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Redazione Comicus

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Canicola

  • Pubblicato in Focus


La canicola è il periodo più caldo dell'anno, che va da fine luglio a fine agosto. L'estate, per i più, è legata all'idea fanciullesca delle vacanze, del mare, dello svago, ma in realtà è anche l'afa opprimente, il bagliore accecante del solleone che, impietoso e senza compromessi, surriscalda ogni superficie. La Canicola è il lato più estremo dell'estate, non per forza negativo (senza quel caldo opprimente non ci sarebbero i bagni e le granite e le cene all'aperto), ma non sempre piacevole. E questo per me è Canicola (la rivista e il gruppo): il lato urgente e inquieto, del fumetto, per questo necessari al fumetto.
Il mondo dei comics italiani è piccolo e tende sempre troppo spesso a implodere sotto il suo stesso peso, ben vengano quindi alternative che sfuggono all'attrazione gravitazionale dell'autoreferenzialità. Canicola prende posizione senza porsi come alternativa a niente. "I fumetti si possono fare anche così" ci dicono. Ma quel così non vuole elevarsi a norma, è solo "noi facciamo i fumetti così". Un punto di vista, una riflessione. Canicola ha dimostrato che si possono fare fumetti "alti" e "altri" semplicemente con una visione e la voglia di metterla su carta.

Il gruppo e la rivista Canicola nascono assieme nel 2005 e sono un tutt'uno. La rivista sembra infatti un monografico del signor Mario Canicola perché, per quanto gli stili divergano, la prospettiva appare la stessa. Tutte le diversità sono unite dalla stessa spinta: indagare il segno e con il segno, trasformare il tratto stesso in sostanza narrativa. Una scelta che sacrifica la storia (o almeno la trama) e talvolta rende proni a indulgere nell'illustrazione fine a se stessa, ma che ha anche regalato gioielli in cui il disegno e scrittura si bilanciano e dialogano.



Impossibile non citare a questo punto Brodo di Niente di Andrea Bruno, serializzato su Canicola (n° 1-4) e poi raccolto in volume, che è riuscito a far aprire gli occhi anche alla giuria dei primi Gran Guinigi di Lucca, premiando Bruno come miglior autore unico nel 2007. Ma non è la sola perla: Vita Immaginaria di Paolo Uccello di Giacomo Nanni (n°4), The Party di Alessandro Tota (n°5), 12/12/2012 di Giacomo Monti (n°5)… solo per dirne alcune. E senza contare ospiti d'onore quali Gipi (n°3) e Marco Corona (n°5), che alla rivista non hanno dato i fondi di cassetto, anzi. E oltre agli autori del gruppo, Canicola ha fatto un lodevole lavoro di "scouting" stanando autori internazionali molto interessanti come Chihoi e Marko Turunen, di cui Canicola ha pubblicato due volumi.
Ce n'è per tutti i gusti, o meglio, per molti gusti: non si tratta di fumetti che cercano le grandi platee. Sono certo che in tanti rimarranno interdetti se non infastiditi nel vedere, ad esempio, le tavole di Amanda Vähämäki, piene di cancellature, segni incerti di matita, sporcature. Ma sono altrettanto sicuro che molti riusciranno a vedere la ricerca, la sensibilità, e perché no la poesia, che c'è dietro.
Per fortuna c'è chi non fa fumetto per tutti e permette al linguaggio fumetto di andare un po' più in là (ovunque questo là sia).

Facciamo due parole con Edo Chieregato, coordinatore editoriale, con Liliana Cupido, di Canicola.

Non so quanto sia ufficiale, e in caso smentiscimi, ma da quel che ho capito Canicola cambia: il gruppo cessa di esistere ma la rivista continua. Si può dire che state passando dalla dimensione di collettivo a quella di etichetta?

Etichetta è una bella parola… e sono belle le etichette. Ne sono sempre andato pazzo, soprattutto di quelle adesive. Nella casa dove abitavo prima, avevo fatto una collezione di quelle della frutta, appiccicate lungo il telaio della porta del balcone. Ma l’etichetta della Ferrero Rocher per me rimane un classico. Bah… Canicola cambia, o meglio si evolve. C’è stata molta energia tra il gruppo prima di nascere ed è durata per molto tempo. Una cosa rara e difficile da gestire tra soggettività complesse. Ma da più di un anno siamo andati avanti un po’ per inerzia, mal gestendo il progetto nel suo complesso. Le singole personalità sono cresciute ma si è perso l’obiettivo comune. Penso sia normale. Adesso l’idea è quella di lavorare come area, cioè come gruppo molto allargato. Non so se “etichetta” sia la parola giusta, mi spaventa l’idea di “classificazione”, di marchiare qualcosa di abbastanza preciso. È più stimolante l’idea di “comportamento” che ci sta dietro a questa parola. L’area a cui pensiamo non ha stili o narrazioni definite, è qualcosa di altro, di non etichettabile si può dire?

Trovo lodevole la vostra voglia di confrontarvi con l'Europa, a partire dalla brillante idea di "sottotitolare" le storie con la traduzione a pié pagina (a proposito: a chi fare i complimenti?) e continuando con mostre un po' in tutta Europa, specialmente in festival poco conosciuti in Italia come ad esempio San Pietroburgo, Lucerna, Amburgo. E l'Europa dimostra di apprezzare, tanto che ad Angouleme 2007 avete vinto il premio per ma miglior BD Alternative. Siete però i soli in Italia a tentare davvero un dialogo con quanto avviene Oltralpe: secondo te come mai? È il vostro approccio ad essere più in linea con le tendenze europee o semplicemente siete i soli ad esservi scrollati di dosso il provincialismo italico?

L’idea forte di Canicola è stata sviluppare un progetto, autoprodurselo in libertà e mirare alto. Voglio dire, abbiamo fatto sul serio, non solo come autori. È stata anche una grande fortuna quella di poter mettere in campo tante competenze diverse. Canicola non ha inseguito niente, particolari tendenze, mode o altro, ognuno ha raccontato e disegnato come meglio poteva. Anche per la prima volta. Monti, Setola, Tota, Vähämäki, hanno praticamente iniziato con la rivista, in totale libertà ma con la sana tensione che le esperienze come questa possono dare. Il dialogo con le realtà internazionali è venuto naturale, ma lo abbiamo cercato. Non siamo stati ad aspettare.



Alcuni degli autori esteri pubblicati su Canicola sono anche stati ospitati da BilBolBul (Chihoi, Marijpol, Anders Nilsen,…), una sinergia dovuta alle contingenze immagino, ma credi che sia possibile creare circolo virtuoso tra rivista e festival? Credi che un rapporto tra una pubblicazione e un evento possa essere una via per lanciare o rinforzare realtà indipendenti come Canicola?

Bologna è una miniera in termini artistici, culturali e produttivi. Tutto quanto c’è in città può arricchire il festival e, in qualche modo, riceverne beneficio. Quello che mi stupisce è che, nonostante la ricchezza che tutti conosciamo, ci siano pochissime realtà indipendenti, anche di giovanissimi come ad Helsinki o Amburgo ad esempio. È pazzesco. La peculiarità più forte di BilBolBul, come per Canicola, penso sia la volontà di indagare gli autori e la loro ricchezza. Un evento culturale come il festival può sicuramente fare molto per l’editoria indipendente, ma ancor prima di rinforzare questo o quell’editore, dare visibilità a questo o quell’autore, associazione, collettivo, penso che possa creare una situazione di confronto, soprattutto per gli artisti più giovani, che hanno la possibilità di, come dici bene tu, scrollarsi il nostro provincialismo indefesso. Ma è bene non tirarsi troppo la zappa sui maroni. Le esperienze di Inguine, Canicola, Self Comics, Cani, e poi Ernest, Monipodio, hanno fatto molto bene in questi ultimi anni. È emersa anche da noi una alternativa espressiva possibile. Ora la luce più forte arriva dai Superamici e non è un caso che BilBolBul abbia affidato a loro l’immagine dell’edizione del 2009 e relativa mostra in piazza per il centenario del personaggio BilBolBul. Circolo virtuoso? Vampirismo?


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Luca Vanzella

Monipodio!

  • Pubblicato in Focus



Monipodio è, secondo il dizionario della Real Accademia Spagnola, "un incontro tra persone che si incontrano per cospirare a fini illeciti". Nome perfetto per un collettivo di fumettisti, converrete con me. Ma quell'aria di pirateria e Caraibi evocata dal nome non deve far pensare all'underground ruspante o all'arrembaggio politico. Quello che ha sempre caratterizzato il gruppo Monipodio! è stato un approccio molto "concettuale" all'autoproduzione. Nulla, almeno a prima vista, è stato lasciato al caso, a partire da un'immagine coordinata (è il caso di dirlo) studiata ed efficace. Gli autori (citiamo qui lo zoccolo duro: Armin Barducci, Hannes Pasqualini, Marco K Polenta, Matteo Cuccata, Mara Mauro) si sono cimentati soprattutto con gli aspetti più formali del linguaggio fumetto, prima lavorando sulla struttura della tavola e successivamente ragionando sulla forma della storia e del formato che li contiene. L'idea del collettivo altoatesino (eh sì, si fanno fumetti pure lì) è stata quella di trasformare la tradizionale rivista da semplice antologia a un unico "oggetto fumetto" in cui i racconti si legassero e intrecciassero tra loro in modo sempre più coeso. Purtroppo il continuo rilancio verso una maggiore complessità e la voglia di progetti sempre più ambiziosi sono risultati fatali per il gruppo che, a questa Lucca Comics & Games 2008, ha dichiarato ufficialmente lo scioglimento. Monipodio! è stata un'esperienza molto interessante nel panorama indipendente italiano, e chi volesse intraprendere la dura strada dell'autoproduzione dovrebbe confrontarsi con questo progetto, ahimè prematuramente scomparso.

Facciamo due chiacchiere con Armin Barducci, uno dei fondatori.

Non posso che partire dalla più classica delle domande: com'è nato Monipodio!?

Diciamo che non è nata a caso. Ai tempi avevamo un associazione (Nebula 7) di fumetto. Per metà appassionati/lettori, per metà disegnatori/operatori. Quest'ultima metà, nello specifico io e Hannes Pasqualini, voleva creare qualcosa sulla carta, anziché organizzare eventi. Mi ricordo che una sera andai a casa di Hannes e gli dissi: "Facciamo una di quelle riviste di fumetti sporche, brutte e cattive in stile anni '70!". Lui annuì ed era cosa fatta. Il numero zero di Monipodio! era molto lontano da quelli che abbiamo realizzato poi. Innanzitutto era una normale antologia tematica che raccoglieva gli autori che abitavano in Alto Adige. Con una certa gioia abbiamo scoperto che alla fine, in questa terra di nessuno, brancolavano nel buio un bel po' di persone che avevano il fumetto in testa, ma che non potevano condividere questa passione dato che non si conoscevano tra di loro e si sentivano un po' abbandonati dalla collocazione regionale. Il numero ZERO, come dicevo, era più simile ad una fanzine che ad una rivista. Formato A5, fotocopiato con copertina in serigrafia.

Dopo l'esperienza del numero ZERO, io e Hannes abbiamo creato una redazione assieme a Matteo Cuccato, Marco K Polenta e Mara Mauro. Abbiamo cercato di darci un'impronta concettuale che man mano, negli anni, si è affinata e concretizzata.

Monipodio! è nata per necessità... potevo scrivere soltanto questo, no?

Da quel che ho capito, con questa edizione di Lucca Comics&Games è stata posta la parola fine all'esperienza Monipodio!. Si tratta della fine della realtà come antologia ed etichetta di fumetti o proprio della fine del gruppo? Porterete avanti progetti nati sotto il nome Monipodio!, come ad esempio le comic battle?

La fine di quest'esperienza è stata, secondo me, una naturale conseguenza dell'unione di diversi fattori individuali che si sono accavallati in ognuna delle anime che compongono la redazione. Negli anni, Monipodio! è cresciuto parecchio e si stava cercando di proporre qualcosa che non fosse una semplice antologia (inoltre Monipodio! non è mai stata una rivista). Il progetto del 5° numero era veramente ambizioso e coinvolgeva troppe persone. Nel frattempo non riuscivamo più a coordinarci tra di noi, figuriamoci coordinare gli autori esterni. Poi c'è da considerare che abbiamo una cosa chiamata "lavoro normale" e "vicende personali" che non ti permettono di avere il tempo necessario per creare qualcosa. Dato che Monipodio! era sempre in costante evoluzione (concettualmente), non eravamo disposti a semplificare il progetto e fare un passo indietro. Così, tra una cosa e l'altra, sono passati due anni senza una nuova pubblicazione cartacea. Quindi, per onestà diciamo che il viaggio finisce qui.

Le iniziative collaterali come la Comic Battle, sono entità che funzionano separatamente da Monipodio!. Sono nate all'interno del progetto, ma possono tranquillamente sopravvivere indipendentemente.

Quali sono, se si possono dire, i fattori hanno portato alla chiusura? Semplice stanchezza o sono intervenute considerazioni più generali sul ruolo dell'autoproduzione?

Come dicevo, il problema era quello di essere ambiziosi e di non avere più tempo a disposizione. In questi anni sono successe parecchie cose. Monipodio! è stato anche per alcuni di noi una piattaforma per lanciarsi nell'editoria ufficiale (ahi, ahi, ahi). In questi due anni di nulla (non nullafacenza, ma un nulla organizzativo) si sono sottolineate le varie divergenze di vedute sul progetto in sé. Ognuno della redazione usava Monipodio! per scopi diversi. Questa diversità di vedute e di approcci ha cominciato a pesare molto sulla serenità del gruppo. C'è chi l'ha percepita di più, chi meno. Ad un certo punto non si è più in grado di affrontare l'ennesimo compromesso. Quindi, in amicizia, basta così. Il progetto finisce qua.

Beh... potevamo continuare anche a fare nulla senza sfaldare il gruppo.

Poi, magari tra 10 anni, quando avremo bisogno di soldi, organizzeremo una bella reunion di Monipodio!. Eh eh eh...

Vorrei un po' elencare i vostri meriti: tra questi c'è di sicuro quello di aver fatto apparire Bolzano nelle mappe del fumetto italiano. So che siete molto attivi - organizzate corsi, incontri e altro - e mi chiedevo come avesse reagito il territorio: del resto prima di voi non c'era praticamente nulla...

La scena locale mi interessa molto. Ho come un'ossessione di dover conoscere per forza TUTTI gli operatori del settore dell'Alto Adige. Una cosa che non riuscirò mai a fare, dato che ciclicamente ogni 6 mesi spunta fuori qualcuno di nuovo che fa fumetti e che da una vita vive a Bolzano. Non è del tutto vero che a Bolzano non ci sia stato nulla, è vero che negli ultimi 10 anni l'attività più conosciuta al di fuori della regione è la nostra. C'è da dire che esistono parecchie cellule dormienti, quegli autori che operano in silenzio e che poi scopri abitare dietro casa tua. Un esempio: poco fuori Bolzano abita Andrea Cagol, colorista del terzo volume di Skydoll. Un mostro.

Altro merito è stato senza dubbio quello di ragionare in modo inedito e interessante sul formato rivista. Dopo i primi numeri "classicamente" antologici vi siete orientati verso forme più inedite: il numero 4, da tema il viaggio, mostra il tentativo, a mio giudizio riuscito, di amalgamare i contributi in un'unica struttura narrativa. Se non ricordo male avevate anche espresso il desiderio di realizzare "romanzi grafici collettivi". Pensate quindi che il formato rivista debba spingersi nella direzione di un "monografico fatto da tanti autori"? Quali direzioni avrebbe potuto prendere la rivista Monipodio!?

Noi abbiamo peccato e per questo ci siamo persi. Non so se la nostra formula di intendere il fumetto sia inedita, forse no, forse sì. Il problema è che in Italia qualsiasi cosa che non sia canonica è inedita. Abbiamo una lunga tradizione di fumetto classico e seriale. Basta dare un'occhiata al di fuori dei nostri confini per vedere cose meravigliose, inedite, forme più avanzate che rompono con un nonnulla gli schemi tradizionali del fumetto.

Il "romanzo grafico collettivo"... non starai mica parlando di graphic novel?! Sì? Allora la smetto subito... eh eh eh, scherzo. Il termine mi piace, anche se non è corretto. Preferirei chiamarlo "Racconto Grafico Collettivo". Ciò che facevamo erano racconti. Brevi o lunghi e collettivi. Quello che poteva succedere con Monipodio! era, a livello organizzativo, troppo complicato. Ma fattibile. Si trattava di creare una grande storia-manifesto dell'indipendenza/autoproduzione legata al fumetto e alla musica. Utilizzando la piattaforma della rete abbiamo contattato autori esterni (ed interni) e li abbiamo fatti mettere in contatto con realtà musicali di tutto il mondo. Dovevano fare un reportage sul loro approccio di fare musica. Il tutto veniva incorniciato con una sorta di DIY music awards cartaceo. Il tutto con CD allegato. Volevamo anche organizzare concerti e portare i vari gruppi musicali stranieri in Italia. Sarebbe stato fantastico.

Avevamo per le mani un ragazzo americano che faceva musica elettronica sui Transformers, un gruppo hip hop palestinese, un musicista minimalista giapponese, un compositore di musica 8bit di Bologna... e molti altri ancora.

Peccato.

Sicuramente la vostra presenza ha contribuito, assieme ad altre, a dare maggior attenzione all'autoproduzione (basti notare che ora ogni manifestazione ha il suo angolo dedicato agli "indipendenti"). Come vedete il futuro delle piccole produzioni italiane? Sono destinate a crescere ancora in visibilità?

Io credo che il nostro contributo (assieme agli altri vecchi volponi dell'autoproduzione) l'abbiamo dato. In questi 5 anni di attività sembra quasi che ci sia stata la necessità di molte persone di autoprodursi. È un fatto curioso. Che ora a Lucca e a Napoli ci siano gli spazi per queste realtà è un'occasione da sfruttare finché dura. Questo è il messaggio alle nuove realtà che stanno nascendo. Fatelo! Auto-producetevi!

Per quanto mi riguarda, il mio cuore rimane qui, tra la micro e autoproduzione. Al freddo, all'aperto.

Ho in mente un nuovo progetto, ma è troppo presto per parlarne. Magari la prossima Lucca.


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Luca Vanzella

Zero Tolleranza

  • Pubblicato in Focus


Una crescita esponenziale nel numero di pagine, di autori, di copie. "Zero Tolleranza - immagini che producono azioni" (edito da BeccoGiallo) è il quinto volume prodotto per lo Sherwood Comix, la tre giorni di fumetto durante il festival di Radio Sherwood e segna un traguardo importante. Se il primo volume, "Comix against Global War", era un albo autoprodotto con sei brevi racconti, quest'ultimo “Zero Tolleranza” è un tomo di ben 320 pagine con 38 storie, regolarmente distribuito in libreria di varia. Una progressione passata per varie fasi, ma sempre in crescita per qualità e quantità, che testimonia l'ottimo lavoro svolto dai curatori Claudio Calia e Emiliano Rabuiti, non ultima la loro abilità di muoversi nelle terre fluttuanti dell'"altro fumetto".
L'idea di sviluppare temi "socio-politici" (la guerra, il precariato, l'immigrazione...) va di pari passo con il tentativo di dare visibilità al sottobosco delle piccole produzioni italiane. Con questo “Zero Tolleranza” e con il precedente “Resistenze - cronache di ribellione quotidiana” hanno infatti creato due "atlanti" (o forse elenchi del telefono, vista la mole) delle realtà indipendenti, autoprodotte e underground della penisola. Un "sottobosco" fertile e fruttuoso vista la qualità media delle storie. Certo, non mancano gli scivoloni, ma ben vengano volumi come questi.

Parliamo del volume e dell'esperienza Sherwood Comix con Emiliano Rabuiti, uno dei curatori del progetto, che tiene la rubrica "Invisibili-fumetti autoprodotti, clandestini e laterali" sul mensile “Scuola di Fumetto” e la rubrica “Vie d’uscita” sul mensile “La Nuova Ecologia”; ha collaborato con articoli, interviste, recensioni con “Fumo di China”, “Hamelin”, “La Nuova Ecologia”, “TerzOcchio” e collabora con il Centro Fumetto Andrea Pazienza in varie forme, tra cui l’organizzazione della mostra/catalogo “Futuro Anteriore” al Comicon di Napoli

Partiamo dal principio, ossia dal titolo: Come mai "Zero Tolleranza"? E in generale, oltre alla più o meno stringente attualità degli argomenti, come sono stati scelti i temi delle varie raccolte?

“Tolleranza Zero”, "Zero Tollerance" in inglese, fu un'espressione coniata dall’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani con la quale buona parte dei politici si riempirono e riempiono tutt'ora la bocca. Nessuna tolleranza contro tutto ciò che è diverso, tutto ciò che non rientra nell’estabilishment. "Zero Tolleranza" è quindi un ribaltamento, un titolo volutamente provocatorio, di pancia, proprio come manifesta insofferenza all’ignoranza e all’ipocrisia di razzismo, proibizionismo, politiche repressive, riduzione delle libertà individuali e dei diritti civili; quasi uno slogan: “intolleranti alle intolleranze”.
Ogni anno abbiamo cercato di dar voce alle principali campagne portate avanti in quel periodo dai movimenti che per comodità possiamo chiamare “no-global”. Quindi la guerra “globale e permanente” (contro l’idea che le guerre possano essere “umanitarie”); il precariato, in ambito lavorativo e più genericamente esistenziale; il razzismo, la xenofobia e di denuncia dei CPT-Centri di Permanenza Temporanea; la resistenza partigiana e le resistenze dei giorni nostri. Se pensi alle tematiche dei volumi in questi cinque anni ti rendi poi conto che le problematiche purtroppo non sono “scadute”, mantenendo tutte quelle storie sempre attuali.
Io e Claudio abbiamo suggerito il tema ai singoli autori, che ovviamente hanno avuto massima libertà di interpretazione seguendo perciò ognuno il proprio stile grafico e comunicativo, la propria poetica: storie che vanno dal comico al surreale, dal grottesco al non sense, dal racconto diretto e realistico alla fantascienza, dal paradossale alla storia di attualità o di taglio giornalistico.
E poi “Zero Tolleranza” è un omaggio all’omonima canzone di Assalti Frontali, gruppo che io e il “socio” Caludio Calia amiamo molto.

Come vi siete trovati a lavorare con Radio Sherwood, co-editore dei progetti? Ci sono mai state critiche per essersi appoggiati a una realtà così apertamente attiva e schierata politicamente?

Beh, a lavorare con Radio Sherwood ci siamo trovati benissimo: quando abitavo al nord era la mia area politica di riferimento… Claudio abita a Padova e milita attivamente con la Radio, dunque è stato naturale per noi realizzare lo Sherwood Comix. Qualcuno ha cercato di muovere qualche sterile polemichetta, accusandoci appunto di non rappresentare l’antagonismo a 360°, dicendo che avremmo dovuto dare spazio a “tutti”, magari ad autori di destra. Un’accusa che non sta in piedi proprio perché dietro c'è una precisa e esplicita scelta di prospettiva. E poi noi con fascisti o robaccia simile non vogliamo aver nulla a che fare.

Come siete arrivati a produrre un volume di oltre 300 pagine che coinvolge una quarantina di autori? Come mai vi siete spinti verso una sempre maggiore foliazione? Ha giocato in questa scelta la sempre maggior popolarità del formato "graphic novel"?

È stato in realtà un normale evolversi di un progetto, nato e portato avanti con passione da me e da Claudio, il desiderio cioè di creare delle raccolte con contributi di autori che stimiamo e di cui apprezziamo il lavoro. Di autori validi in Italia ce ne sono parecchi e ci piaceva cercare di dare almeno in parte una panoramica di ciò che si muove nel fumetto autoprodotto e indipendente italiano. Idea che hanno apprezzato anche le case editrici con cui abbiamo collaborato e, con la prospettiva di arrivare anche alle libreria di varia, il formato libro era quello più appropriato. Dopotutto l'idea è quella di raggiungere anche un pubblico di lettori non abituali di fumetto. Non per niente Sherwood Comix è nato in un contesto non esclusivamente fumettistico: quello dello Sherwood Festival di Padova, il festival musicale estivo più grande e importante del Veneto.

Riguardo alla scelta degli autori so che non ci sono mai stati grossi problemi tra te e Claudio, ma immagino che alcuni autori siano dovuti rimanere "fuori" perché non disponibili o irraggiungibili. C'è qualche autore che avreste voluto includere nelle raccolte ma che non è potuto esserci? Avete avuto mai la tentazione di chiamare qualche nome più "mainstream"?

Qualche contatto l’abbiamo preso con qualche autore più noto, però quasi nell’ambito di un fumetto non commerciale, o comunque non solo mainstream. Alcuni per impegni non hanno potuto partecipare, come Paolo Bacilieri o Leo Ortolani; altri hanno realizzato le copertine, come Aleksandar Zograf, Danijel Zezelj, Davide Toffolo e Marco Corona; alcuni hanno contribuito una volta, come Mauro Cicarè o Sergio Ponchione; altri hanno collaborato con noi più volte, come il grande Massimo Semerano (anche in coppia con Paolo Di Orazio). Ma appunto come Sherwood Comix ci interessavano e ci interessano principalmente gli autori del variegato mondo dell’autoproduzione o della piccola editoria indipendente. Esperienze come quelle dei Cani o di SelfComics, Canicola, Ernest, Superamici, Centro Fumetto Andrea Pazienza, per fare qualche esempio di realtà anche differenti, ma sempre comunicanti tra loro.

Una cosa che colpisce sempre molto delle raccolte che curate è il poter vedere autori all'opera su temi che normalmente non affrontano (almeno non in modo diretto), e di riflesso rendersi conto di quanti pochi autori si cimentino abitualmente con la non-fiction. Questo mi sembra curiosamente in contro-tendenza con quanto avviene oltralpe e al di là dell'atlantico dove il reportage, il carnet di viaggio, la biografia, l'autobiografia ecc. sembrano le linee di riferimento. È solo una mia impressione o anche secondo te gli italiani sono degli inguaribili "romanzieri"?

Mah, non saprei. Forse hai ragione tu a definire gli autori italiani come degli inguaribili romanzieri, però è anche vero che da noi gli autori devono sgomitare per conquistare spazi e dunque la libertà creativa spesso, e purtroppo, passa in secondo piano. Ecco perché sono sempre convinto che nell'autoproduzione si trovino le novità più stimolanti: l'autore realizza ciò che desidera raccontare, senza imposizioni di linee editoriali. In realtà anche nei nostri volumi non manca di certo la fiction: le storie in essi contenute, ci tengo a dirlo, non sono bollettini di uno schieramento politico, cosa che non ci interessa molto a dir la verità, ma visioni e letture di autori, anche politicamente differenti tra loro, ma che guardano il mondo dal basso e da sinistra. Ed ecco appunto storie strampalate, fantascientifiche, grottesche o non-sense a fianco di storie di cronaca e di commento socio-politico.

Questi 5 albi sono un osservatorio privilegiato sul panorama del fumetto indipendente/autoprodotto. Trovi che qualcosa sia cambiato in questi 5 anni? La nascita di nuove realtà editoriali piccole e potenzialmente interessate a storie e segni più di ricerca sta togliendo ossigeno all'autoproduzione in senso proprio? La dimensione del do-it-yourself è destanata a un momentaneo accantonamento? In generale che scenari intravedi per il panorama indipendente prossimo venturo?

Purtroppo non ho la sfera di cristallo! No, dai, in realtà non credo che l'autoproduzione sia destinata a scomparire o entrare in crisi, rimarrà sempre un ottimo mezzo, per chi ama raccontare delle storie a fumetti, per realizzarle senza costi eccessivi e per far circolare il proprio lavoro. E dunque per farsi conoscere. Anzi, le realtà che dici tu possono invece essere un ulteriore stimolo per gli autori ad autoprodursi, farsi conoscere e magari pubblicare successivamente con una di queste piccole realtà editoriali.
In generale credo che il fumetto indipendente continuerà ad esistere sempre, magari in forme differenti, ma ci sarà sempre. Se pensiamo agli ultimi 6-7 anni abbiamo visto il (ri)fiorire di autori che si mettono assieme, fondano qualche gruppo, realizzano i propri fumetti e li fanno circolare.

Nella postfazione al volume annunciate un cambio di direzione del progetto, prospettando un possibile mutamento in chiave di rivista. Che cosa vi attrae di questo tipo di formato? In generale, al di là della forma editoriale, che direzione pensate di dare agli albi dello Sherwood Comix?

Anche qua avrei bisogno, per darti una risposta certa, della sfera di cristallo. In realtà quella della rivista è una delle idee su cui stiamo, io e Claudio, riflettendo. Cioè, quello che ci interessa, una volta ritenuto "sdoganato" il fumetto come mezzo di racconto della realtà, è trattarlo alla stregua degli altri linguaggi, creando un ambito in cui molti altri "linguaggi" (pittura murale, saggi politici, fumetti e quant'altro) possano trovare un luogo comune dove presentarsi ed essere presentati. Ma non è l'unica idea su cui stiamo riflettendo.
L'unica certezza che abbiamo ora è che vogliamo cercare di "rinnovarci", trovare cioè un'altra formula per continuare a fare lo Sherwood Comix e mantenere sempre un'aurea di novità.
Una cosa pressoché certa è che vorremmo, per il prossimo anno, ripubblicare in un volume da fumetteria e libreria i primi due albi autoprodotti, “Comix against global war” e “Vite precarie”, aggiungendo una decina circa di storie nuove che riprendano le tematiche degli ultimi 3 volumi: razzismo e cpt, le resistenze dei nostri giorni e l'intolleranza agli intolleranti.
Per il resto… vedremo!

Per approfondire, uno "speciale" sul blog di Andrea Plazzi (autore della prefazione).

Zero Tolleranza - immagini che producono azioni (Becco Giallo, brossurato, 320 pagine in Bianco e nero, €16,50)

Gli altri volumi: “Comix against Global War” (autoproduzione Radio Sherwood, 2004); “Vite Precarie” (autoproduzione Radio Sherwood, 2005), “Fortezza Europa-storia di mura e di migranti” (Coniglio Editore, 2006), “Resistenze – cronache di ribellione quotidiana” (Becco Giallo, 2007) e “Zero Tolleranza - immagini che producono azioni” (Becco Giallo, 2008).


Claudio Calia: http://nuvoleonline.splinder.com/
Sherwood Comix: http://www.sherwood.it/Sherwood-Comix-Festival-2008


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Luca Vanzella

Ernest,

  • Pubblicato in Focus



Ernest,

Ernest, Ernesto, Ernst. Non c'entra Che Guevara, poco Max Ernst ma di più Hemingway. Di sicuro c'entra Oscar Wilde: L'importanza di chiamarsi Ernest vuol dire l'importanza di essere Franco, diretto, onesto.

Ma per quanto l'onestà non sia in dubbio, Ernest, (con la virgola) è un etichetta di fumetti niente affatto immediata e diretta. Le loro copertine, ad esempio, non hanno le immagini: solo carta monocroma con i titoli su etichette Dymo. Una scelta di stile (e stilososa) che invoglia ad aprire l'albo e a scoprire le storie. Un’attenzione alla superficie, ma non alla superficialità, che ben rappresenta lo spirito dell’etichetta.

Un’attitudine estetica che si concretizza anche in illustrazioni (come l'ottimo carnet de voyagenewyorkese di Davide Toffolo), gadget (i celeberrimi bottoni/spilla), formati bizzarri (il racconto di Sara Pavan sui tramezzini ripiegato a forma di tramezzino), banchetti modulari (le gorilla box dell'archietto Giuseppe Carletti). La virgola dopo Ernest, rappresenta questa possibilità di espansione in altre direzioni (musica? foto? vestiti? vedremo...), anche se il fumetto rimane il baricentro del progetto.

Gli autori coinvolti sono, chi più chi meno, al confine della maturità artistica, a un passo dal trovare una voce importante ma già interessanti e personali. E qualcuno la maturità l'ha trovata: Francesco Cattani ha vinto il premio per la miglior storia breve al Napoli Comicon con Barcazza. Un attestato non da poco. Ernest, appare un progetto compatto, nonostante l’eterogeneità delle persone coinvolte: si passa dal comico/geometrico di Lise&Talami, allo Shodo metropolitano di Vincet, all’immaginificità di Laura Camelli, alla secchezza di Sara Pavan. Storie diverse, che partono da realtà diverse e da visioni quasi antitetiche, ma che sembrano avere qualcosa di impalpabile in comune.

Per cercare di afferrare quel quid che riesce a dare un’unicità a voci tanto differenti, ho pensato di fare un ritratto di questi autori. Dopotutto Ernest è un nome di persona, e sono proprio le persone e le loro relazioni a creare quell’unicità. Poi ho pensato che sarebbe stato ancora più interessante far ritrarre a ciascuno dei membri di Ernest, un loro “collega”.

Cliccate l’illustrazione realizzata da Laura Camelli per leggere questa sorta di catena di ritratti in cui, spero, si riuscirà a cogliere quel qualcosa che rende Ernest, una delle realtà più interessanti del panorama indipendente italiano.

http://ernestvirgola.blogspot.com/


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Luca Vanzella
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