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Alessandro Di Nocera

Alessandro Di Nocera

Speciale 300: analisi fumetto

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480 avanti Cristo, la battaglia delle Termopili nella penisola ellenica, trecento spartani – capitanati dal loro sovrano, Leonida – contro una moltitudine sterminata di guerrieri persiani.

Studiato excursus storico del cartoonist Frank Miller? Rigorosa interpretazione di un topos leggendario della guerra tra poleis greche e imperi mediorientali? Sì, mah, forse, fino a un certo punto.

Perché Miller parte, è vero, dalle fonti storiografiche antiche – i libri di Erodoto, in primis – ma finisce poi per sovrapporre a esse il suo immaginario da yankee spaccone e purosangue: l’assedio di Alamo, l’imprescindibile pellicola “Il Mucchio Selvaggio” di Sam Peckinpah, il supereroismo alla Jack Kirby e l’etica del self-made man di Destra.
Fumetto in widescreen, concepito per sollecitare i sensi dei lettori investendoli con un flusso energetico cinematografico, 300 sembra fatto apposta per generare reazioni violente e contrastanti.
Il soggetto della storia, dal punto di vista narrativo e fumettistico, non è inedito: la battaglia delle Termopili era stata già al centro di un asciutto, indimenticabile episodio del Mort Cinder di Hector G. Oesterheld e Alberto Breccia, un capolavoro assoluto di dolorosa pietas e vigoroso crepuscolarismo. Ma Miller – a differenza della coppia d’assi sudamericana – allunga il brodo; spettacolarizza il tutto con inquadrature a effetto, scene di massa, tensioni muscolari e visioni truculente; vi inietta robuste dosi di enfasi retorica e, come suo solito, si lancia nella definizione di figure e contesti culturali che sembrano tranciati con una sega a motore.
300, infatti, pullula di inesattezze, azzardi ingiustificati, conclusioni illogiche, e Miller potrebbe essere preso a ceffoni da un qualsiasi professore di scuole medie.

Ma procediamo per ordine: Sparta era una città-stato sui generis, il suo sistema sociale era fondato sulle caste chiuse, la sua legislazione – fatta discendere dall’intelletto di un unico fondatore, Licurgo – era immodificabile. Gli unici cittadini liberi – gli spartiati – erano dei protonazisti che praticavano una primordiale forma di eugenetica: i bambini nati con qualche deformazione venivano scagliati giù da una rupe ed eliminati. La vita quotidiana ruotava intorno alla formazione e al mantenimento di un esercito la cui importanza era prevaricante rispetto ai nuclei familiari e ad attività di tipo differente.
Raramente, però, gli uomini di Sparta si impegnavano nella conquista di nuovi territori: prioritario, per loro, era il controllo sulla Messenia – dove abitavano i cosiddetti iloti, schiavi a tutti gli effetti – e della Laconia – dove i semiliberi perieci si occupavano di commercio e artigianato – per il mantenimento del potere. Tra le azioni che i giovani spartiati dovevano compiere per dimostrare il proprio valore, c’era la cosiddetta kryptéia, un’operazione di infiltrazione tesa ad aggredire e uccidere gli iloti sospettati di volersi ribellare alla dominazione spartana.

In linea di massima, gli spartani se ne fregavano di quello che succedeva al di fuori dei confini da loro tiranneggiati. Non per niente, quando gli eserciti del persiano Serse incominciarono a minacciare direttamente le città greche, il tanto decantato popolo guerriero si limitò a suggerire di bloccare l’istmo di Corinto con una serie di fortificazioni difensive sul tipo della muraglia cinese. E al diavolo se l’Attica fosse finita nelle mani dei mediorientali e se la flotta della lega panellenica si fosse trovata, per questo motivo, fuori gioco.
È in questo preciso momento e con la mentalità sopra descritta che si colloca il sacrificio di Leonida e dei suoi uomini, macchine formattate per uccidere, amanti del bel gesto indice di nobiltà e grandezza (l’aristeia) e obbedienti a un sistema governativo imbalsamato.
La loro azione ritardò di soli tre giorni l’avanzata delle truppe di Serse, rivelandosi insignificante sia dal punto di vista tattico che da quello strategico. Fu grazie alla forza di volontà e organizzativa degli ateniesi – così come commenta lo stesso Erodoto – e alla flotta voluta dall’arconte Temistocle che i persiani subirono la grande sconfitta navale di Salamina. E fu un altro comandante spartano, Pausania, a batterli definitivamente presso Platea.

Miller, invece, esalta la sfortunata impresa di Leonida e non si limita soltanto ad ammantarla di un’aura profetica – gli spartani come difensori di una terra fatta “di ragione e giustizia” – ma la innalza anche a simbolo dei presunti valori della classicità e della filosofia ellenica. Risultando contraddittorio nel migliore dei casi – fa affermare a Leonida: “La democrazia lasciamola agli ateniesi” –, semplificatore quando va bene – nel momento in cui attribuisce la volontà di neutralità di Sparta alla corruzione del consiglio degli efori –, e grossolano quando gli va male – lasciando esprimere ai greci dell’antichità valori e coordinate mentali che non appartenevano loro: “Oggi salviamo il mondo dai vecchi, tristi e stupidi metodi e apriamo le porte a un futuro più luminoso di quanto possiamo sperare…”. Con buona pace di Alessandro il Macedone che, qualche secolo più tardi, fu conquistato dalle usanze orientali e dall’idea di un grande impero universale (già sogno di Dario I) che rivedeva completamente il concetto di “barbaro persiano”.

Nonostante tutto, 300 non è una brutta graphic novel: possiede il sapore di uno spaghetti-western rivisitato in salsa peplum e si fonda su un andamento ritmico che ipnotizza al di là dei contenuti.
Meglio considerarlo alla stregua di un fantasy, però, visto che all’uscita della versione cinematografica diretta dal regista Zack Snyder, gli iraniani – già coi nervi a fior di pelle per questioni ben più note e importanti – hanno subito manifestato un certo disappunto, dando alla storia di Miller un’interpretazione metaforica che, a voler fare i provocatori, non è nemmeno molto distante dalle intenzioni dell’autore statunitense. Tireremmo tutti quanti un profondo sospiro di sollievo e potremmo divertirci senza tante riflessioni parruccone, in barba ai dettami del “politically correct”.

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