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Dark Shadows: recensione

darkshadowsUn distinto vampiro settecentesco si risveglia nel 1972 dopo essere stato rinchiuso in un bara per oltre due secoli. Il primo pensiero, dopo essersi tolto la secolare sete di sangue, è quello di ritrovare la propria casa e la propria famiglia. Di certo, però, non si aspetta di incappare anche nella sua vecchia nemesi, la strega pazzamente innamorata di lui che l’ha trasformato in una creatura delle tenebre e che dopo tanti anni non ha smesso di desiderarlo.
Così parte la storia di Dark Shadows, la pellicola che segna il ritorno alla regia di Tim Burton, ancora una volta con Johnny Depp come protagonista. Smessi i panni dell’ormai stantio Jack Sparrow, l’attore diventa Barnabas Collins, dal colorito pallido e le dita affusolate (ma niente a che vedere con il buon vecchio Edward Mani di Forbice), un po’ attempato ma ancora un vero latin lover.

Il film è tratto da una serie di enorme successo della fine degli anni Sessanta, amata sia da Burton che da Depp, tanto che quando gli autori degli episodi originali hanno proposto a Depp di interpretare il vampiro protagonista, l’attore ha deciso di produrre il film e di chiamare Burton alla regia.
Punto forte della pellicola è di sicuro l’atmosfera gotica miscelata con le stramberie degli anni '70, momento definito dai filmmaker come "forse il periodo peggiore, dal punto di vista estetico, dell’esistenza dell’uomo". I colori desaturati dell’antica residenza della famiglia Collins contrastano alla perfezione con le eccentriche lampade dal liquido rossastro o con la capigliatura scarlatta della bravissima e immancabile Helena Bonham Carter, qui nel ruolo della Dottoressa Hoffman, che dal vampiro vuole cogliere il segreto dell’immortalità.

Seppure gradevole in linea generale, però, il film non riesce a trovare una sua forza narrativa, forse a causa di una mancanza di ritmo che lo fa sembrare al tempo stesso troppo lungo (perché alla storia d’amore e odio tra il vampiro e la strega è dedicato fin troppo spazio, con scene ripetitive) e troppo corto (perché alle storie dei singoli personaggi è dedicato spesso poco spazio, accennando soltanto a situazioni che meritavano maggiore respiro). Così lo spettatore non riesce ad appassionarsi alle vicende dei vari membri della famiglia e si arriva anche a dimenticarsi dell’esistenza di questo o quel personaggio.
A complicare questo punto interviene anche la mancanza di interpretazioni di valore, con recitazioni ‘di livello standard’ e niente più: non sorprendono, ad esempio, né Michelle Pfeiffer (Elizabeth Collins Stoddard), né Chloë Grace Moretz (Carolyn Stoddard), mentre di poco più interessante è Eva Green nel ruolo della strega Angelique Bouchard; Depp stesso non riesce a creare una figura iconica.
Infine, a peggiorare la situazione intervengono anche dei buchi nella trama che scorre ben poco fluida e parte malissimo con un lungo "spiegone" iniziale. Neanche la colonna sonora di Danny Elfman riesce a essere memorabile, facendo da banale intermezzo ai pezzi anni '70, con Alice Cooper in testa, che regalano delle parentesi molto gradite.

Anche se la pellicola è nettamente superiore alla triste parentesi di Alice in Wonderland, Burton non è di certo tornato ai suoi tempi d’oro. Anzi, sembra anche qui costretto a limitare la sua fantasia e il suo genio per restare in acque sicure, senza spingersi verso orizzonti più arditi. Difficile dire se si tratti di una imposizione dei produttori o del desiderio di fare un film più "accessibile", ma il risultato è un ibrido poco riuscito.
Il tutto, dunque, si risolve in un’occasione sprecata per un film che aveva fatto sorgere tantissime aspettative sia nei fan della serie, sia nei forse più numerosi appassionati dei film di Burton. Non ci resta ora che attendere che arrivi nelle sale Frankenweenie, ultima fatica del regista che riprende la trama di un vecchio cartone animato che non fu approvato dalla Disney. Speriamo che il sapore della rivincita riesca far tornare il regista ai livelli di un tempo.

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