Giunge infine la conclusione di una serie che ha fatto incetta di premi, osannata nel mercato mainstream e guardata con interesse anche chi il fumetto delle "big two" americane solitamente lo snobba o più semplicemente lo trova troppo schematizzato, caciarone e noioso.
Partiamo con un dato di fatto: la serie Hawkeye ha portato a casa nel corso dei suoi tre travagliati anni di pubblicazione (il ritardo degli ultimi numeri per permettere a David Aja lo studio del linguaggio dei sordomuti così da poterlo utilizzare nel fumetto diverrà una leggenda sulla follia che alberga negli angoli bui della mente di un disegnatore) svariati premi come l'Eisner Award per diverse volte di fila.
Pop, brillante ed -apparentemente- fresca, la “season one” (com'è oramai di moda considerare questo genere d'esperimenti) di Occhio di Falco è riuscita nel difficile tentativo di ridare charme al personaggio (i cui rari momenti di gloria risalivano oramai alla gestione Brian Michael Bendis dei Vendicatori) e di creare un prodotto interessante non soltanto per i Marvel zombie ma per tutti gli amanti del fumetto in generale. Una serie complessa e difficile che non è succube dell'ipersteroideo dictat del fumetto supereroistico classico in cui tutto esplode con boati sempre più grandi.
Per prima cosa Occhio di Falco si ritaglia una nicchia che solo pochi fumetti negli ultimi anni sono riusciti a guadagnarsi (Thunderbolts di Warren Ellis & Mike Deaodato, Secret Warriors di Bendis, Jonathan Hickman e Stefano Caselli) ovvero il prezioso spazio di un lavoro che vuole e riesce a prendersi gioco dei suoi punti fermi iniziali, capace di abbandonarli e di ritrovare una nuova e più brillante veste per un personaggio (ed uno stile fumettistico) vecchio di una cinquantina di anni.
L'esperimento fatto su Occhio di Falco non è di per sé una novità assoluta (i più vecchi ed appassionati ricorderanno la famosa run di Jim Steranko su Nick Fury uscita negli anni '60, ed ovviamente non avranno esitato a sfoderare il paragone) ed è un fumetto che a seconda della decade in cui sarebbe uscito avrebbe ricevuto diverse accoglienze ma ora, nel 2015, Occhio di Falco è un prodotto originale che attinge dal passato per dare nuovo lustro al presente.
Come possiamo non amare il vecchio Clint che ci presenta Matt Fraction? Occhio di Falco è la sublimazione del fallimento. Clint Barton è l'uomo comune, il colletto bianco degli Avengers: un fallibile signor nessuno in un mondo di Dei e Super Soldati.
L'intuizione di Fraction, è che il personaggio – al contrario di come comunemente potremmo pensare e sarebbe più facile presentarci- è solamente un uomo con un arco. Solo quello. Niente di speciale, magari una mira sopraffina ma non è un caso che la serie si basa su ciò che è clint fuori dal suo “lavoro” di supereroe.
L'intera run prende questo Vendicatore troppo bravo per essere un normale sbirro, ma troppo poco potente per non finire perennemente nei guai seri anche nelle missioni più insignificanti, spogliato dei suoi abiti e catapultato in una dimensione a sua misura fatta di bollette, problemi con ex mogli, femmine fatali e mafiosi dell' est europa.
Tutti (e su tutti questo numero) gli episodi che la pluripermiata coppia Fration e Aja si basano sull'eterno fallire del personaggio, delle sue vittorie a metà e del suo sovraumano ma normalissimo potere di continuare a lottare nonostante tutto: Occhio di Falco è la middle class. Piccole gioie e piccole battaglie in un universo che vede superfamiglie di plurimiliardari con poteri cosmici fronteggiare enità come Galactus il divora mondi.
Barton è l'uomo comune: schiacciato dal peso delle sue scelte (ricordiamo che è lui che dà inizio alla faida con i “Bro”), pressato dalle aspettative altrui (“Hey, ma tu non sei dei vendicatori?”), invischiato in relazioni che non riescono mai ad essere “l'amore della vita” (ogni donna di Occhio di Falco ha verso di lui l'affetto dell'amante ma ancor di più della tutrice, così le ex come quella attuale, che si traducono in rapporti mai maturi abbastanza) ed alle prese con il “futuro” (ovvero la giovane ribelle Kate che meriterebbe più spazio – il suo percorso di crescita si è completato il numero scorso a differenza di quello di Clint che non si chiuderà mai - e le cui avventure in questo numero collimano con quelle di Barton). Questo è il fascino intrinseco delle trame imbastite da Fraction. Un uomo come tanti che, capace di tirare con l'arco, deve fronteggiare i drammi della vita di tutti i giorni e – come se non bastasse, senza la possibilità di riprendersi- deve combattere contro mafiosi e terroristi.
In quest'ultimo capitolo l'universo di Occhio di Falco raggiunge la sua summa della sintesi in una guerriglia urbana nel condominio di cui è oramai “protettore” contro la carica dei Bro e del loro silenzioso sicario. Ancora una volta, laddove altri autori cercano le esplosioni cosmiche le vicende nel nostro si concludono tra le quattro mura domestice... ancora meglio: lo scontro finale è una rissa priva di ogni epicità. Le scelte coraggiose e coerenti del narratore tengono il personaggio in un'ottica realistica e digeribile, cosa altrimenti compromessa se si fosse scelto di scatenare Clint come se fosse un superuomo... ed ancora, il finale agrodolce e rassegnato (l'emblematico addio con l'amato/odiato fratello) e le ultime, meravigliose ed evocative pagine, sono la conclusione perfetta di una saga che ci ha fatto innamorare di uno dei personaggi meno sfruttati dell'universo Marvel. E anzi, il fatto che l'unica ad avere la sfrontatezza e a cui vengono concesse le esplosioni “hollywoodiane” è Kate rende i due personaggi più distanti, di due generazioni differenti. Due Occhio di Falco per due generi di lettori diversi che imparano l'uno dall'altro e convivono con le responsabilità reali e surreali che gli vengono attribuite (o che scelgono): soldi, supernemici, amore, esplosioni cosmiche, bollette, Skrull, fratture, mutanti, problemi di emancipazione... ed il mitico cane Lucky (forse vero outsider del fumetto).
Anni fa (troppi anni fa) si leggevano con gusto i fumetti di Spider-Man perché era un ragazzo speciale ma con “problemi comuni”. Si creava un rapporto tra un personaggio che era un eroe ma che poteva potenzialmente essere anche un lettore, con tutti i problemi che l'adolescente medio poteva ritrovarsi: soldi, amore, bulli e scuola. Sarebbe bello pensare che Fraction abbia scritto il suo Occhio di Falco per quei lettori che, una volta cresciuti, cercassero nuovamente un punto di riferimento.
La narrazione in questa serie è il bagnato sogno del più ispirato Scott McCloud. Lo spagnolo David Aja (due volte premio Eisner) diventa presto la superstar del fumetto e laddove Fraction scrive la sua miglior storia negli ultimi dieci anni e la miglior caratterizzazione di Clint Barton in cinquant'anni di storia editoriale, coglie il guanto di sfida e si supera ogni volta che tocca la matita. Per analizzare il suo lavoro è impossibile limitarsi solo al numero 12. Aja prende a piene mani il concetto di “narrare per immagini” e ci fa quello che vuole, come vuole, tanto che ad un certo punto persino Fraction deve farsi da parte e lasciare il disegnatore a sbizzarrirsi in ogni modo. In un periodo in cui un'unica intuizione decreta il gusto e lo stile del disegno (l'anima) in un fumetto, Aja fa l'impossibile svariate volte inventando di tutto: dal retro pop, all'avventura vista dagli occhi del cane Lucky, agli intervalli con le pellicole in negativo fino ad arrivare agli ultimi numeri in cui – visto che Clint ritorna in parte sordo - le vignette sono intervallate da messaggi rivolti al lettore con il linguaggio delle mani disegnato. Una struttura di vignette che fa impallidire il Miller più spinto, zoomate, particolari, pagine da 19 vignette che avrebbero decretato il suicidio di qualsiasi disegnatore di fumetti ma che Aja affronta a testa alta e petto in fuori creando un prodotto unico. Ogni volta che si legge un volume di Occhio di Falco disegnato da questo genio della matita c'è da ridiscutere l'estetica della vignetta, la composizione della tavola e la suddivisione della storia ed ogni volta Aja ne ha ragione.
Tirando infine le somme questo vecchio (ma nuovo) Occhio d Falco si riconferma nel suo dodicesimo (ed ultimo, sigh!) numero un acquisto necessario a tutto tondo, un anello di giunzione plurigenerazionale tra chi amava i fumetti negli anni 80 e chi ha iniziato a leggerli solo adesso, una serie che è forse non necessaria nell'ottica del Marvel Universe ma un piacere innegabile in un senso più alto di lettura, amore e curiosità verso il fumetto.
Questa gestione di Clint ci lascia con risultati importanti, su tutti un successo di pubblico e critica che raramente concordano, una caratterizzazione seria ed interessante di personaggi come Kate che trovano finalmente una ragion d'essere e un loro posto riconoscibile in un universo che sforna eroine a gogò e, dulcis in fundo il primo, personaggio artisticamente e genuinamente accettabile del grande piano d'incastri di Kevin Feige ed il suo universo cinematografico Marvel espanso (perché si, questo Occhio di Falco è l'Occhio di Falco di Age of Ultron anche se con le dovute differenze è “il cuore umano” degli Eroi più Potenti della Terra).