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Se sei vivo, spara!

RECENSIONE IN ANTEPRIMA

In un’America dall’aspetto ancora giovane, un uomo fa il suo ingresso in una desolata Providence con una bara tra le spalle. È un cowboy, un pistolero o forse qualcosa di più o di diverso. Con questi elementi Bruno Letizia introduce Lion Gardiner, cacciatore di vampiri protagonista del suo nuovo titolo, Se sei vivo, spara!
“Se sei vivo, spara!” non è solo il titolo di questa storia; sembra piuttosto l’unica regola da seguire per restare in vita nelle strade di un’America infestata dai vampiri. Come si può leggere in apertura, infatti, il motivo scatenante della vicenda è un patto rituale con Jumlin (lo spirito oscuro che è principio delle credenze sui "vampiri" proprie della cultura dei nativi americani) che muta in succhiasangue i sopravvissuti della tribù dei Pequot. Incarnandosi proprio nel capo di questa tribù, Jumlin guida la vendetta peqout verso l’”uomo bianco”.
Questo primo numero introduce il lettore al setting della vicenda, un Nordamerica di circa metà ottocento che, tuttavia, a giudicare dall'aspetto di Providence - poco più che una manciata di abitazioni addossate a una chiesa - dà l'impressione che qualcosa abbia impedito alla città di svilupparsi; è una sorta di scenario postapocalittico nel passato quello di Se sei vivo, Spara!, in un'America del Nord dallo sviluppo apparentemente paralizzato, al punto che l'esistenza stessa degli Stati Uniti d’America non è da dare per scontata.
L'autore offre al lettore il background necessario (il rituale, la conversione vampirica dei Pequot) e introduce il protagonista, il suo passato e parte di quelle che sembrano essere le sue motivazioni. Di Lion Gardiner tutto si può dire tranne che sia il canonico eroe da fumetto western; un antieroe, piuttosto, carico di risentimento e di vendetta che di certo non intende reprimere. È un uomo spezzato nel corpo e nello spirito, con più di un segreto che probabilmente ci verrà rivelato nel corso della narrazione.

Bruno Letizia abbandona i territori virtuali e futuristici di H.E.R.O.I.N. per approdare al western vampirico; certo, l'idea di base rimane la medesima: la ribellione di un uomo a una società che sente ostile e la strenua lotta per demolire un sistema che non riconosce.
Se l’accostamento tra l’America e i vampiri vi far pensare subito a una ben nota serie Vertigo, sappiate che state sbagliando, poiché il riferimento usato dall’autore non è il vampiro nella sua concezione europea, bensì quello della cultura dei nativi americani, che ne popola le leggende dispensando morte inzialmente al bestiame e, in un secondo momento, agli umani. Proprio Jumlin è, infatti, lo spirito a cui queste leggende fanno riferimento, così come ai suoi figli, che ne hanno portato avanti la maledizione dopo la sua sconfitta.
Bisogna, inoltre, considerare che il New England è stata una delle zone in cui la credenza e il timore del vampirismo si diffusero maggiormente anche tra i colonizzatori, specie a causa del gran numero di morti per tubercolosi (di cui anche la moglie di Lion potrebbe essere affetta), che le menti più superstiziose collegavano a visite notturne da parte di un parente a sua volta deceduto a causa del morbo.
L’autore costruisce un’impalcatura molto solida e vi introduce un elemento del tutto caotico, il protagonista, che viene presentato alla maniera del cinema western, annunciato dalla propria voce fuori campo, accanto a un morto impalato a un albero, prima ancora di entrare nel campo visivo del lettore; le sue azioni e la sua durezza definiscono Lion Gardiner, specialmente se messe in contrapposizione con il Lion Gardiner che, nel passato, costruiva bambole e si angosciava per la malattia della moglie. Non bisogna, quindi, stupirsi delle sue battute sopra le righe e dei suoi modi fin troppo truculenti, risultato di una dolorosa esperienza per ora solo accennata, di cui quotidianamente Lion porta sulle spalle il ricordo, sotto forma di bara (si direbbe un omaggio a Sergio Corbucci e al suo "Django", che però nella bara teneva l'artiglieria).

Le tre macrosequenze che dividono l’albo risultano facilmente distinguibili l’una dall’altra. Nella prima, che si concentra sui Pequot e il loro rituale oscuro, l’autore opta per figure a tutta pagina su cui innesta vignette – ben distinte dall’uso di un bordo spesso – che in certi casi raccontano, in altri descrivono e la cui forma e posizione sembrano voler richiamare ai totem.
La seconda parte ha una costruzione più funzionale al ritmo della storia, che procede senza particolare fretta, indugiando su particolari o concedendosi zoomate utili all’entrata in scena del protagonista; questo fino al momento dello scontro, in cui il tempo precipita e le vignette sembrano catturare rapidi flash di uno scontro che si direbbe ancor più rapido.
Nel bel mezzo della seconda parte, là dove lo scontro dovrebbe svilupparsi e concludersi, l’autore preferisce sospendere l’azione  e raccontarci del passato di Lion Gardiner. Lo fa mutando ancora una volta il proprio tratto, costruendo un flashback in cui scompaiono gli inchiostri e sono le matite e i grigi a mostrarci il più grande dolore di Lion. Letizia sceglie uno stile abbozzato e graffiato, quasi incompleto si direbbe, per costruire la materia nei ricordi; se gli oggetti e l’ambientazione sembrano quasi impalpabili, quindi, diversamente accade per i corpi e i volti su cui si stendono diversi toni di grigio che donano alle figure un loro peso, una loro precisa presenza nello spazio e una buona carica drammatica.
Una sequenza, questa centrale, davvero ben realizzata e non solo importante per l’economia della storia, della vicenda del protagonista e per l’ispessimento psicologico di un personaggio altrimenti fin troppo stereotipato, ma assolutamente piacevole da vedere e da leggere, specie nelle battute finali e nella sua chiusa, siimbolica e toccante, forse “facile” e “comoda” ma di certo di grande impatto.
Pur riscontrando alcun imprecisioni morfologiche, il tratto di Bruno Letizia è sicuro e consolidato, a cavallo – si direbbe – tra due tradizioni (quella del fumetto popolare italiano e quella dei comic book statunitensi). Come già riscontrato al tempo di H.E.R.O.I.N, il suo punto di forza rimane l’uso dei neri e il chiaroscuro

In conclusione non si può non fare menzione della cover realizzata per l’occasione da Fabio Listrani, un’illustrazione dal grande impatto visivo e dal sapore videoludico, che non può che arricchire il valore di questo albo.

Ventidue pagine non sono  sufficienti a valutare una storia. Possono esserlo per valutare l’idea, l’inizio del suo sviluppo e la posizione di un autore nel corso del proprio sviluppo stilistico. Da quello che si vede in questo primo numero di Se sei vivo, spara! ci troviamo davanti all’inizio ben scritto di una storia basata su un’idea non certo originale ma indubbiamente solida, realizzata da un giovane autore capace che con questo nuovo progetto compie sicuramente un passo avanti. La vera sfida sta ora nel vedere come proseguirà il cammino di Lion e del suo autore.

Dati del volume

  • Editore: Villain Comics
  • Autori: Testi e disegni di Bruno Letizia
  • Formato: spillato, 24 pagine in bianco e nero
  • Prezzo: € 2,50
  • Voto della redazione: 8
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