La cosa più bella di Fantastici Quattro – Gli inizi, vista dalla prospettiva di chi viene chiamato a scriverne una recensione, è che la pellicola è il prodotto cinematografico Marvel Studios con la cifra stilistica e autoriale più interessante dai tempi dei primi Guardiani della Galassia di James Gunn. Anche nel suo momento migliore, ovvero la Infinity Saga culminata nel 2019 con Avengers: Endgame, il Marvel Cinematic Universe si presentava come una perfetta catena di montaggio capace di produrre un ottimo cinema di intrattenimento ma priva, salvo pochi casi, di una identità autoriale forte e, aggiungiamo, di gusto cinefilo. Chi scrive si è divertito molto guardando quei film con la consapevolezza, però, di trovarsi a consumare cinema da fast-food. Questo ritorno del Favoloso Quartetto nelle sale (stavolta in una versione convincente) è dal punto di vista del gusto, invece, un piatto gourmet.
Matt Shakman, regista dal curriculum scarno ma autore della prima (e migliore) serie tv targata Marvel Studios, Wandavision, ha una decisa inclinazione per le ambientazioni retrò, “stilose” ed eleganti, e Fantastic Four – First Steps esalta questa propensione. Con l’aiuto di due collaboratori straordinari, lo scenografo Kasra Farahani (che ha “arredato” l’altra serie tv Marvel degna di nota, Loki) e la costumista Alexandra Byrne, Shakman ambienta questi “primi passi” dei Fantastici Quattro in una terra retrofuturistica, omaggio alle atmosfere Sixties delle indimenticabili storie del quartetto firmate da Stan Lee e Jack Kirby. Un’epoca piena di ottimismo, fiducia e speranza: gli anni di Kennedy, attraversati dalla frenesia della corsa allo spazio. I Fantastici Quattro sono figli di questa era, e compiendo la scelta di collocarli (momentaneamente) in una Terra parallela, Shakman (e il team di sceneggiatori che lo ha affiancato) risponde a due necessità. La prima, è quella di spiegare, dopo 17 anni di produzioni MCU, dove si trovassero finora i Fantastici Quattro, che dell’Universo Marvel (che sulle loro pagine è nato) sono la pietra angolare. La risposta (identica ad una fan fiction che chi scrive – e probabilmente non solo lui – si è fatto per anni) è che loro ci sono sempre stati, solo che erano… altrove. La seconda è quella di portare l’MCU per la prima volta a fare i conti con la Marvel a fumetti classica, visto che la sua principale fonte di ispirazione era stata finora la Marvel degli anni 2000, con linee Ultimate e affini. Ed ecco sprigionarsi finalmente sullo schermo quei colori pastello, caratteristica cromatica che la pellicola condivide col nuovo Superman, prigionieri finora di fotografie livide e desaturate che hanno caratterizzato anni di cinecomics. Il risultato, visivamente strepitoso, è un film di supereroi che ricorda Gli Incredibili (che erano ispirati proprio ai Fantastici Quattro), con una spruzzata di Jetsons e scene domestiche che sembrano uscite da una puntata di Ho sposato una strega. In un tripudio di abiti, accessori ed elettrodomestici di gusto rétro che sarebbe sorprendente se non venisse premiato con un Oscar per scenografie e costumi.

Il film è ambientato su Terra 828, omaggio al mese e al giorno di nascita di Jack Kirby. I Fantastici Quattro sono in attività da 4 anni, sono gli eroi ufficiali degli USA, i beniamini della città di New York e oggetto di celebrazione in un talk show simile a quelli di Ed Sullivan o Johhny Carson. L’incidente che gli ha conferito i poteri durante il loro viaggio nello spazio ci viene narrato solo attraverso le immagini di repertorio trasmesse alla tv. Mentre Reed Richards e sua moglie Susan scoprono di aspettare un bambino, la città riceve la visita dell’araldo di un essere cosmico al di là del bene e del male, afflitto da una fame eterna, giunto sulla Terra per divorarla: Galactus.
Il soggetto del film adatta brillantemente un super classico di Stan Lee e Jack Kirby come la Trilogia di Galactus ibridandolo con un altro capolavoro del duo, Che ci sia… la vita!, ma di più non diciamo per non rovinare il gusto di una eventuale visione. La resa sullo schermo del villain cosmico (interpretato da Ralph Ineson) è straordinaria, e anche la Shalla-Bal/Silver Surfer di Julia Garner (con una CGI più rifinita rispetto al trailer rilasciato mesi fa) fa la sua ottima figura. Non diremo come, ma il contestatissimo gender swap del personaggio si rende necessario per lo sviluppo della storia.

Ma se la confezione e gli effetti speciali sono eccellenti, non è da meno la prova dei quattro membri principali del cast, affiatato come una vera famiglia. Pedro Pascal è un Reed Richards razionale, un genio a suo agio con la scienza ma molto meno nel comunicare le sue emozioni. Un ritratto di Mr. Fantastic molto simile alla sua controparte a fumetti classica. Joseph Quinn è il Johnny Storm/Torcia Umana sbruffone ma generoso che tutti amiamo, mentre una CGI perfetta dà le giuste sembianze alla Cosa di Ebon Moss-Bachrach. Finalmente Ben Grimm appare sullo schermo in maniera corretta, in tutta la sua drammatica umanità. Peccato che nella versione doppiata del film, a cui abbiamo assistito, la performance di Moss-Bachrach vada del tutto perduta.
E poi c’è Vanessa Kirby, che è assolutamente perfetta nel ruolo di Susan Storm. La sua è la prova migliore del cast, un’interpretazione eccellente con cui abbraccia con convinzione il ruolo di First Lady del Marvel Cinematic Universe. La Sue della Kirby (nomen omen) è la Sue di John Byrne: non Ragazza ma Donna Invisibile, forte e determinata, cuore pulsante e collante del gruppo, di cui è il vero leader. E madre che non si ferma di fronte a nulla per proteggere suo figlio. Senza dubbio la migliore interpretazione al femminile mai vista in un film Marvel.

Fantastici Quattro – Gli Inizi è la seconda uscita, insieme a Superman, di un “dittico ideale” che in questa estate del 2025 si incarica di riportare la fantasia al potere e il “sense of wonder” in un genere in difficoltà, quello del cinefumetto. Con un risultato finale che, ne siamo sicuri, avrebbe deliziato e commosso gli stessi Stan Lee e Jack Kirby, il “King”, a cui finalmente viene dedicato un sentito omaggio prima dei titoli di coda.
Ci sono voluti diciassette anni, ma meglio tardi che mai.
Voto: 8