Cleo
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A una prima occhiata Cleo può sembrare semplicemente una storia d’amore adolescenziale condita da elementi fantastici.
Non è così, c’è di più. Magari non lo si capisce subito ma c’è di più. A partire da come si intrecciano alcuni personaggi, da come la storia si chiude a cerchio, a sembrare una malinconica saga famigliare in cui il diverso viene emarginato.
L’emblema della diversità è incarnato dalla protagonista femminile, Cleo, una ragazza che la natura ha dotato di una bocca aggiuntiva sulla gola, dotata di una volontà propria, spesso molto più dura rispetto a quella della ragazza. Cleo conosce Andrea e tra i due inizia una relazione complicata da fattori esterni: il padre di Cleo, uomo indurito dal corso degli eventi, preoccupato che il ragazzo faccia soffrire la figlia; Vittoria, stilema della sgualdrina bionda arrivista e pronta a tutto per prendersi Andrea; e in qualche modo anche Espelh, ragazza che Andrea incontra più volte in sogno e con la quale ha una sorta di relazione.
Le storie di Cleo oscillano tra presente, passato, aspettative e onirismo, a costruire un intreccio preciso, fatto di scelte non sempre azzeccate da parte dei personaggi, situazioni difficili e talvolta dolorose, momenti onirici rapportati a momenti reali e viceversa, gioia e dramma. Il tutto viene riportato sulla pagina da uno storytelling ben costruito: buone le soluzioni narrative, curato l’uso delle inquadrature, soprattutto in alcune situazioni in cui il tandem Sergi-Ruggeri riesce a far percepire il peso reale di un momento drammatico.
Cleo porta con sé la validità di Valentino Sergi come sceneggiatore, e l’evidenza di come il giovane autore riesca a coinvolgere e interessare il lettore. Soprattutto di come riesca a intrattenere – che è poi l’importante – con una storia il cui esito poteva essere come quello di tante altre e che invece sceglie di non esserlo, ed è un bene.
Diversa è la questione per il lavoro di Mirka Ruggeri, che da un lato presenta uno stile grafico personale e consapevole, apprezzabile anche nella scelta di una colorazione parziale che sembra voler suggerire una caratterizzazione emotiva delle sequenze narrative; dall’altro, tuttavia, si avverte una discontinuità nella qualità del disegno, con figure umane che talvolta risultano sproporzionate o legnose e volti dalla scarsa espressività. Bisogna anche dire (e per questo si è parlato di discontinuità) che questi difetti non sono la regola, e anzi laddove vengono meno Mirka Ruggeri riesce a canalizzare in una sola vignetta il senso profondo o l’atmosfera di una situazione, con una certa predisposizione per le sequenze drammatiche.
I due autori raccontano pezzi di reali possibili e quotidiani, al cui centro stanno le relazioni umane, vere o fittizie, auspicate o volute a tutti i costi, perdute o svanite, perfino illusorie, il loro costruirsi e sfaldarsi. In definitiva, però, la chiave di volta del racconto resta la sincerità. Cleo, i suoi genitori, Andrea, Vittoria, tutti i personaggi sembrano avere un problema con la verità – o la sua rimozione – e con le sue conseguenze. Si costruisce così un sistema di relazioni per cui chi è assolutamente sincero (Cleo, la cui seconda bocca è la proverbiale voce della verità) sarà sempre in una posizione di svantaggio il cui prezzo sarà la sofferenza.