga del Cavaliere Oscuro, dopo aver firmato i capitoli principali del crossover Dark Nights: Metal e, qualche anno prima, un lungo e acclamato ciclo del personaggio, dopo il rilancio The New 52. La nuova miniserie è uscita negli USA sotto l’etichetta Black Label, la linea editoriale che ha, di fatto, preso il posto della Vertigo e che, spesso e volentieri, ospita opere dedicate ai supereroi classici di casa DC. Queste, però, sono generalmente slegate dalla continuity ufficiale e sono espressamente realizzate per catturare l’interesse di un pubblico amante di storie dal taglio più autoriale. La vicenda narrata da Snyder e Capullo segue alla lettera questa impostazione di base, sebbene, a leggere la trama dei tre capitoli che compongono la miniserie, l’impressione che se ne riceve è quella di essere di fronte a un’avventura più mainstream.

I due autori ci mostrano un futuro distopico e post-apocalittico dove, dopo la caduta dei supereroi per mano di Lex Luthor, il pianeta Terra - ormai in rovina  è dominato dal misterioso Omega. Costui, entrato in possesso dell’equazione anti-vita (eterno oggetto del desiderio di Darkseid), ha annullato la volontà di gran parte del genere umano e si appresta a estendere il suo controllo sui pochi che ancora gli resistono. A contrastarlo un Batman inspiegabilmente ancora giovane che, unitosi ai pochi supereroi sopravvissuti, utilizzerà ogni mezzo per cercare di cambiare il terribile destino a cui sembra inesorabilmente condannato il genere umano.

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In questa sua ultima fatica, lo scrittore newyorkese aggiorna lo schema degli Elseworld cercando, in qualche modo, di recuperare le atmosfere di tante storie di fantascienza dove si immagina una società umana collassata in seguito a un evento catastrofico. Una tematica ampiamente sfruttata nei fumetti, soprattutto quelli americani, che anche in tempi recenti ha ispirato opere di successo come la saga Wolverine - Old Man Logan di Mark Millar e Steve McNiven.
Snyder è uno scrittore molto dotato, ma negli ultimi tempi ha gradualmente abbandonato la chiarezza narrativa a favore di trame complesse e contorte pensando, in questo modo, di aumentare la qualità del suo lavoro. Un processo che in questa opera, almeno nella parte iniziale, sembra spingersi ancora oltre: la vicenda, infatti, inizia con un flashback nel presente, che pare slegato dagli eventi successivi, nei quali il racconto assume prima i toni del thriller psicologico per poi diventare, in maniera alquanto sorprendente (e poco in sintonia con quello che si era visto fino a quel momento) il dramma ambientato nel futuro di cui abbiamo detto.

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Il seguito della storia procede verso lo scontro finale tra Batman e Omega, interrotto solo da altri due brevi flashback, che riprendono la sottotrama iniziale del primo capitolo. Il succedersi degli eventi, però, è poco fluido, con personaggi che troppe volte parlano in maniera inutilmente altisonante. L’intenzione evidente di Snyder è quella di combinare le suggestioni del fumetto d’autore con l’estetica popolare associata al Cavaliere Oscuro, ciò nonostante, alla fine, i momenti memorabili sono davvero pochi e l’epica, che lo scrittore americano sembra voler imprimere nei passaggi finali dell’opera, si percepisce solo a tratti. Alcune soluzioni narrative, inoltre, ci hanno lasciato piuttosto perplessi: l’esempio più evidente è l’improbabile piano ordito da Luthor per sconfiggere i supereroi, ma anche l’evoluzione del Joker è, francamente, difficile da digerire. Snyder sembra quasi voler appagare più sé stesso che il lettore riducendo, però, il tutto a un semplice esercizio di stile, con la conseguenza di sacrificare anche le idee interessanti (che non sono poche). Tra queste, vale la pena accennare alla sottotrama alla base dei brevi flashback che aprono ogni capitolo, dove l’autore di American Vampire capovolge l’assunto che avrebbe portato alle origini di Batman. Un’intuizione molto intrigante che avrebbe meritato più spazio e miglior sorte. Essa, invece, diventa semplicemente l’esempio estremo di come l’incrollabile fiducia del Cavaliere Oscuro verso la sua missione, non possa essere messa in discussione neppure da una verità tanto sconvolgente. Di fatto, questo è il tema che Snyder porta avanti con forza fino alla fine e che trova il suo compimento nel momento in cui Batman apprende la reale identità di Omega (in verità, non così sorprendente). Lo sceneggiatore newyorkese, insomma, non decide di procedere verso una revisione del personaggio ma cerca, piuttosto, di raccontare in maniera più elegante e sofisticata la capacità dell’Uomo Pipistrello di non vacillare mai di fronte a prove oltre il limite della sopportazione fisica e mentale. Nessuna tematica rivoluzionaria, quindi, che con una sceneggiatura di maggiore spessore, tuttavia, avrebbe potuto portare a un’opera da ricordare negli anni a venire.

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Passando ai disegni, lo stile di Capullo (coadiuvato, come d’abitudine sulle testate DC, dagli splendidi colori del messicano FCO Plascencia) sembra continuare ad allontanarsi da quello a cui eravamo abituati sulle pagine di Spawn. Il tratto è più pulito e meno cartoonesco, con la conseguenza che i volti dei personaggi, pur perdendo qualcosa in termini di espressività, risultano meno caricaturali e, quindi, più in linea con le atmosfere del Cavaliere Oscuro. Molto buona la dinamicità delle tavole, quando il ritmo della narrazione lo impone, con alcune splash-page davvero notevoli.

Chiudiamo con una nota riguardante l’edizione italiana: i tre albetti brossurati pubblicati dalla Lion, su cui si basa la nostra analisi, sono caratterizzati da una buona qualità di carta e stampa. A ogni modo, se nonostante le nostre riserve, qualcuno fosse comunque interessato all’acquisto dell’opera, consigliamo di aspettare il volume che la raccoglierà per intero (non fosse altro per il prezzo più basso), che Panini Comics dovrebbe far arrivare in fumetteria a breve, nonostante i ritardi accumulati a causa del Coronavirus.

Black Hammer - L'Era del Terrore, recensione: la chiusura del ciclo

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Sapevamo da tempo che Jeff Lemire avesse deciso di chiudere l’arco narrativo principale dedicato agli eroi di Spiral City con la miniserie Black Hammer: Age of Doom (che Bao ha raccolto in due bei volumi cartonati, il secondo dei quali è arrivato in fumetteria qualche settimana fa). Eppure, sebbene l’universo creato dall’autore canadese continuerà a vivere attraverso nuovi protagonisti e svariate serie parallele, vedere compiersi il destino di personaggi entrati da subito nel cuore di molti lettori, ci ha lasciati un po’ disorientati. Non possiamo neanche permetterci di andare oltre questa affermazione un po’ sibillina, perché altrimenti rischieremmo di svelare troppo di un finale che, invece, merita di essere assaporato fino in fondo. Lo stesso finale che, tra l’altro, è anche una chiara conferma della linea seguita da Lemire per la sua opera fin dall’inizio: non una semplice celebrazione nostalgica della Golden e della Silver Age dei comics ma, piuttosto, una storia in cui i personaggi sono degli attori tridimensionali, la caratterizzazione dei quali va ben aldilà della semplice umanizzazione della figura del supereroe, a cui assistiamo periodicamente, anche se con sfumature diverse, fin dagli anni Ottanta. I poteri di Abraham Slam, Barbalien, Golden Gail e tutti gli altri non sono praticamente mai la forza motrice del racconto, che concede, invece, maggiore spazio ai sentimenti dei protagonisti, ai loro sogni, alle loro frustrazioni o, semplicemente, al desiderio di alcuni di condurre una vita normale. Il tutto, comunque, senza rinunciare a quell’ingenuità di fondo che ha caratterizzato il fumetto americano per gran parte del secolo scorso.

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È anche vero che, per apprezzare pienamente il lavoro del cartoonist canadese, occorrerebbe andarsi a rileggere non solo tutti gli episodi precedenti, ma anche i volumi dedicati agli spin-off della serie, dove i vari indizi disseminati da Lemire per anticipare la conclusione della storia, acquistano finalmente un senso. Ciò nonostante, aldilà di queste considerazioni di carattere generale, il contenuto della miniserie merita senz’altro un approfondimento maggiore, ma per fare questo è necessario ripartire dalle ultime pagine del secondo volume dell’edizione italiana, dove la giovane Lucy Weber, dopo aver impugnato il martello cosmico di suo padre, si era trasformata nella nuova Black Hammer, annunciando ad Abraham e al resto degli ex eroi di Spiral City di aver recuperato i ricordi, che gli erano stati sottratti da Madame Dragonfly al momento del suo arrivo a Rockwood. Un colpo di scena particolarmente efficace, che ha lasciato il pubblico americano con il fiato sospeso per diversi mesi, dato che negli USA quel finale ha coinciso anche con la chiusura della serie regolare dedicata ai personaggi. Una trovata un po’ insolita, che è servita a Lemire per prendere in giro Marvel e DC riguardo la loro politica editoriale degli ultimi anni, impostata sul periodico azzeramento della numerazione delle varie testate, con la scusa di eventi narrativi particolarmente significativi o di importanti cambi nel team creativo. Una strategia che, da tempo, sembra voler inseguire la serialità televisiva moderna, cercando di accomunare le “run” fumettistiche alle “season” del piccolo schermo, così da rendere il linguaggio dei comics più familiare ai giovani di oggi ma, nello stesso momento, difficilmente digeribile per chi, come il cartoonist canadese, è cresciuto con i ritmi compassati della Bronze e della Modern Age. Naturalmente, l’escamotage è servito anche per far tirare il fiato agli autori, soprattutto a Lemire, sempre impegnato in più di un progetto contemporaneamente. A ogni modo, i lettori italiani non si sono accorti praticamente di nulla, visto che la Bao ha giustamente raccolto Age of Doom nei volumi tre e quattro della sua collana dedicata ai paladini di Spiral City.

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I nuovi episodi si aprono con Madame Dragonfly che riesce, ancora una volta, a impedire a Lucy di raccontare la verità sulla fattoria, inviandola in quello che, almeno all’inizio, sembra una sorta di labirinto dimensionale. Da qui in poi, la narrazione di Lemire procede su due livelli separati: nel primo viene portata avanti in maniera classica la vicenda principale, nel secondo, invece, ci viene mostrato il tentativo di Lucy di tornare alla fattoria, attraverso un surreale viaggio su altri mondi, dove l’autore canadese non riesce neppure a resistere alla tentazione di citare sé stesso facendo comparire, in una vignetta, Gus, il protagonista di Sweet Tooth. In questi passaggi, Lemire comincia a giocare in maniera scoperta con le regole del medium, trascendendo la storia principale con citazioni più o meno nascoste di pietre miliari del fumetto (la dimensione di Storyland, per esempio, ricorda le atmosfere del Sandman di Neil Gaiman) e improbabili paradossi spazio-temporali (concentrati soprattutto nel personaggio di Jack Sabbath, che sarà uno dei protagonisti della cosiddetta Fase II del Black Hammer Universe). Questo processo raggiunge infine il suo apice in due episodi successivi dedicati quasi per intero al Colonnello Weird, dove, per accrescere lo straniamento causato dalla sovrapposizione tra realtà e fantasia, i disegni vengono affidati a Rich Tommaso, un autore dallo stile a metà tra l’underground e la linea chiara franco-belga, molto diverso da quello di Dean Ormston, l’artista titolare della serie. In questa lunga sequenza, Lemire si esibisce in un divertente delirio metafumettistico, con ulteriori omaggi ai diversi periodi che compongono la storia dei comics, utilizzati anche per anticipare quello che vedremo nelle storie future. Assistiamo persino alla parziale entrata in scena dell’autore stesso e, soprattutto, facciamo la conoscenza dei diversi scenari e dei tanti personaggi che avrebbero potuto far parte del complesso affresco di questo nuovo universo narrativo e che, invece, sono stati - per il momento - accantonati. Tra questi, meritano sicuramente una citazione i bizzarri superanimali, protagonisti di uno dei momenti più camp dell’intera storia, assolutamente improponibili al giorno d’oggi, ma molto popolari negli anni Cinquanta e Sessanta, quando rappresentavano la risposta del fumetto a star televisive come Rin Tin Tin o Furia.

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Per quanto queste lunghe digressioni possano apparire gustose e non prive di interesse, è innegabile che il pezzo forte dei due volumi sia costituito dagli eventi direttamente legati alla trama principale. Questa viene magistralmente portata a conclusione, attraverso una narrazione trascinante, dove l’avventura prettamente supereroistica si intreccia con le vicende dei vari personaggi, ognuna delle quali viene utilizzata da Lemire per far emergere altri temi: la persecuzione da parte dei suoi simili, di cui è oggetto Barbalien, per esempio, è una chiara condanna di ogni forma di discriminazione, tuttavia il messaggio che ne deriva è molto più diretto di quanto fatto per tanti anni dalla Marvel con gli X-Men. I sogni repressi e le frustrazioni di Lucy, invece, sono una sorta di rappresentazione di come i supereroi possano essere un modo per evadere dal grigiore della quotidianità, oppure, attraverso il personaggio di Golden Gail, per oltrepassare i limiti della vecchiaia (se non nel fisico, almeno nello spirito). Assolutamente da non dimenticare, infine, il parallelismo tra il desiderio umano di alcuni di preferire una vita di finzione, ma felice, a una desolante esistenza nel mondo reale, e il sacrificio di altri, pronti a fare il proprio dovere fino alle estreme conseguenze: due motivazioni opposte che permettono, però, di raggiungere uno scopo comune. In altre parole, la chiara manifestazione dell’essenza stessa del pensiero di Lemire a proposito degli eroi in calzamaglia.

Qualche commento sui disegni dei due volumi, prima delle battute finali: fino a questo momento, abbiamo accennato alla parte grafica, solo per descrivere brevemente i due capitoli realizzati da Tommaso ma, in realtà occorre spendere qualche parola in più per il lavoro di Ormston il cui stile, che all’inizio aveva destato qualche perplessità negli appassionati, si è progressivamente imposto come uno degli elementi portanti dell’opera. È sicuramente vero che la tendenza al grottesco dei suoi disegni, affinata durante la permanenza dell’autore inglese su vari titoli Vertigo, si apprezza maggiormente nei passaggi vagamente horror o nella rappresentazione di personaggi soprannaturali come Madame Dragonfly, ma l’apparente semplicità del tratto e un’indubbia capacità di saper raccontare per immagini, si sposano molto bene con quel misto di celebrazione e disincanto voluto da Lemire.

Sebbene, in pochissimi anni, l’universo di Black Hammer sia già riuscito a guadagnarsi un posto d’onore tra i classici contemporanei, l’autore di Essex County e Gideon Falls sembra avere parecchie altre cose da dire. Di sicuro, noi confidiamo nella sua grande inventiva e nella passione dimostrata per i personaggi, con la certezza che, negli anni a venire, sarà capace di farci emozionare molte altre volte ancora.

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