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Panini Comics: sospese momentaneamente le serie Valiant

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I primi dubbi erano sorti quando il quinto numero di Valiant Presenta e il numero 2 di Valiant Deluxe Presenta, regolarmente annunciati, non erano usciti. Da allora alcuni lettori hanno cominciato a chiedere con insistenza, sulla pagina Facebook Panini Comics, quale sarebbe stato il destino delle pubblicazioni italiane di questa casa editrice.

La risposta è infine arrivata, rispondendo a un lettore che poneva di nuovo questo interrogativo. Tramite il suo profilo, Panini ha dichiarato: "Come vi avevamo comunicato tempo addietro, le serie Valiant, proposte in volumi formato 100% non stavano dimostrando tutto il loro potenziale, per cui abbiamo deciso di provare un formato più agile, quello del mensile da 80 pagine antologico da edicola, con un prezzo più basso rispetto ai volumi e una diffusione maggiore. La risposta da parte del pubblico, sfortunatamente, è stata inferiore alle aspettative, per cui abbiamo deciso di mettere momentaneamente in stand-by l’universo Valiant. Tuttavia stiamo valutando nuove formule di pubblicazione di questo universo a fumetti. Quando avremo nuove notizie, le comunicheremo attraverso i soliti canali".

Quindi, per il momento, la corsa di X-O Manowar, Quantum & Woody, Harbinger e altri termina qui.

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Somnia - Il gioco del Serpente (1 di 4)

漫画 (manga) è un termine giapponese che indica il fumetto in generale, senza specifiche di nazionalità, tematica o origine. È un sostantivo che non definisce un genere, sebbene spesso nel linguaggio comune improprio estero venga utilizzato per definire ed etichettare la produzione nipponica della nona arte. Questo è dovuto prevalentemente al fatto che le caratteristiche legate a questi lavori sono così peculiari da distinguerli notevolmente dalla fumettistica europea o americana, dettando in questo modo un vero e proprio codice artistico e stilistico. Purtroppo però esistono ancora molti sedicenti puristi dalle vedute ristrette che non accettano la possibilità di realizzare opere di questo tipo al di fuori del Sol Levante e non considerano meritevoli lavori che, a detta loro, sono emulazioni di scarso valore e senza una reale identità. Non sono solo i lettori a snobbare queste produzioni non autoctone, ma sovente capita anche che la critica non se ne curi minimamente.
Ebbene Somnia, il fumetto realizzato da Liza E. Anzen e Federica Di Meo, è la conferma del grosso errore compiuto da queste persone. Si tratta infatti di un manga, se vogliamo utilizzare questa definizione tecnicamente scorretta ma diffusamente adottata, a tutti gli effetti. Lo stile è quello che siamo abituati a vedere in uno shōjo mentre le tematiche lo avvicinano quasi di più ad uno shōnen. È una sorta di ibrido narrativo che attinge da elementi canonici e archetipici della letteratura a fumetti giapponese e li assembla organicamente con altri spunti originali o derivati creando un ensemble armonico.

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Al concetto di Somnia siamo già stati introdotti: artefatti magico-meccanici in grado di esaudire i desideri del possessore, alterandone il destino in modo da indirizzarne l’esistenza verso l’ottenimento del proprio obiettivo. Esistono però desideri puri, meritevoli di essere espressi, e desideri malvagi, egoistici, “sporchi”, e di conseguenza due tipi di Somnia e due tipi di creatori di artefatti, necessariamente antagonisti. Facciamo quindi conoscenza della più pura dei creatori di Somnia Anais Sterne e del più sporco dei creatori neri Blake Roth, due nemesi che dovranno unirsi per portare a termine una missione senza precedenti: recuperare un desiderio che non avrebbe mai dovuto essere espresso e che non può essere esaudito da nessuno dei due tipi di Somnia data la sua natura chimerica che mette in crisi l’intera essenza della magia. Ma i due protagonisti non sanno che stanno per diventare pedine di un pericoloso gioco dall’esito già stabilito: il Gioco del Serpente.

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La storia è interessante, ben scritta e sufficientemente coinvolgente da voler continuare a leggere il seguito, soprattutto per via del cliffhanger finale, punto culminante di un climax ben riuscito e adeguatamente teso. La narrazione è ben orchestrata e le tematiche dominanti dell’opera relative a tutto ciò che concerne i desideri e la liceità o meno del loro esaudimento, e se si vuole della loro stessa genesi, è ben approfondito e coerentemente portato avanti dalla scrittrice, Liza E. Anzen, anagramma/pseudonimo di Elena Zanzi, che realizza anche dei buoni dialoghi, fluenti, ed è in grado di sviluppare sapientemente il racconto, dosando bene la suspense, il fanservice, il divertimento e l’azione. Questo già si era visto con la prima serie del franchise, Artefici di Sogni e lo rivediamo piacevolmente anche con questo primo volume della nuova run Il Gioco del Serpente.

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Passando al lato tecnico e grafico, possiamo osservare complessivamente un buona prova di Federica Di Meo, alle prese con il tratto puramente shōjo che ha caratterizzato la serie sin da Artefici dei Sogni, che propone i canonici tratti, tipi e simboli della tradizione nipponica classica del genere, lontano quindi da lavori come quelli di Moyoko Anno o Kyoko Okazaki; dal classico modello bishounen, quindi, che fa da base al character design del cast maschile dell’opera, al corrispondente bishōjo per la controparte femminile.
Accantonata però la deriva meramente romantica della faccenda, aspetto non particolarmente dominante nell’opera, il tratto e lo sviluppo grafico dei personaggi, oltre che la composizione della tavola e la disposizione molto dinamica degli elementi al suo interno, vertono molto verso lo shōnen, in accordanza con la trama, generalizzando così il più possibile il target di pubblico attratto da questa produzione. Il disegno risulta pulito, generalmente nitido anche se capita che si faccia particolarmente brusco, sporco e cinetico nella realizzazione di particolari scene dinamiche.

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Tutto sommato quindi è più che un buon inizio per questo nuovo corso di Somnia che auguriamo alle due autrici essere ancora più prospero del precedente e che riesca a fare da apripista al manga made in Italy a livello ben maggiore di quello di semplice, si fa per dire, autoproduzione e che dia nuova linfa al fumetto italiano d'ispirazione orientale, spalancando le porte alle contaminazioni culturali.

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Star Wars 1

Tutti conoscono Star Wars, saga cinematografica creata da George Lucas nel 1977, e il forte impatto sulla cultura popolare che i sei film fin qui proiettati hanno avuto. Il mondo dei comics, sempre attento ad interpretare e sfruttare i gusti dei propri lettori, ha fornito la propria versione delle avventure di Luke Skywalker, Han Solo e la Principessa Leia, grazie all'iniziale lavoro della Marvel Comics. Dopo l'acquisizione della Lucasfilm da parte della Walt Disney Company, i diritti di sfruttamento ritornano nelle mani della Casa delle Idee, la quale ha deciso di puntare forte su questo brand, vista anche l'uscita a fine anno del settimo capitolo di Star Wars VII, il risveglio della forza.

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Lo scorso gennaio Star Wars #1 ha fatto il suo esordio per il mercato USA, ed è stato subito un successo (grazie anche alle infinite variant realizzate). L'albo più venduto negli ultimi 20 anni, con oltre un milione di copie, a certificare l'importanza e l'enorme cassa di risonanza che la creazione di Lucas crea. A rendere inoltre l'operazione ancora più credibile, la Marvel non solo ha affidato la serie ad alcuni dei suoi autori migliori, Jason Aaron ai testi e John Cassaday alle matite, ma ha anche deciso di inserire questi racconti all'interno del Canone di Star Wars, ovvero la sceneggiatura di Aaron entrerà a far parte ufficialmente dell'universo narrativo della saga cinematografica. Queste le doverose premesse all'albo che la Panini Comics porta in Italia a soli 3 mesi dall'uscita nelle fumetterie americane.

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Le forze imperiali hanno da poco subito la perdita più importante, la distruzione dell'arma più imponente, la Morte Nera, e l'Alleanza Ribelle è pronta a sfruttare questo vantaggio psicologico, ma anche strategico, per sconfiggere definitivamente l'Impero Galattico. Il presente narrativo in cui viene ambientata questa nuova serie è quello immediatamente successivo alla fine di Star Wars IV: una nuova speranza, e Aaron ci conduce sul pianeta Cymoon 1, dove ha sede la più grande fabbrica di armi della galassia che rifornisce le armate al saldo di Darth Vader. Una navicella proveniente dal pianeta Tatooine trasporta un gruppo di intermediari pronti alla negoziazione con il Supervisore Aggadeen, ignaro, quest'ultimo, di trovarsi di fronte a una cellula di ribelli pronta a sabotare la produzione capitanata da Han Solo, accompagnato dal giovane Luke Skywalker, dalla Principessa Leila, e Chewie, oltre ai droidi R2-D2 e C-3PO.

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Non sarà stato facile per Aaron sedersi al tavolo ed iniziare a buttare giù questa serie, ma l'autore non si è lasciato schiacciare dalla pressione anzi, è stato abile nel tessere una trama semplice e lineare, ma che allo stesso tempo non tradisca né snaturi lo spirito e la caratterizzazione già offerta da Lucas e ormai cristallizzata nell'immaginario dei seguaci della Forza. Nello stile classico della prima trilogia, momenti di grande suspense, in cui l'irriverenza di Han conquista il lettore, si alternano all'epicità e all'umanità del personaggio di Luke, ormai deciso ad affiancare Leia in questa guerra contro il male. A R2-D2 e C-3PO viene affidato il ruolo di spalla comica della compagnia, capaci di alleggerire il thrilling che l'autore riesce abilmente a creare. Durante tutte le pagine di questa prima storia si respira lo spirito che ha definito il mito di Star Wars, e Aaron è bravo nel raccogliere questa pesante eredità e portarla avanti senza indugi, con uno storytelling sicuro e privo di cali di tensione.

Lo stile realistico di Cassaday si adatta alla perfezione a questo tipo di storia. Il design dei singoli personaggi è fedele a quello dei film, mai eccessivo o fuori dagli schemi. Il taglio cinematografico nella costruzione della tavola, unito alla dinamicità impressa agli scontri, rende scorrevole e godibile la lettura. Cassaday è perfetto nel variare le inquadrature, spostando di continuo il piano d'immagine, e offrendo al lettore diversi punti di vista, siano essi primi piani o immagini a tutto campo.

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Merito va dato anche alla Panini Comics che ha preparato delle interessanti iniziative che impreziosiscono l'albo. Per il circuito delle fumetterie, infatti, sono state realizzate diverse variant cover in esclusiva per la casa editrice di Modena da artisti di fama internazionale. Nella fattispecie troviamo quella di Lee Bermejo, raffigurante un Luke in tuta da volo, Greg Tocchini con uno scatenato Yoda contro alcuni droidi, e quella di Renato Guedes che ritrae la bella principessa Leia (disponibile questa solo all'interno del cofanetto Il lato chiaro della Forza). In chiusura, poi, l'albo presenta alcune pagine della prossima uscita, che ospiterà, oltre a Star Wars #2, anche il primo numero della mini Princess Leia.

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America’s Got Powers 1-2

Gli anni 2000 saranno probabilmente ricordati, oltre che per l’avvento di una crisi economica che non accenna ancora oggi ad esaurirsi, anche come l’epoca dei reality show, fenomeno televisivo esploso alla fine degli anni '90 con la prima edizione del Grande Fratello olandese, dal cui format sono stati poi declinati i successivi cugini europei tra cui quello italiano. Parente prossimo del reality è il talent show, nato nel Regno Unito con la serie Got Talent e basato sulla rivalità tra aspiranti artisti, che spesso sfocia in contrasti violenti tra i concorrenti per assicurarsi il maggior numero di ascolti possibile. Il concetto di una società in cui la competizione tra individui scade in uno spettacolo becero e spesso violento, una sorta di darwinismo aggiornato all’epoca dei media, è stato spesso preso a prestito da cinema e letteratura (si pensi alla serie Hunger Games) e addirittura anticipato nel celebre romanzo di Stephen King The Running Man, da cui venne tratto negli anni '80 un bel film con Arnold Schwarzenegger.

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America’s Got Powers di Jonathan Ross e Bryan Hitch si inserisce nel solco tracciato da questi illustri predecessori, immaginando un talent show dove ragazzi dotati di super poteri devono sfidarsi affinché emerga il migliore tra loro. Ross e Hitch, inglesi, ambientano la vicenda negli Stati Uniti, in una immaginaria San Francisco teatro, 17 anni prima, di un singolare evento: un bagliore accecante dal cielo, preludio all’arrivo sulla Terra di una pietra capace di far partorire prematuramente ogni donna incinta nell’area interessata dall’evento e di dotare i nascituri di poteri straordinari. Anni dopo sarà proprio questa generazione di dotati a sfidarsi nell’arena di America’s Got Powers, show creato per sfruttare a fini di intrattenimento le capacità di questi ragazzi: ma dietro le quinte altri interessi, come quelli dell’industria bellica, sono in agguato.

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America’s Got Powers, come il talent da cui prende il nome, è un buon prodotto di intrattenimento, ma non così tanto da lasciare il segno. La sceneggiatura di Jonathan Ross, anchorman della tv britannica che non ha mai fatto mistero della sua passione per i comic book, imbastisce una trama che sarebbe ottima per un blockbuster hollywoodiano, ma che non si segnala per particolare originalità (l’evento che conferisce i poteri fa pensare sia a Rising Stars di J. Micheal Straczynski che al “white event” alla base del New Universe marvelliano degli anni '80). Il topos dell’outsider che scopre di essere il prescelto, poi, è un classico della letteratura e del cinema di genere, da Star Wars a Matrix. L’intento di confezionare una critica della degenerazione dell’intrattenimento televisivo dei nostri tempi, sarebbe anche lodevole, ma non è supportata dalla mancanza di spessore della sceneggiatura: ci sarebbero voluti, tanto per intenderci, i testi caustici e iconoclasti di Mark Millar, che aveva fatto faville con Bryan Hitch sull’ormai classico The Ultimates della Marvel. Nella seconda uscita, che contiene i numeri 2 e 3 della miniserie originali, il mistero della pietra aliena si infittisce cosi come le trame dei militari, determinati a sfruttare i poteri dei ragazzi per fini bellici: ciò nonostante, i testi poco ispirati di Ross non riescono a far decollare America’s Got Powers oltre la dimensione di un pop corn movie estivo piacevole, ma già visto.

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La scarsa brillantezza della sceneggiatura è fortunatamente compensata dal reparto artistico, grazie alle matite di un Bryan Hitch tornato finalmente a buoni livelli, dopo la non felice prova del crossover Age of Ultron: libero da scadenze pressanti e assistito dai suoi due inchiostratori abituali, Andrew Currie (Ultimates) e Paul Neary (The Authority), Hitch torna a realizzare tavole spettacolari e dettagliate (l’arrivo di Tommy all’interno dello stadio, le battaglie nell’arena). Non siamo ai livelli delle matite di Authority e Ultimates, realizzate con spettacolare uso di tavole orizzontali a mimare lo schermo cinematografico (e per le quali è stato coniato il termine widescreen comics), ma il risultato è comunque più che apprezzabile. Panini Comics sceglie di serializzare l’opera in 4 albi prestige da 48 pagine, con una carta patinata che valorizza al meglio i colori del veterano Paul Mounts.
Prime due uscite tra luci ed ombre per la serie di Ross & Hitch, dalla quale era lecito aspettarsi qualcosa di più.

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