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Le Grandi Storie D'Amore, recensione: l'Amore ai tempi della Golden Age

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Quarto volume della collana Panini Comics dedicato alle pubblicazioni Marvel dell’era Timely/Atlas, dopo Le Grandi Storie dell’Orrore, Le Grandi Storie Western e Le Grandi Storie della Fantascienza, arriva il turno de Le Grandi Storie D’Amore. Un libro interessante ancor più del solito perché ci consente di esplorare un genere come quello rosa di cui conserviamo poche tracce.

A differenza di una nazione come il Giappone, ad esempio, in cui il mercato di fumetti per ragazze è praticamente allo stesso livello di quello maschile, con un gran numero di autrici e un livello della proposta di assoluta qualità, in America il segmento di mercato rivolto alle donne è sempre stato di gran lunga inferiore rispetto a quello dedicato agli uomini, se non quasi del tutto irrilevante per diversi decenni. Non solo, le testate erano scritte prevalentemente da uomini e il livello della proposta non sempre all’altezza.

Solo negli ultimi decenni, ad ogni modo, la situazione è cambiata. Non solo dando maggior spazio a personaggi e fumettiste donne, ma comprendendo che il pubblico femminile è parte importante e consistente dei lettori di fumetti. In generale, comunque, la tendenza odierna è quella di non suddividere schematicamente il fumetto per genere sessuale, ma creare storie e personaggi che coinvolgano in egual modo tutto il pubblico.

Naturalmente, nulla di tutto questo è presente nell’antologia Le Grandi Storie D’Amore la cui valenza è per lo più storica, che artistica. Ma procediamo con ordine.

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Con la crisi del genere supereroistico nella seconda metà degli anni ‘40, gli editori erano sempre in cerca di nuovi filoni narrativi da sfruttare. Già nel 1941 la MLJ, futura Archie Comics, propose con successo i teen comics, fumetti umoristici adolescenziali con protagonisti un gruppo di ragazzi (personaggi esistenti ancora oggi e popolari grazie a serie tv come Riverdale). Ma la svolta arrivò nel 1947 quando Joe Simon e Jack Kirby (i creatori di Capitan America) diedero vita per la Crestwood Publications/Prize Comics alla rivista Young Romance che adattava a fumetti la formula delle testate pulp di genere romance. Il successo fu immediato e diversi editori, fra cui la Timely di Martin Goodman, pubblicarono innumerevoli testate che ne imitavano lo stile. Ne troviamo degna rappresentanza ne Le Grandi Storie D’Amore.

Il volume è suddiviso in 5 capitoli di cui i primi 3 dedicati effettivamente alle storie rosa del periodo ‘40-‘70. Il primo capitolo contiene avventure di poco precedenti alla nascita dell’universo Marvel tratte da Love Romance e da Teen-Age Romance. Il secondo contiene una selezione della serie Venus degli anni ’40. In entrambi i casi, gli autori delle sceneggiatore sono quasi sempre sconosciuti. Il terzo capitolo, invece, con storie scritte prevalentemente da Stan Lee, sono contemporanee alla nascita dell’universo Marvel e arrivano fino agli anni ’70 e provengono da riviste quali Patsy Walker, Our Love Story e My Love.

Nel primo capitolo le avventure, quasi tutte disegnate da Dick Giordano e Vinnie Colletta, trattano di ragazze anonime e dei loro amori in intrecci abbastanza stucchevoli e scontati ma che, soprattutto oggi, ci mostrano una rappresentazione della donna stereotipata e sessista con donne ingenue e passive felici solo quando l’uomo amato ricambia il loro sentimento. Questo non era un caso. Scritte da uomini, le testate erano fortemente maschiliste e promuovevano l’immagine di una donna realizzata solo quando felicemente sposata, frutto di una visione borghese che promuove un’immagine statica di benessere e felicità.
La donna, dunque, poteva tranquillamente rinunciare alla sua carriera, in quanto solo un uomo e i suoi figli potevano completarla. Inoltre, erano proibiti e condannati ogni tipo di atteggiamento considerato promiscuo e poco consono a una ragazza rispettabile.

Dopo la tempesta scatenata nel 1954 dalla pubblicazione del libro Seduction of the Innocent dello psichiatra Fredric Wertham, che portò alla nascita di un codice di autoregolamentazione noto come Comics Code, la situazione peggiorò addirittura in quanto le storie divennero ancora più insipide e infantili, promuovendo ancor di più quelli che erano i patriarcali insegnamenti di base.
Non sorprende, dunque, che con i movimenti femministi nati di lì a poco, queste testate sarebbe cadute nel disinteresse generale.

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La situazione non migliora più di tanto, sotto questo aspetto, nel terzo capitolo dove troviamo diverse storie scritte da Stan Lee e disegnate da artisti quali Jim Steranko, John Buscema, John Romita Sr. e altri ancora. Interessante è l’unica storia lunga della selezione (che mostra un intreccio più corposo) che ha protagonista Patsy Walker, personaggio che verrà introdotto nell’universo Marvel e che diventerà l’eroina Hellcat.

Differente, in qualche modo, il secondo capitolo con le storie tratte da Venus. Innanzitutto perché provenienti dagli anni ’40, e lo si può notare da un modo di fare fumetti differente, sia nei testi che nei disegni. Venus era una testata regolare che narrava le avventure della dea Venere (o meglio Aphrodite Ourania) scesa sulla Terra con l’identità di Victoria Nutley Starr, innamorandosi dell’editore della rivista Beauty Whitney P. Hammond. La donna dovrà destreggiarsi fra le invidie della segretaria di Hammond, Della Mason, e dei problemi “divini” con i suoi colleghi dei, alcuni dei quali osteggiano il suo operato.
Anche se il capitolo presenta storie tratte dalla rivista Venus, la maggior parte sono avventure di appendice alla stessa, senza protagonista fissa.

Gli ultimi due capitoli del volume mostrano, invece, l’eredità che il genere rosa ha avuto nei successivi decenni nei fumetti Marvel. Nel quarto capitolo vediamo alcune storie d'epoca prese e riletterate da autori contemporanei in chiave ironica. L’operazione risale al 2006 e vediamo fumettisti quali Peter David, Jeff Parker e Robert Loren Fleming riscrivere in chiave totalmente irriverente avventure riproposte nel libro anche nella loro forma originale.

Nel quinto e ultimo capitolo, invece, abbiamo l’albo Amazing Spider-Man #99 di Stan Lee e Gil Kane: un inserimento un po’ forzato, ma che dimostra come l’elemento rosa fosse un elemento importante nelle storie degli eroi Marvel. Chiudono il volume un'abbastanza superflua gallery e “Ricordando Gwen”, storia del 1991 di Tom DeFalco, Stan Lee e John Romita Sr., un bell’omaggio alla celebre fidanzata di Peter Parker e, al tempo stesso, alle storie rosa. 

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Come anticipato sopra, Le Grandi Storie D’Amore è un volume che va contestualizzato e compreso, risultando un'importante testimonianza di un periodo del fumetto americano. Le sue storie appaiono oggi maschiliste e antiquate, eccezion fatta per i disegni. Le matite di grandi artisti Marvel, generalmente alle prese con i supereroi e qui calati in un contesto non avventuroso, valgono da sole il prezzo del biglietto e, passando dagli anni ’40 ai ’70, ci svelano molto sull’evoluzione del medium, ma anche sui costumi e sulla società dell’epoca.

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God Country, recensione: il biglietto da visita di Donny Cates

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Se nell’ultimo periodo vi capita spesso di leggere e sentire in giro il nome di Donny Cates è assolutamente normale: lo sceneggiatore è attualmente uno dei nomi più caldi del fumetto americano e in particolare la Marvel punta parecchio su di lui. L’attuale scrittore di Venom e Doctor Strange, infatti, ha tutte le carte in regola per diventare uno dei prossimi autori di punta della Casa delle Idee, e il successo di opere come Thanos Vince e Ghost Rider Cosmico è lì a confermarlo. Ma c’è un punto di svolta nella carriera di Cates e questo è God Country, ovvero la miniserie in 6 albi che lo ha portato all’attenzione della critica e dei lettori.

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Pubblicata nel 2017 da Image Comics, God Country di Donny Cates e Geoff Shaw è un insolito “fantasy familiare”. Sì, perché la dimensione fantastica e mitologica del fantasy è in realtà un pretesto per raccontare la storia piccola e intima di una comune famiglia texana.
La trama è incentrata sulla famiglia Quinlan. Il padre Emmet è un uomo anziano malato di alzheimer, accudito da suo figlio Roy, trasferito da Austin per l’occasione insieme alla moglie Janey e alla piccola Deena. L’equilibrio familiare è precario: Emmet è ingestibile, non ricorda nulla del suo passato e non riconosce la sua famiglia, allo stesso tempo Roy non vuole mettere suo padre in un ricovero e ciò complica il rapporto con sua moglie. Improvvisamente, però, un tornado si abbatte sulla città e porta con sé un demone che Emmet riesce a sconfiggere grazie a una spada magica chiamata Valofax.

Dotata di una propria volontà, le origini di Valofax risalgono a un tempo e a un luogo lontano. La spada è, infatti, forgiata da Attüm, dio di un mondo morente che desidera brandirla nuovamente e che non esita a sacrificare i suoi figli pur di riaverla. Ma Emmet non ha intenzione di restituire la spada, non solo per evitare che sia causa di futuro dolore ma perché brandirla è l’unico modo che ha per sconfiggere l’alzheimer e, dunque, di ricordare il suo passato e la sua famiglia.

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God Country fa dei legami e della famiglia il suo fulcro centrale, contrapponendo per giunta la concezione umana dei legami familiari a quella degli dei. Senza retorica alcuna, Cates racconta, dunque, una vicenda intima che, spogliata dall’elemento fantasy, risulta purtroppo comune a molte persone. L’aspetto fantasy è, volendo, la parte più debole, o quantomeno quella meno originale, del racconto. Lo sceneggiatore, infatti, attinge da elementi abbastanza comuni e riconoscibili per costruire il suo mondo narrativo, ma d’altronde non era certo l'aspetto sui cui Cates puntava maggiormente.
L’intreccio narrativo del racconto, inoltre, non riporta grandi sorprese, ma l’incedere rapido e senza fronzoli delle vicende e la genuinità del tutto rendono certamente fluida e piacevole la lettura. Seppur l’esaltazione dell’opera, specie oltreoceano, ci sembra eccessiva, God Country è un solidissimo racconto, molto riuscito in ogni sua parte, epico e intimo allo stesso tempo.

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Geoff Shaw alle matite preferisce un taglio cinematografico delle tavole, non a caso le vignette tendono a svilupparsi in orizzontale, mentre molto rare sono quelle in verticale. Anche per la costruzione visiva del mondo narrativo, Shaw non offre nulla di particolarmente originale, caratterizzando dei, demoni, mondi lontani e la stessa spada Valofax in maniera abbastanza tradizionale e riconoscibile. Tuttavia, il suo lavoro resta eccezionale, dinamico e spettacolare, capace di rappresentare degnamente anche le parti più intime e private del racconto. Il suo tratto sporco e graffiante si esalta però nelle scene d’azione ed esplode in efficaci splash-page, che possiamo ammirare appieno grazie anche all’ampio formato 18,3X27,7 del cartonato Panini Comics.

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Panini Comics lancia il mensile di Captain Marvel

  • Pubblicato in News

Riceviamo e pubblichiamo: 

Panini Comics
Captain Marvel
Un duo al femminile per la serie a fumetti dedicata all’eroina portata al cinema da Carol Danvers

Panini Comics, leader nel settore dell’intrattenimento per fumetti in Italia, annuncia a partire dall’11 aprile l’arrivo nelle edicole di Captain Marvel – Un nuovo inizio!, primo numero di una serie mensile interamente dedicata al personaggio portato al cinema recentemente da Brie Larson.

L’iniziativa avviene a un paio di mesi dal lancio del volume antologico Io sono Capitan Marvel, che raccoglieva le storie più interessanti di Carol Danvers e dei suoi predecessori.

Il numero d’esordio di 32 pagine, venduto in edicola al prezzo lancio di un euro, è realizzato da un duo femminile formato dalla sceneggiatrice Kelly Thompson (Uncanny X-Men) e dalla disegnatrice Carmen Carnero (X-Men:Red).

LA TRAMA

Come Capitan Marvel, Carol Danvers ha passato mesi nello spazio proteggendo la Terra da piccole e grandi minacce aliene, ma per la super eroina più potente del mondo è arrivato il momento di tornare a casa. Tuttavia ogni ritorno ha i suoi imprevisti, e Carol sta per fronteggiarne svariati. È un nuovo inizio e un “bentornato stellare” per un’eroina che cavalca la cresta dell’onda dal 1970, oggi protagonista anche sul grande schermo!

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Daredevil Collection: Echo, recensione: anatomia di Maya Lopez

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A fine anni ’90 la Marvel, attraverso la figura di Joe Calamari, diede l’incarico a due artisti emergenti, quali Joe Quesada e Jimmy Palmiotti, di gestire un’etichetta per rilanciare alcuni personaggi secondari in fase di declino. La nuova linea, chiamata Marvel Knights, divenne un vero e proprio caso editoriale lanciando la figura di Quesada che di lì a un paio di anni sarebbe diventato editor in chief della casa editrice.

Gli stessi Quesada e Palmiotti si occuparono delle matite e delle chine del primo albo della nuova etichetta: Daredevil #1. Il primo ciclo di storie venne scritto dal regista e sceneggiatore Kevin Smith che, con la saga "Guardian Devils", portò la testata in top ten. Il successivo ciclo, sempre disegnato da Quesada e Palmiotti, vedeva ai testi il disegnatore e sceneggiatore David Mack che ideò per l’occasione il personaggio di Maya Lopez/Echo.

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Figlia di un assassino, Maya è sorda fin dalla nascita. Orfana di madre, la ragazza viene cresciuta da Kingpin, il principale avversario di Daredevil, dopo che quest’ultimo uccise il padre che, in punto di morte, fece promettere al boss della mala di occuparsi di lei. Kingpin manderà Maya in un costoso centro di riabilitazione per non udenti dove affinerà una particolare abilità, ovvero quella di imitare alla perfezione qualsiasi azione umana vista anche per una sola volta.
Indotta da Kingpin a credere che Devil sia il responsabile della morte del padre, la ragazza vuole vendicarsi di lui nei panni di Echo, ma contemporaneamente conosce e si innamora di Matt Murdock, alter ergo dell’eroe. Quando capirà l’inganno di Kingpin, la ragazza si vendicherà del suo padre adottivo accecandolo, dando il via alla serie di eventi che porterà il boss della mala a perdere il suo impero. Maya deciderà di lasciare gli Stati Uniti per ritrovare se stessa e la propria pace interiore.

In seguito, la testata ospiterà il ciclo di Brian M. Bendis e Alex Maleev che narreranno della caduta di Kingpin e dell’ascesa al potere di Daredevil. Al centro di questo ciclo, troviamo 5 episodi scritti e disegni da David Mack che riportano in scena il personaggio di Maya Lopez e che ritroviamo ora nel 23° volume della collana Daredevil Collection edita da Panini Comics.
Il ciclo di episodi risulta alquanto singolare, tanto da restare a lungo inedito in Italia, non solo per lo stile artistico utilizzato da Mack ma in quanto è una storia in cui il titolare della testata, ovvero Daredevil, compare solo in una manciata di tavole. È come se ci trovassimo davanti a una miniserie parallela dedicata a un comprimario, per giunta un personaggio apparso fino ad allora solo in un altro ciclo. Eppure, grazie al lavoro di Mack, Maya, nota come Echo (e in futuro come Ronin nei New Avengers di Bendis) è un character complesso e affascinante che è entrato fin da subito nella mitologia della serie.

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La saga in 5 parti, che si intitola semplicemente "Echo", è un viaggio alla ricerca di se stessa da parte di una donna che non riesce a comprendere il suo ruolo nel mondo. Per questo rivive la sua storia e compie un rito spirituale per comprendere la sua reale natura. Scopriamo così ulteriori dettagli del passato di Maya, di suo padre e del suo retaggio indiano.
Mack è autore di una storia molto raffinata che indaga con un sicuro piglio introspettivo nell’animo di una ragazza sorda, descrivendo la sua condizione, i suoi problemi e la sua crescita con sensibilità e poesia grazie ad analogie e trovate davvero riuscite. Anche la struttura narrativa è molto raffinata e racchiusa in un perfetto cerchio in cui tutti i pezzi combaciano e nulla viene lasciato al caso.

Parte quanto mai integrante per portare avanti la narrazione è l’aspetto grafico e visivo delle tavole. Mack utilizza il foglio da disegno per dar vita a dei collage sui cui monta/smonta, apre finestre, costringe il lettore a capovolgere il libro per seguire le vignette o leggere il testo, cambia stile passando da quello più realistico/fotografico a quello pittorico (splendide le tavole in cui Maya, viaggiando per l’Europa, si autoritrae utilizzando gli stili dei grandi artisti) fino a utilizzare dei segni stilizzati simili a quelli realizzati dai bambini. Testo e disegno, dunque, si fondono e anche il lettering ha la sua importanza ed è curato nei mini dettagli.

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Echo, dunque, è un’opera preziosa e originale nella storia del personaggio, adatta a chi vuole conosce a fondo la storia di Maya Lopez, magari dopo aver letto Parti di un buco, anch’essa ristampata nella collana Daredevil Collection.

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