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Alberto Palazzolo

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La rabbia, recensione: la passione contro la violenza

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La rabbia ti acceca, ti fa perdere la ragione, ma altre volte, quando sai come incanalarla, quintuplica la tua forza di volontà e ti permette di reggere l'urto della vita.
Quello che Salvatore Vivenzio e Gabriele Falzone presentano nel loro libro per Shockdom, intitolato proprio La Rabbia, è una passione che soverchia l'asprezza della vita; un'ostinazione che è capace di sfogare, resistendo a un ambiente poco incoraggiante per un giovane. La "periferia", incarnazione della società oppressa dalla povertà della malavita, torna ad essere protagonista di una storia di riscatto, secondo un modello molto in voga negli ultimi anni in tutti i media.

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L'ambientazione è quella di Quindici, comune in provincia di Avellino famoso per fatti di camorra (primo comune sciolto in Campania per mafia), che viene raccontato con spunti autobiografici da Vivenzio, nato e cresciuto nel piccolo comune. Cesare è il protagonista, un ragazzo che vive da solo con la madre, la quale, dopo una parentesi lavorativa in Germania, torna nella sua città di origine. Quindici è un territorio dall'alto tasso di criminalità, di cui è stato vittima lo stesso padre di Cesare.
Tra i primi amori e le amicizie del paese, lo sport diventa per Cesare la distrazione dall'asprezza di quel pezzo d'Italia sommerso. Con un chiaro riferimento alle storie di Pino Maddaloni o Clemente Russo, il pugilato è la leva che permette di levare dalla strada quei ragazzi a rischio, per indirizzarli sulla via dello sport e soprattutto della legalità; Cesare scopre la boxe e se ne innamora, il suo desiderio di combattere per sé, la sua arroganza, vengono incanalate per un fine.

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Ma come è vero che il lupo perde il pelo ma non il vizio, così l'uomo non cambia mai del tutto. Quel ragazzo rimane sfrontato, non accetta i consigli del maestro che lo ha accolto, non è in grado di capire i suoi veri limiti e preferisce tornare su quella strada che aveva cercato di abbandonare, per poi ritrovarsi scottato. Una scelta sbagliata cambia la vita di Cesare.
Nonostante fosse dato per sfavorito, grazie alla sua rabbia vince l'unico incontro che avrebbe dovuto perdere. Vince eppure è sconfitto, perché ciò che abbandona è la sua vita nella sua città, accanto a sua madre, che lo ha sempre appoggiato; mentre cerca di fuggire verso un'altra Italia, non è la volontà di abbandonare quella vita non tanto semplice a guidarlo, ma il desiderio di continuare a vivere per, forse, chissà, un giorno tornare.

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Questo è il finale aperto di una storia costruita non tanto sul pugilato, ma su uno scorcio di "periferia" italiana, con un occhio autobiografico che rende quel racconto riconoscibili a molti. Una storia in cui l'alternarsi degli episodi è frammentario, saltando da un avvenimento all'altro per raccontare Cesare e la sua rabbia: la narrazione presenta alcuni buchi forse, tra alcuni episodi, ma riesce a portare su carta e trasmettere il disagio di una povertà di spirito che pervade la cittadina di Quindici, tra agguati mafiosi e risse da strada. Una narrazione a cui fa da contrappunto un'illustrazione in bianco e nero molto precisa, in cui le ombre creano un'atmosfera polverosa e misera, parecchio adatta al tipo di storia.
Falzone, che campano non è, ha utilizzato molte referenze visive azzeccatissime, per rappresentare una cittadina di provincia, seguendo perfettamente la scrittura di Vivenzio. L'immersione nei luoghi è notevole, anche per chi non li conosce di prima mano, ma è facile immaginare tutti gli ambienti di questa Quindici, che sicuramente un cittadino riconoscerebbe al volo.

Berlino 2.0, recensione: la città delle opportunità

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Da decenni, perfino da secoli, la Germania, anche quando ancora non esisteva come nazione, è il centro culturale europeo e in questa Berlino ha sempre occupato un posto di primo piano. Dalla filosofia naturale al romanticismo, dalle avanguardie alle nuove correnti politiche del '900, la Germania si è sempre dimostrata aperta alle novità, con l'efficienza tipica che il luogo comune attribuisce ormai al tedesco. Perfino oggi, in pieno rivoluzione globalista ed europea, la nazione si erge a guida dei paesi dell'Unione, tra critiche più o meno aspre di suprematismo economico. Berlino ritorna capitale culturale continentale, città artisticamente in continuo divenire, sede di centinaia di start up tecnologiche: è quello che si direbbe un ottimo luogo per un giovane laureato che cerca un lavoro nel settore culturale. Se non fosse che il settore è colmo di operatori e che le nuove società nate da poco non riescono a garantire veri e propri stipendi ai suoi dipendenti.

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In questa cornice viene ambientata, dal duo di autori Alberto Madrigal e Mathilde Ramadier, la storia intitolata Berlino 2.0, un libro, pubblicato in Italia da Bao Publishing, che porta il lettore alla scoperta del moderno mercato del lavoro berlinese, ma anche dell'ambiente artistico e giovanile cittadino, tra gentrificazione, impoverimento e migrazione. La protagonista è Margot, ventitreenne francese che da Parigi si trasferisce in Germania per terminare i propri studi di filosofia e nel frattempo trovare impiego. La Ramadier, scrittrice francese operante a Berlino e alla sua prima opera a fumetti, sembra condividere con la protagonista del suo libro alcuni caratteri che non è difficile immaginare autobiografici, frutto di esperienze reali che l'autrice ha avuto nel suo soggiorno tedesco. Ad accompagnarla in questa produzione, al comparto artistico troviamo Madrigal, autore spagnolo anch'egli con sede a Berlino, che ha già affrontato in passato lavori che indagavano il mondo del lavoro giovanile nell'Europa delle frontiere aperte. Lo spagnolo si presenta con un tratto ricco ma allo stesso tempo parco in dettagli: se le strade cittadine sono estremamente caratterizzate graficamente, insieme agli ambienti, spesso i volti dei personaggi rimangono solo abbozzati, perdendo di espressività. Ad aiutare il lettore nell'interpretazione della scena interviene la colorazione pastello, piatta ma ombreggiata, opera dello stesso Madrigal, che rendono la storia semplice e veloce da leggere.

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Il libro copre le vicende della protagonista in un arco breve di tempo, tra il suo arrivo in città, la ricerca di un lavoro e i relativi problemi nel trovalo. Si tratta di un excursus nel mondo giovanile tedesco, tra le piccole necessità di tutti i giorni, qualcosa che tocca da vicino anche i giovani italiani: le difficoltà nella scelta della carriera, stipendi miseri, contratti poco rispettosi, scarsa previdenza; ma qui ci troviamo in Germania, quello che è considerato da molti un paese guida nel campo del lavoro e delle politiche; in realtà il paese sta affrontando problemi di occupazione giovanile. Non si tratta di mancanza di posti in sé, ma di una forma di contratto definito “mini job”, spesso usato dalle start up che, vista la mancanza di una normativa tedesca sul salario minimo, si possono permettere di pagare giovani lavoratori come per un part time pur se impiegati tempo pieno. Una realtà in cui la protagonista si ritrova e a cui dovrà adattarsi, oppure tentare la fortuna e cercare qualcosa di migliore, ma raro e meno sicuro da ottenere.

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Berlino 2.0 porta con sé l'analisi della capitale tedesca e dei suoi cittadini, attraverso gli occhi di uno straniero che vi ha messo radici; qualcuno con una diversa cultura, e quindi diversi occhi, che porta un'analisi senza filtro di una città spesso idealizzata e che permette, attraverso esperienze di prima mano, di mostrare la realtà oltre il mito: il sogno di un futuro, ma anche le catene della società, tra problemi legati alle norme sul lavoro e la previdenza, la carenza di alcuni diritti, e il poco rispetto di altri. È il tentativo di portare una nuove voce, una nuove esperienza, nella conoscenza comune del luogo, di ribaltare l'ideale, rendendolo più vicino al reale, senza però snaturarlo, ma filtrandolo attraverso gli occhi di chi ancora non conosce e cerca di imparare come costruirsi un futuro.

A.D. - After Death, recensione: L'angosciante vita del dopo morte

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La Cura per la morte: un sogno di molti. L'incipit di parecchie fantasie. Il terrore per chi la morte l'ha sconfitta da secoli.
A.D. - After Death è l'opera del duo Scott Snyder e Jeff Lemire, pubblicata in Italia da Bao Publishing, che prova a spiegare al lettore il rapporto inevitabile tra la vita e la morte, attraverso un racconto di crescita e introspezione, la comprensione del proprio posto nel mondo, del proprio scopo e dei propri desideri.
Quello che il lettore si trova davanti è un libro lontano dalle aspettative di “fumetto”. L'azione narrativa si blocca a pochi momenti, scanditi da corpose pagine di prosa accompagnate da alcune illustrazioni. Il racconto della vita del protagonista, Jonah Cooke, è racchiuso in questi capitoli necessari alla comprensione degli intermezzi a vignette che danno una visione del presente del mondo di fantasia. Si tratta di limitate pagine a fumetti, che, come in un circolo, portano il lettore alla scoperta del loro significato solo attraverso la completa lettura della prosa, che permetterà di chiudere e poi collegare i due piani, uno prettamente diacronico, e l'altro frutto di episodi significativi del passato. Cosa che rende questo un ibrido tra un racconto a fumetti e un romanzo illustrato.

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La parte visiva è sicuramente potente nel suo adattarsi all'atmosfera della storia, ma la scrittura che Snyder mette in scena eclissa il resto: le pagine di prosa sono non soltanto necessarie, ma innalzano dando significato al complesso, con una grande potere emotivo. Lemire dal canto suo si esercita in una prova pittorica comunque all'altezza, dai colori pastello, a momenti anche molto forti ma non invasivi, in grado di lasciare posto al bianco senza veramente sentirne la “mancanza”; il tratto dell'illustratore segue lo stile di colorazione, tremulo, indeciso, ma riccamente dettagliato, soprattutto nei volti di primo piano, ricchi di espressività ed emotività.
Proprio l'emotività è componente centrale tra tutte le pagine: il vissuto acquista valore nel ricordo, qualcosa di passeggero nella comunità che ha vinto la morte; un luogo in cui si può vivere in eterno, è vero, ma a patto di abbandonare alle proprie spalle le memorie, perchè il cervello umano non può gestire infiniti pensieri.

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Superare le parti in posa può essere difficile per chi non si aspetta sezioni tanto estese; ma in realtà sono queste a fornire la maggior carica emotiva, soprattutto nel comprendere la struggente verità dell'impossibilità di mantenere inalterati i ricordi, celati e conservati dal protagonista per il se stesso futuro in queste pagine di diario. Jonah, attraverso questi racconti, ci parla della sua vita precedente alla cura, del suo hobby di ladro e di come, attraverso alcuni avvenimenti importati, ha preso forma la sua vita, fino a trovare anche lui la Cura. Un evento di giovinezza in particolare lo segna profondamente: la morte della madre provoca in lui uno stato d'ansia nei confronti della fine della vita, così improvvisa e ingiustificata alle volte, tanto da spingerlo ad accettare la opportunità di salvezza che gli viene fornita.
La ricerca della pace con se stessi, l'accettazione di ciò che la vita ci pone davanti, la forza per non lasciarsi sopraffare e andare avanti a discapito di tutto, questi sono i temi che piano piano si sviluppano tra le pagine e nella mente di Jonah. Dopo anni di vita la via verso la felicità sembra preclusa dalla consapevolezza che l'esistenza vissuta a pezzi, solo qualche anno alla volta, per qualcuno che ha davanti potenzialmente l'eternità, manca di qualcosa, una sicurezza e un punto di riferimento stabile. Jonah sente di avere delle colpe da riparare che non è possibile risolvere in questa situazione di stallo eterno.

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A.D. - After Death è un'opera da leggere con calma, per apprezzarne i punti di riflessione, una lettura impegnata ma non complessa. Non bisogna cedere alla voglia di superare velocemente le parti in prosa per ritrovarsi tra classiche pagine a vignette, ci troviamo davanti a un'opera mista decisamente riuscita.

Scalp, recensione: l'arte di Hughes Micol nella violenza del western

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La storia della vita di John Glanton, praticamente sconosciuta nel vecchio mondo, è invece fonte di ambiguità nel nuovo. Il personaggio realmente esistito nell'800 americano, è insieme eroe dell'indipendenza texana e della guerra messicano-americana del 1846, ma anche uno dei più grandi outsider del selvaggio West: alla testa di una numerosissima banda di mercenari, ha dapprima furiosamente difeso le terre messicane dalle razzie apache, per poi cominciare a compiere egli stesso razzie con i suoi uomini durante la famosa corsa all'oro californiano del 1850, fino a diventarne una delle vittime illustri.

Hughes Micol, autore francese parecchio influente nel panorama d'oltralpe, ha nello scorso anno completato una monografia sul personaggio, portata in Italia da Oblomov Edizione, in una delle prime pubblicazioni di questa giovane casa editrice.
Micol si appoggia a un testo non originale per il suo lavoro: una biografia su Glanton redatta da Samuel Chamberlain, cavalleggero dell'esercito americano, arrivato al grado di colonnello, che affermò di aver servito sotto Glanton durante la guerra e poi di averlo seguito nelle sue scorrerie come parte della banda. Micol utilizza proprio l'espediente del narratore interno alla storia, ossia un giovane Chamberlain, per raccontare, seguendo il libro del futuro colonnello, la vita del capo della banda degli scalpi.

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Micol, nell'illustrare le pagine del fumetto, abbandona totalmente la gabbia, per virare verso spash-page che coprono l'intero fronte del foglio. Si tratta per la maggior parte di immagini surreali: piccoli frammenti simultanei, messi uno accanto all'altro, in cui più momenti si aggrovigliano uno sull'altro, facendo perdere anche la bussola al lettore poco attento. Delle orgiastiche illustrazioni, fatte di violenza e massacri, oppure, in senso letterale, di momenti di alcol e sesso, che scandiscono le pagine, intramezzate dal cambio di scena in una più classica rappresentazione fumettistica, senza però mai nemmeno abbozzare una vignetta chiusa da linee. Ciò che balza subito all'occhio è l'aggressività di questi personaggi, che saltano da una razzia all'altra senza sosta e senza che si abbia mai la sensazione di stare assistendo ad un'azione eroica o epica nel classico senso del western. E questo l'autore lo sa bene.
Micol rende ancora più dirompenti le sue figure umane, dando loro delle fattezze anatomiche particolari e sproporzionate per quanto riguarda gli arti e la testa, più grande di quel che nella normalità è. Il tutto vergato da una mano nervosa e violenta essa stessa, con una grande propensione ai neri di impatto.

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Il western che la Oblomov presenta non è un fumetto semplice: non è fruibile facilmente nemmeno dal classico appassionato delle vicende dell'ovest americano; non c'è una vera e propria avventura a cui volersi appassionare, perché simpatizzare per Glanton è quasi impossibile quando se ne conosce la veridicità storica, ma anche perché la vicenda per come viene scandita da Micol perde di riferimenti temporali coerenti, saltando da un avvenimento ad un altro, lasciando dubbi, a cui si aggiungono le difficoltà nel leggere le tavole.

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Questo Scalp è un lavoro interessante, ma che perde la voglia di raccontare qualcosa, il fine di un'opera narrativa, per concentrarsi sulla realizzazione e l'arte in sé: una serie di curiose e affascinanti illustrazioni.
Qual è il punto debole del volume quindi? La narrazione. La vicenda, seppur entusiasmante in potenza, di una figura come Glanton, non è allo stesso livello del lavoro grafico di Micol, probabilmente più a suo agio in illustrazioni singole che non in 190 pagine di graphic novel.

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