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Moon Knight – Notti di Luna Piena, recensione: le origini dell'oscuro eroe Marvel

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Negli anni ’70 la Marvel attraversò un periodo di straordinario rinnovamento creativo la cui analisi è fonte di grande interesse per gli storici del fumetto. Ai fasti della Silver Age anni ’60, in cui i padri fondatori Stan Lee, Jack Kirby e Steve Ditko posero le fondamento dell’universo ancora oggi conosciuto, fece seguito un decennio fortemente sperimentale in cui videro la luce le saghe delle atmosfere psichedeliche dei Captain Marvel e Warlock di Jim Starlin, le storie lisergiche del Doctor Strange di Steve Englehart e il talento irriverente di Steve Gerber che sbocciò su serie cult come Howard the Duck e The Defenders.

Le pubblicazioni della Casa delle Idee di quegli anni furono fortemente influenzate dalle mode del momento, soprattutto cinematografiche: se sullo schermo facevano furore i film della blaxploitation, ecco arrivare su carta Luke Cage, Hero for Hire, Black Goliath e il debutto di Blade sulle pagine di Tomb of Dracula. Proprio il successo dei film horror della britannica Hammer e di pellicole come L’Esorcista aveva suggerito alla Marvel il varo di testate dalle atmosfere tenebrose, pensate per un pubblico adulto: dalla già citata collana dedicata al Principe dei Vampiri a collane in bianco e nero come Vampire Tales e Monsters Unleashed, dove fra gli altri, debuttò Werewolf by Night.

Tradotto liberamente dall’Editoriale Corno come “Licantropus”, Jack Russell si trasformava in un lupo mannaro a causa di un retaggio famigliare, decidendo però di usare la sua maledizione solo contro criminali e delinquenti. L’antieroe ebbe l’onore di una serie personale di scarso successo commerciale, che oggi è ricordata soprattutto per aver ospitato il debutto di un personaggio di ben altro spessore, che sarebbe presto entrato nelle preferenze dei Marvel fan. Nel numero 32 della testata, datato agosto 1975, “Licantropus” si scontrava col misterioso Moon Knight, vigilante assoldato dal losco “comitato” per catturarlo. Creato da Doug Moench e Don Perlin, “Lunar”, come venne ribattezzato in Italia dalla sempre fantasiosa Corno, catturò l’interesse dei lettori che ne chiesero a gran voce il ritorno. Questo avvenne dapprima nell’antologico Marvel Spotlight e in seguito in appendice alla rivista in bianco e nero Rampaging Hulk, dove il modesto Perlin venne sostituito da una scoperta dell’editor della rivista Richard Marshall, un giovane illustratore che sarebbe diventato un nume tutelare del fumetto degli anni ’80: Bill Sienkiewicz.

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Poco dopo, Moon Knight ottenne finalmente la prima serie a suo nome, a cinque anni dalla sua prima apparizione. Nel primo numero della nuova testata, firmata sempre da Moench e Sienkiewicz, gli autori raccontavano l’origine del Cavaliere Lunare, fino a quel momento taciuta. Il suo alter-ego, Marc Spector, era un mercenario al soldo di Raoul Bushman, spietato terrorista che operava in scenari politicamente caldi come Sudan e Egitto. L’assassinio del Dr. Arlaune, archeologo di fama mondiale, da parte di Bushman, spinge Spector a ribellarsi contro il suo datore di lavoro. Dopo aver avuto la peggio, quest’ultimo viene abbandonato a morire nel deserto. A un passo dalla morte, l'uomo viene salvato da alcuni adepti del dio egizio Khonshu, che lo portano nel tempio di quest’ultimo. Al suo risveglio, Spector è un uomo nuovo, convinto di essere l’araldo in terra della divinità egizia.

Tornato negli USA, Marc decide di dedicare la sua nuova vita alla lotta contro il crimine nei panni di Moon Knight, avvolto in un costume e un mantello color argento che gli donano una sembianza spettrale. Se fin qui il personaggio non sembra essere niente di più di una mera versione “made in Marvel” di Batman, dotato com’è di gadget, un elicottero guidato dal fidato amico Frenchie e una schiera di collaboratori tra cui l’amata Marlene, la figlia del Dr. Arlaune che lo ha seguito in America, Moench introduce un ingrediente fino ad allora inedito in un fumetto di supereroi: la schizofrenia. Oltre a quella del vigilante, Spector aggiunge altre due identità alla sua psiche frammentata: il milionario Steven Grant, alias che costruisce investendo i profitti realizzati come mercenario e grazie al quale vive in una lussuosa villa fuori New York, e il tassista Jake Lockley, abituato a bazzicare i bassifondi per cercare di carpire indiscrezioni necessarie alle sue indagini. La schizofrenia non era un argomento molto frequentato nella fiction dell’epoca, che al massimo aveva saputo darne solamente una connotazione fortemente negativa, vedi il personaggio dell’assassino travestito da donna interpretato da Micheal Caine in Vestito per uccidere di Brian De Palma, film del 1980 uscito in contemporanea con la serie di Moench/Sienkiewicz. La figura di Marc Spector, che utilizzava il suo disagio mentale a fin di bene, risultava del tutto originale, anche se per un suo maggiore approfondimento psicologico avremmo dovuto aspettare il contributo fornito al personaggio tre decadi più tardi da autori come Brian Michael Bendis, Warren Ellis, Jeff Lemire e Max Bemis.

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 Le storie concepite da Moench erano dei veri e propri noir urbani, nelle quali Moon Knight affrontava avversari che sembravano usciti dai recessi più squallidi della metropoli come il serial killer denominato “Tagliagole” (evidente retaggio del passato dello sceneggiatore, speso tra la cronaca cittadina per i quotidiani e le riviste horror in bianco e nero della Warren e della divisione per adulti Curtis della stessa Marvel), anche se non mancano momenti sopra le righe come la trasferta caraibica in cui Spector si troverà ad affrontare vodoo e zombie, e altri prettamente supereroistici come l’incontro con Daredevil.

Proprio l’apparizione dell’alter-ego di Matt Murdoch rende inevitabile il paragone con il lavoro che Frank Miller stava facendo nello stesso periodo sulla testata dell’Uomo senza Paura: per quanto godibili, le storie di Moon Knight concepite da Moench perdono inevitabilmente il confronto con la rivoluzione di storytelling messa in atto da Miller. La prosa enfatica dello sceneggiatore, infatti, ha superato male la prova del tempo, e i disegni di Bill Sienkiewicz sono interessanti come testimonianza dei primi passi di un futuro, grande innovatore del tavolo da disegno, più che per la prova in se stessa, ancora troppo condizionata dall’influenza del “mentore” Neal Adams. Nelle prime storie del volume, la portata innovatrice dell’arte di Sienkiewicz è spiacevolmente contenuta dalle chine troppo lineari di veterani Marvel come Frank Springer e Frank Giacoia, mentre la matita dell’autore si sposa alla perfezione con le chine cariche di ombre di Klaus Janson, lo storico collaboratore di Miller che ebbe anche il tempo, tra un numero di Daredevil e l’altro, di prestare il suo riconoscibilissimo pennello ad una manciata di storie di Moon Knight. Il numero spartiacque della raccolta è il nono, in cui Sienkiewicz cominciò a chinarsi da solo, abbandonando man mano le influenze adamsiane e le linee nette e muscolari per virare verso un tratto nervoso e carico d’inquietudine, espressa tanto dalla postura dei corpi quanto dalle angoscia che percorre il viso dei personaggi. L’ultimo numero del volume, il quindicesimo, contiene già in potenza tutte le peculiarità del Sienkiewicz che sarà, dall’uso scenografico di chine e onomatopee alla pennellata aspra e violenta, foriera di una furia sperimentatrice ed avanguardista che lo spingerà a portare tra le pagine dei comics americani elementi grafici di movimenti artistici europei come la secessione viennese (vedi Daredevil: Love & War e Elektra: Assassin).

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Panini Comics raccoglie i primi quindici numeri della serie classica di Moon Knight in un corposo e prezioso volume cartonato, indispensabile per comprendere l’evoluzione di un’artista che ha rivoluzionato il concetto stesso di fumetto popolare. Restiamo ovviamente in attesa dell’annuncio, da parte dell’editore modenese, di un eventuale secondo volume contenente la conclusione della serie e la definitiva consacrazione di Sienkiewicz tra i grandi della Nona Arte.

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Panini Comics pubblica il crossover fra Rick and Morty e Dungeons & Dragons

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Come vi avevamo riportato tempo faIDW Publishing e a Oni Press hanno dato vita a una miniserie che vede i mondi di Rick and Morty e quelli di Dungeons & Dragons scontrarsi. Il team creativo della serie includerà Patrick Rothfuss (The Kingkiller Chronicles), Jim Zub (Avengers: No Surrender) e Troy Little (Fear and Loathing a Las Vegas). In Italia la serie sarà pubblicata da Panini Comics. Di seguito trovate tutti i dettagli e alcune tavole in anteprima.

"Una delle serie animate più originali al mondo incontra il gioco di ruolo da tavolo per antonomasia: il 5 aprile sbarca nelle fumetterie “Rick and Morty VS Dungeons & Dragons” edito da Panini Comics, leader in Italia nel settore dell’intrattenimento per fumetti.

Il volume si preannuncia come il cross over più folle mai avvenuto nel mondo dei comics, in quanto Rick and Morty e Dungeons & Dragons si fondono in un’incredibile storia scritta a quattro mani da Jim Zub (Avengers, Dungeons & Dragons) e il romanziere fantasy Patrick Rothfuss (Le Cronache dell’assassino del re), con i disegni di Troy Little (Chiaroscuro, Fear and Loathing in Las Vegas). Il risultato è di far vivere ai due protagonisti una nuova dimensione, tutt’altro che divertente.

La serie d’animazione Rick and Morty, il cui pilot fu presentato come parodia di Ritorno al Futuro in occasione del festival dei cortometraggi di Channel 101, è stata creata nel 2013 da Dan Harmon e Justin Roiland. La storia è incentrata su Rick, scienziato trasferitosi dalla famiglia di sua figlia Beth, veterinaria e cardiochirurga per equini. Trascorre la maggior parte del suo tempo inventando vari gadget high-tech e portando con sé il giovane nipote Morty - e in un secondo momento anche la nipote Summer - in pericolose e fantastiche avventure viaggiando tra universi paralleli.

Serie di grande successo strutturata in tre stagioni, attualmente viene trasmessa sul canale Adult Swim e sul servizio di streaming Netflix; Panini Comics pubblica inoltre una serie di fumetti dedicata a Rick and Morty.

Dungeons & Dragons è invece probabilmente il gioco di ruolo da tavolo più noto al mondo: creato nel 1974 da Gary Gygax e Dave Arneson,spesso abbreviato in DnDo D&D, conta attualmente più di 20 milioni di giocatori ed è stato tradotto in molteplici lingue. Di forte ispirazione tolkeniana, ma contenente echi di scrittori del calibro di Lewis Carroll e H.P. Lovecraft, annovera allo stato attuale 5 diverse edizioni, uscite nel corso degli anni, che propongono costantemente versioni aggiornate del gioco. Nel nostro Paese DnD è pubblicato dalla casa distributrice di giochi da tavolo Asmodee.

Il successo sempre crescente di questo gioco è in parte dovuto anche ai continui riferimenti ad esso fatti nella pop culture: uno dei più recenti è ad esempio la serie originale trasmessa da Netflix Stranger Things, che ha in parte contribuito a far ritornare DnD in auge tra le nuove generazioni, richiamando l’interesse di giovanissimi nuovi appassionati.

Nel novembre 2018 Panini ha iniziato la pubblicazione di una miniserie a tema D&D a cura di Jim Zub e Max Dunbar, comprendente Le Leggende di Baldur’s Gate e Le Ombre del Vampiro."

 

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Ghost Rider Cosmico, recensione: l'inedito Punitore spaziale che conquista i lettori

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Non c’è più pace per Frank Castle. Dopo essere morto innumerevoli volte, aver cacciato demoni per conto degli angeli, essere diventato una sorta di mostro di Frankenstein (in uno degli archi narrativi più deliranti di Rick Remender), aver indossato l’armatura di War Machine, e parecchie altre cose, scopriamo che nel futuro (o meglio, in uno dei tanti possibili futuri del multiverso Marvel) il Punitore diventerà il nuovo Spirito della Vendetta, poi l’ennesimo araldo di Galactus e, infine, prima di essere ucciso da Silver Surfer, il servitore di Thanos.

Il Ghost Rider Cosmico compare per la prima volta negli ultimi episodi della recente serie dedicata al titano dalla pelle viola, in un ciclo di storie intitolato Thanos vince, dove il folle adoratore della morte viene trasportato in un remotissimo futuro a incontrare una versione anziana di se stesso che, pur avendo praticamente sterminato tutta la vita nell’universo, sembra avere bisogno del suo io più giovane per sconfiggere l’unico essere ancora in grado combatterlo, il Caduto (una versione futura di Silver Surfer in grado di brandire il Mjolnir).

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La storia, narrata nella miniserie Cosmic Ghost Rider, riparte proprio dal finale di Thanos vince, con un Frank Castle degno di entrare nel Valhalla (che nelle leggende nordiche è il paradiso dei combattenti morti con onore in battaglia), grazie a Odino, che ne ha sempre ammirato l’incontenibile spirito guerriero. Ma i secoli in compagnia di dei e valchirie non riescono ad allontanare in lui il rimorso per essere stato al servizio del peggior criminale dell’universo. Un autentico tradimento alla missione a cui aveva dedicato tutta la vita, dopo l’assassinio della sua famiglia. Consapevole di non poter guarire la profonda inquietudine di Frank, Odino si convince a riportarlo in vita, di nuovo come il Ghost Rider Cosmico. Pronto a solcare l’immensità dello spazio in sella alla sua moto, Frank chiede a Odino di tornare indietro nel tempo, quando Thanos era ancora un bambino, in modo da poterlo uccidere prima che possa crescere come il mostro genocida che è destinato a diventare, rimediando, così, al tragico errore commesso nella sua vita precedente. Assassinare un bambino, però, non è semplice neppure per il Punitore, per cui il nostro “eroe” si convince che, tenendo lontano il piccolo Thanos da violenza e morte, potrebbe riuscire a evitare ciò che le forze del fato sembrano aver già deciso per lui. In mezzo a scorribande spazio-temporali, con tutto l’universo che sembra complottare contro di lui, Frank imparerà che cambiare il destino degli esseri viventi è molto difficile, anche per chi possiede contemporaneamente il potere cosmico e quello infernale.

Ai testi di Thanos vince e di questa miniserie troviamo l’astro nascente Donny Cates, il giovane sceneggiatore texano che si è imposto rapidamente all’attenzione di pubblico e critica per la sua capacità di creare storie veloci, frizzanti, divertenti, dove l’ironia non manca mai, così come l’inventiva, tanto da essere richiestissimo sia dalle case editrici indipendenti (per le quali ha ideato opere già celebrate come Babyteeth, Redneck e God Country) sia da una major come la Marvel, che lo ha ormai inserito nella sua lista di autori di punta, e a cui ha affidato serie bisognose di essere rilanciate (recentemente lo abbiamo apprezzato su Dr. Strange e Venom). Estremamente prolifico (lo vedremo presto su parecchi nuovi progetti della Casa delle Idee), non gli manca neppure la spavalderia tipica della sua giovane età, tanto che, recentemente, ha scherzosamente accostato le sue storie di Venom a un capolavoro irraggiungibile come Watchmen. Una specie di Quentin Tarantino dei comics, insomma, o un novello Garth Ennis, dai quali ha ereditato il gusto per l’irriverenza e la capacità di sorprendere, mostrando, allo stesso tempo, di sapersi contenere con gli eccessi grotteschi o dissacranti.

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La trama imbastita da Cates per questo Cosmic Ghost Rider ricorda l’incipit di parecchie storie di fantascienza, in particolare l’idea che si possano eliminare le sofferenze causate da un individuo, uccidendolo da bambino grazie a un viaggio indietro nel tempo. Ma nelle mani dell’autore texano questa semplice premessa diventa molto di più: Cates non si limita a mettere in piedi una sorta di lungo “what if?” (un omaggio alle celebri storie immaginarie della Marvel, reso ancora più evidente dalla presenza dell’Osservatore), ma si scatena in una sequenza infinita di trovate divertenti, mostrando sia di sapere già utilizzare parecchi trucchi narrativi, che molti cartoonist più navigati di lui non hanno mai compreso fino in fondo, sia di sapersi abilmente destreggiare all’interno della continuity marvelliana. Il tutto condito da una buona dose di ironia, da testi ammirabili per arguzia e dal desiderio di non prendersi mai troppo sul serio (non si spiegherebbero, altrimenti, idee al limite del demenziale come lo strano ibrido tra il Fenomeno e Howard il Papero, con cui Frank si trova costretto a combattere). Inoltre, lavorare su personaggi che ancora non appartengono al pantheon della Marvel (anche se Thanos, dopo il clamoroso successo di Avengers: Infinity War e il prevedibile exploit del suo seguito di fine aprile, ne entrerà presto a far parte), gli ha permesso di godere di una libertà creativa invidiabile, che ha sicuramente influito positivamente sulla riuscita dell’opera. Non a caso, Cates ha affermato in alcune interviste di considerare Cosmic Ghost Rider una sorta di serie “indipendente”, ma scritta per la Marvel. Merito, senz’altro, del feeling che si è creato con l’editor Jordan D. White, già assieme a Cates sulla serie di Thanos e bravo a riconoscere l’abilità dello sceneggiatore a reinterpretare in chiave moderna parecchi personaggi della Casa delle Idee, concedendogli tutta l’autonomia necessaria a raggiungere questo scopo.

Per quanto riguarda i disegni, lo stile cartoonesco del canadese Dylan Burnett si sposa alla perfezione al taglio leggero e scanzonato dei testi di Cates, tanto che a volte sembra di rivivere la perfetta simbiosi che si era creata su un'altra serie dalle atmosfere simili, la mai dimenticata Hitman del duo Garth Ennis-John McCrea. Il merito principale di Burnett è quello di “aggiustare” il suo tratto a seconda del ritmo della narrazione, accrescendo o diminuendo l’aspetto caricaturale dei personaggi sulla base del tasso di drammaticità della storia. Infine, il suo segno così distante dalla classicità Marvel, è, probabilmente, l’ennesima conferma di come la Casa delle Idee abbia ormai deciso di non fissare più rigidi paletti atti a contenere la creatività dei suoi talenti, spesso liberi di esprimersi come meglio credono.

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Il Ghost Rider Cosmico sarà presto uno dei membri del cast della nuova testata dedicata ai Guardiani della Galassia, un rilancio affidato ancora una volta all’estro di Cates. La serie, di cui sono appena usciti i primi numeri negli USA, dovrebbe arrivare da noi tra maggio e giugno, presumibilmente alla conclusione di Infinity Wars. Inutile dire che non vediamo l’ora di leggerla.

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Arriva l'omnibus di Paradise Kiss di Ai Yazawa

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Esce domani il volume omnibus con la ristampa di Paradise Kiss di Ai Yazawa, autrice di Nana. Un unico volume di 848 pagine, brossurato con sovra-coperta, formato 14.5x21, al costo 25€. Di seguito trovate tutti i dettagli e alcune tavole del volume.

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DAL 28 MARZO IN LIBRERIA LA SAGA PANINI COMICS

AMBIENTATA NEL MONDO DELLA MODA

A 20 anni dalla prima edizione, il 28 marzo torna nelle librerie e fumetterie Paradise Kiss, il volume edito da Panini Comics che raccoglie le vicende nate dalla geniale mente di Ai Yazawa, autrice del cult Nana.

La saga, dalle atmosfere decisamente glam, ha per protagonista Yukari, un’adolescente problematica che nella vita ha un solo scopo, un’idea fissa: frequentare con successo l’università. La sua taglia e la sua silhouette, tuttavia, ne fanno la modella ideale per gli abiti realizzati da un’eccentrica compagnia di studenti di moda che ha fatto di una cantina il proprio laboratorio. Arruolata dai ragazzi dell’atelier “Paradise Kiss”, Yukari si ritrova così immersa in un mondo dove i sogni più folli si concretizzano.

Pubblicato per la prima volta nel 1999 sulla rivista Zipper, celebre magazine di moda giapponese dell’editore Shodensha, Paradise Kiss supera ben presto i confini del Sol Levante per poi affermarsi a livello internazionale proprio come il capolavoro Nana."

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