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Leonardo Cantone

Leonardo Cantone

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Simple & Madama in love, recensione: l’amore romantico è morto?

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Lorenza Di Sepio ha abituato il lettore a leggere divertenti avventure legate all’amore, alla relazione di coppia e alla vita quotidiana di due persone che si amano ma non lo ha mai fatto con stucchevolezza zuccherosa, piuttosto con una comicità sottile improntata sulla verosimiglianza delle “scene” di vita di coppia. Per questa ragione è facile immedesimarsi con Simple & Madama.
Il duo Lorenza di Sepio e Marco Barretta si era già occupato del mondo divertente dei “capoccioni” disegnati con ironia con Procrastination. E dopo la riuscita parentesi fantasy di Daisy, eccoli ritornare con Simple & Madama in love.

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Ancora una volta il fulcro della narrazione è un qualcosa che chiunque abbia vissuto una relazione ha sperimentato sulla propria pelle. Una domanda, forse scomoda e a trabocchetto, ma che prima o poi verrà fatta: qual è la coppia più bella del mondo? Non c’è una riposta giusta e questo lo sperimenterà il povero Simple che, goffamente, ripesca nella letteratura e nel mito per dimostrare a un’incontentabile Madama quale sia la storia d’amore più bella vissuta da due amanti. Sotto il “microscopio” della coppia fumettistica passano Romeo & Giulietta, l’Iliade, i Promessi Sposi, Cime Tempestose, Star Wars e Game of Thrones.

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Il lavoro narrativo di Di Sepio e Barretta spazia con ironia tra letteratura, teatro, cinema e serialità televisiva, costruendo un divertente meltin-pot di riferimenti pluriculturali e transmediali. La lettura è, così, immediata per diverse fasce d’età e abbraccia i molteplici interessi che potrebbe avere un lettore. Dopotutto, ciò che gli autori realizzano è un grande omaggio alle icone culturali che chiunque ha incontrato nella vita. A scuola, tutti, abbiamo studiato i Promessi Sposi e, pur non conoscendo, magari, il mito di Orfeo e Euridice, sicuramente sappiamo dell’esistenza del Cavallo di Troia.
Non è, ovviamente, una mera sequela di citazione, quanto l’ironico capovolgimento del “mito” amoroso legato al racconto. Viviamo in un’epoca che ha mutato parte della sospensione dell’incredulità legata all’amore. L’ideale ottocentesco romantico non ci appartiene più, così come il concetto di amore assolutizzante. E, se da un parte può sembrare qualcosa di triste, di Sepio e Barretta lo attestano con ironia solo per capovolgerne il senso al termine del fumetto.

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Un gustoso racconto, dunque, citazionista e divertente, realizzato con un’ottima narrazione affidata a perfetti tratti caricaturali che esaltano il travestimento parodico dei capolavori letterari rielaborati in chiave Simple & Madama.

La guida del Tamarro, recensione: ironia e delicatezza per un domani peggiore

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Il fumetto è uno dei medium più potenti e maggiormente puntuali nel tratteggiare la contemporaneità, velandola con una superficie di grande potenza espressiva.
La Guida del Tamarro, edito da Lavieri Edizioni non è un fumetto nella sua accezione più classica e sequenziale, è più una raccolta di vignette realizzate da Massimiliano Frezzato. Ma non cambia la premessa.

In un mondo come quello attuale, flagellato da cambiamenti climatici, a peggiore le cose sono gli analfabeti funzionali, i subculturali, gli egoici paladini del menefreghismo e del “prima io, poi gli altri”.
Quello che è uno specchio fin troppo triste (per non dire drammatico) dell’attuale società, diventa il pretesto per trattare con gustosa ironia le criticità in cui tutti noi viviamo. Il focus principale del volume sono i 30 disegni corredati di “consiglio pratico” in cui l’arte di Frezzato è immediatamente riconoscibile. Attraverso il suo stile “favolistico”, da fiaba per bambini, l’autore utilizza il fil rouge del Tamarro, protagonista di tutte le vignette.

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Il Tamarro è l’individuo che incarna tutte le possibili sfaccettature dell’uomo individualista, emblema della superficialità, dell’arroganza e del sotterfugio ai danni degli altri. In 30 vignette, Frezzato condensa l’umanità più becera senza mai essere saccente, senza mai voler dare pseudo lezioni di vita. Al contrario, con la precisa scelte di parole che accompagnano le illustrazioni, l’autore fa parlare in prima persona il Tamarro che, così, dispensa i suoi consigli per una vita più felice. Dopotutto, preoccuparsi per il mondo che ci circonda, pensare alla maniera più costruttiva per affrontare le sfide dell’esistenza, sarebbe troppo faticoso. Meglio lasciare che il proprio opportunismo guidi le nostre azioni: minima fatica, massimo risultato.

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Come già accennato, il disegno di Frezzato non cambia rispetto allo stile favolistico di altre sue opere. Ma ne La guida del Tamarro, assume connotati parodistici. L’intero volume gioca sul cortocircuito: tra stile e contenuto della raffigurazione, tra frase di accompagnamento ed etica del lettore. Il gioco ironico, dunque, si poggia proprio su questo scarto tra il messaggio veicolato e il suo veicolo.

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Dopo la divertente lettura del volume, però non può che sopraggiungere una velata tristezza. Frezzato è così pungente nel comunicare la bruttura di una parte dell’umanità, che non si può terminare il volume senza una nota di amarezza. E, come in una inquietante legge del contrappasso, si è colti da egoica referenzialità, pensando di essere diversi dall’individualista personaggio del Tamarro, simbolo di una società malata a cui sentiamo di non appartenere, ma che nella quale siamo profondamente calati.

La Fortezza 1, recensione: l'inno d’amore al fantasy di Trondheim e Sfar

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Castelli, mostri, eroi muscolosi, lande desolate, città brulicanti di vita e anche combattimenti, magia, avventura, ma un solo genere: il fantasy. Il fantasy è oramai un genere che dalla lettura di nicchia, pulp e poco impegnata, ha conquistato il mondo multimediale espandendo il proprio pubblico e le proprie narrazioni.
Tra Signore degli Anelli e Game of Thrones, lo sword and sorcery è ormai un genere ben codificato, riconoscibile e amato. Ma, in fondo, lo è sempre stato. E Lewis Trondheim e Joann Sfar nel 1998 intraprendono, come in ogni buona storia fantasy, un lungo viaggio per un epica impresa: una mastodontica opera seriale composta da 300 albi (di cui, solo poco più di una trentina pubblicati fino ad ora).

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La Fortezza è un luogo “mitico”, meta sognante di guerrieri e avventuri che vogliono cimentarsi in combattimenti, accedere al suo tesoro e compiere imprese eroiche. Un grande organismo vivo e pulsante. Ma come ogni organismo, è la somma delle piccole parti che la fa funzionare.
Herbert è un’anatra tuttofare che deve sbrigare le numerose faccende, tra cui andare a chiamare un eroe che sta combattendo nei meandri della Fortezza, per conto del Guardiano. Peccato che la sua presenza diventa motivo di distrazione e l’eroe viene decapitato. Per sfuggire alle ire del Guardiano, l’unica soluzione che Herbert trova è impersonare egli stesso l’eroe.
Vestito con un’armatura visibilmente esagerata per il suo esile fisico, privato del cuore tenuto come “ostaggio” dal Guardiano, con una spada che non si sfodera se non lo ritiene degno, Herbert parte per l’avventura.

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Da tale incipit è evidente la volontà degli autori francesi nel voler parodiare, in uno sfacciato pegno d’amore verso il genere, lo sword and sorcery, ma in generale il fantasy nella sua accezione più riconoscibile. Lo stile grafico dei personaggi è volutamente caricaturale e macchiettistico, quello dei paesaggi e dello sfondo – come nella tradizione francese – ricco e dettagliato. Un ibrido felice, capace tanto di offrire una lettura veloce, quanto di soffermarsi sulle immagini. Il tutto al servizio di una lettura immediata che, in un volume dalla volontà ironica, è fondamentale all’affezione del lettore.
Ma tale affezione è data, in egual misura del disegno, dalla sceneggiatura che, concedendo meno spazio di quanto ci si aspetterebbe dal genere, attraverso dialoghi dal grande ritmo, immergono il lettore nelle situazioni improbabili in cui si ritrova Herbert con gli altri personaggi.
Chi è abituato alle opere da autore unico di Trondheim, riesce a cogliere la matrice distintiva dell’artista francese: una continua rielaborazione delle regole linguistiche e riscrittura della sintassi fumettistica. Chiaramente, un esercizio che non viene costantemente proposto, data la natura “narrativa” della storia de La Fortezza, ma che comunque emerge in maniera funzionale alla matrice parodica.

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La Fortezza – vol. 1: Zenit, edito da Bao Publishing in un prestigioso e corposo volume, raccoglie, dunque, i primi sei numeri della serie, avviando, per la prima volta in Italia, la pubblicazione integrale dello sword and sorcery targato Trondheim e Sfar. Un fondamentale non solo per gli ammiratori dei due fumettisti, ma anche del fantasy nella sua accezione più ampia. Dopotutto gli autori hanno creato un affresco che rispetta tutti i crismi del genere ma, per poterlo ammirare, bisogna usare la lente d’ingrandimento dell’ironia.

Brindille 1 e 2, recensione: una fiaba moderna

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La fiaba, come il mito, ha radici profonde nella storia ancestrale dell’uomo. La fiaba racconta di personaggi immaginari che affrontano peripezie, si scontrano con drammi intra e inter personali, per conquistare, in qualche maniera, un pizzico di felicità.
Se non ci fossero orchi, fate e mostri, la fiaba sarebbe un racconto realistico. Ogni fiaba è dedicata all’uomo, scava nelle paure e, attraverso simboli e metafore, palesa criticità, inquietudini e dinamiche affettivo-relazioni.
Sembrerebbe difficile, se non impossibile, realizzare una “favola” moderna. Tanto è stato detto, riportato in immagine più o meno vivida. Declinazioni favolistiche e mitologiche, adattate con maggiore o minore fedeltà, sono onnipresenti nell’immaginario di qualunque fruitore multimediale.

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Frédéric Brrémaud e Federico Bertolucci, con il loro Brindille, si conquistano con forza un piccolo spazio nel panorama della favola contemporanea.
Edito in Italia dalla Saldapress, in due magnifici volumi di grande pregio, la storia di Brindille prende avvio, come in ogni favola, da un elemento perturbante.
La bionda ragazza – che riceverà, in seguito, il nome “Brindille” – scavalca delle alte mura, sfuggendo ad una tempesta di fuoco. Non sa chi è, non conosce il suo nome, e sulla sua testa brillano delle luci. Viene soccorsa da un piccolo villaggio di buffe creature ed inizierà a cercare qualche risposta sulla propria natura e la propria identità. Nel farlo incontra un lupo che sembra conoscere molto di quel mondo e del ruolo di Brindille negli eventi che stanno accorrendo.

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La sceneggiatura di Brrémaud non ha, ovviamente, solo intenti fantasy e avventurosi. Nonostante abbondi di peripezie, il racconto, è costruito per far addentrare il lettore non solo all’interno del mondo fantastico, ma per dare indizi riguardo la misteriosa figura protagonista. Tutto è in funzione della rivelazione finale,dal sapore agrodolce. E, ad un secondo sguardo dopo la prima lettura, tutti gli elementi assumono un valore simbolico differente. Proprio come una fiaba. E come una fiaba antica, la storia non è edulcorata, ma, con un sapore da romanzo di formazione, è cupa e dolorosa nel suo progredire.
L’affezione al personaggio di Brindille e del suo fedele amico e mentore Lupo, permette al lettore l’amara catarsi finale non priva di una nota di commozione.

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Il disegno di Bertolucci non può non magnificare la storia di Brrémaud. Figure morbide, dal tratto caricature e dalla sinteticamente prorompente espressività si muovono in spazi dalla grande ricchezza compositiva. La natura che circonda i protagonisti è un personaggio a se stante, vivo, espresso da sfumature di colore che vanno dal colorato pastello fino al nero più scuro. Difatti, le cromie scelte da Bertolucci rendono l’immagine viva e, complice una ricercata composizione delle tavole, suggeriscono le diversificate atmosfere emotive delle scene.

Il lavoro di Brrémaud e Bertolucci, dunque, ha il sapore della favola antica, raccontata con un rispettoso spirito moderno. Un ponte transgenerazionale e un’opera capace di conquistare lettori di tutte le età perché attinge alle più primordiali ed intime emozioni dell’uomo.

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