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Thunderbolts*, recensione: segnali di ripresa del Marvel Cinematic Universe

Il motivo principale per il quale Thunderbolts* (con l’asterisco, il motivo sarà chiaro alla fine del film) non aveva nulla da perdere e anzi, rivelarsi una sorpresa imprevista, è che praticamente nessuno aspettava con impazienza la pellicola diretta da Jake Schreier. Perché il “post-Endgame” dei Marvel Studios si è rivelato inaspettatamente complicato, segnato da troppi insuccessi che hanno disperso la credibilità che gli Studios si erano guadagnati nei loro primi 11 anni di vita e che hanno compromesso la programmazione della tormentata “Multiverse Saga”, capitolo attualmente in corso della continuity cinematografica di Avengers e soci. Come se non bastasse, al momento tutte le attenzioni e le aspettative degli appassionati sono rivolte a due pellicole con protagonisti personaggi blasonati come Superman e i Fantastici Quattro, che la prossima estate verranno chiamati al capezzale di un genere in profonda difficoltà come quello dei cinecomic per cercare di salvarlo da una crisi che sembra irreversibile. In tutto questo, l’arrivo nelle sale dei Thunderbolts è passato in sordina, avvolto nel disinteresse più o meno generale che ha riguardato la maggior parte delle pellicole recenti targate Marvel Studios. Nel momento in cui scriviamo non sappiamo se il film riceverà una buona accoglienza o meno al botteghino, ma le recensioni che stanno arrivando da oltreoceano sono positive e, dopo averlo visto in anteprima, possiamo confermare le buone impressioni sulla pellicola.

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Ma prima di parlare del film, rispondiamo ad una domanda inevitabile per il pubblico generalista che non è cresciuto a pane e fumetti: chi sono i Thunderbolts?
Dopo una breve apparizione su The Incredible Hulk, i Thunderbolts originali esordiscono nell’estate del 1997 per mano di Kurt Busiek e Mark Bagley ma in realtà, come i lettori scoprono con lo scioccante e geniale finale che chiude il primo albo, si tratta di personaggi già noti dietro mentite spoglie: i Signori del Male, storici avversari degli Avengers guidati dal Barone Zemo, mascherati da eroi. “Lupi travestiti da agnelli” per ingannare l’opinione pubblica e convincerla di essere degni di sostituire Vendicatori e Fantastici Quattro, allora creduti morti nello scontro con il temibile villain Onslaught. Il gruppo ha conosciuto nel tempo varie incarnazioni, che di volta in volta hanno recuperato alcuni membri della formazione originale oppure hanno completamente tagliato i ponti con essa. La seconda incarnazione più conosciuta dei T-Bolts è quella guidata da Norman Osborn nelle storie firmate da Warren Ellis e Mike Deodato Jr. che poi si tramuteranno, con l’aggiunta di altri personaggi come Sentry (tenete a mente questo nome) nei Dark Avengers del periodo “Dark Reign”.
Come potete ben capire era piuttosto improbabile riuscire a condensare decenni di trame a fumetti in un’ unica pellicola e i Marvel Studios hanno deciso, mantenendo lo spirito delle storie di provenienza, di seguire una strada più compatibile con la continuity MCU (che, lo ricordiamo, non segue alla lettera le vicende del Marvel Universe a fumetti). I Thunderbolts cinematografici sono un “mucchio selvaggio” di criminali in cerca di redenzione, antieroi in cerca di riscatto e ex eroi falliti con un luminoso futuro ormai alle spalle.

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Il film è il punto in cui convergono le trame del cinematografico Black Widow e del televisivo The Falcon & The Winter Soldier, con il recupero di molti personaggi di entrambe le produzioni. Ritroviamo la bravissima Florence Pugh nei panni di Yelena Belova, la “Vedova” che dopo aver perso la sorella Natasha Romanoff è diventata agente sul campo per conto della luciferina Valentina Allegra De Fontaine (interpretata da una Julia Louis-Dreyfus in grande spolvero). De Fontaine assegna a Yelena missioni sporche, allo scopo di fare piazza pulita del suo passato non proprio integerrimo. Il segreto più controverso custodito da Valentina è il progetto Sentry, una sperimentazione abbandonata (o no?) volta a creare un nuovo e onnipotente superumano che possa colmare il vuoto lasciato dagli Avengers: non vogliamo fare spoiler, ma Yelena sarà costretta a riconsiderare la sua posizione e le sue alleanze quando troverà sulla sua strada vecchie conoscenze come John Walker, U.S. Agent (Wyatt Russell), la criminale Ghost (Hannah John-Kamen, suo “padre” Red Guardian (David Harbour) e Bucky Barnes (Sebastian Stan), l’ex Soldato d’Inverno oggi deputato non molto convinto del suo ruolo, ma assolutamente deciso a fermare la De Fontaine e i suoi progetti. E poi c’è Bob, che delle sperimentazioni volute da Valentina è la più pericolosa.
Bob/Sentry, la cui apparizione in costume (perfetto) non è stata anticipata dal materiale promozionale, è forse il personaggio dalle radici fumettistiche più prestigiose in una sporca “mezza dozzina” di personaggi dei quali in partenza al pubblico probabilmente non importava nulla.

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A sorpresa sono proprio le basse aspettative la chiave per la riuscita del film. Perché questa ammucchiata di personaggi di seconda o terza fascia funziona eccome, e da una accozzaglia iniziale nasce un gruppo credibile. Florence Pugh è attrice di livello e nei panni di Yelena regala una interpretazione intensa, così come Wyatt Russell, con la sua sbruffonaggine ereditata dai geni di papà Kurt, è un U.S. Agent perfetto. John Walker può essere detestabile, ma incarna l’umanissimo limite di non poter corrispondere alla grandezza delle proprie aspirazioni: che nel caso di John si traduce nell’impossibilità di essere come Steve Rogers. Sebastian Stan conferma tutto il suo carisma nei suoi panni ormai più che decennali di Bucky Barnes, e si ritaglia la parte di protagonista per la scena più tamarra del film, in cui in sella ad una moto e fucile a canne mozze in mano vince la sfida con una serie di furgoni blindati. Rimandando ovviamente alla famosa scena di Terminator 2, ma anche ad un modello fumettistico tipicamente anni ’90 che ha anticipato proprio il Winter Soldier a fumetti: Jack Monroe ovvero Nomad, un altro sidekick sfortunato di Captain America. Sorprende il ritorno di Hannah John-Kamen nei panni di Ghost, che era stata la villain dell’ormai lontano Ant-Man 2, ma è un ritorno che si fa apprezzare. Un po’ meno quello del Red Guardian di Harbour, a cui spetta il ruolo di mattatore spara battute a cui i film MCU non sanno rinunciare. Molto buona l’interpretazione di Lewis Pullman nella parte di Bob Reynolds/Sentry, fedele all’originale, anche per quanto riguarda l’inevitabile arrivo di Void: i fan dei fumetti potranno essere contenti.
Enter the Void (ci sia consentita la citazione cinematografica): il vuoto che diventa condivisione di gruppo dei traumi individuali e che forgerà il rapporto tra lupi solitari trasformandoli in un gruppo.

Film in cui l’azione si sposa bene con l’introspezione psicologica, diretto con sicurezza da Jake Schreirer (regista dal curriculum finora scarno ma per fortuna più dotato di alcuni carneadi scelti per le produzioni MCU degli ultimi anni), Thunderbolts* è come una di quelle giornate libere per le quali non hai fatto programmi: magari esce fuori una sorpresa, e finisce pure che ti diverti.

P.S. Non pensiamo ci sia bisogno di dirvelo dopo 17 anni di film targati Marvel Cinematic Universe, ma il suggerimento è quello di restare in sala per le due scene post - credits: la seconda è di importanza storica per questo universo cinematografico e vi farà fare un balzo sulla sedia.

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