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Ajin – Demi Human 1

Ajin - Demi Human è un manga scritto da Tsuina Miura su disegni di Gamon Sakurai che in Giappone ha fatto letteralmente furore. Stiamo parlando di qualcosa come 2,5 milioni di copie vendute solamente con il primo volume, quello che trovate in fumetteria grazie a Star Comics, anche in versione con variant cover realizzata da Giuseppe Camuncoli. Un successone quindi questo fumetto, che, almeno a leggere il primo volume proprio non si riesce a capire.
Per intenderci la storia è interessante, il potenziale c’è e lo si percepisce chiaramente, la potenza espressiva delle tavole di Sakurai poi è sicuramente di grande pregio. Ma la narrazione presenta delle forzature, dei difetti, dei passaggi farraginosi introdotti per far salire di giri la trama ed entrare direttamente nel vivo, che sinceramente pregiudicano la lettura dell’opera.

La trama segue le vicende di Kei Nagai, uno studente modello che a poche pagine dall’inizio viene travolto da un camion rimanendo ucciso sul colpo. Tuttavia quello che si scopre è che il ragazzo è un Ajin, ossia un essere immortale, che si rigenera da qualunque tipo di ferita infertagli, per quanto fatale possa essere. Quindi quando il giovane si rialza sul luogo dell’incidente, risvegliando i suoi poteri, viene immediatamente guardato con disgusto dai passanti, tra cui dei suoi compagni di classe. Infatti, come era stato spiegato in classe proprio all’inizio del primo capitolo, questi misteriosi personaggi sono estremamente rari e sebbene siano apparentemente innocui per gli umani, la loro cattura è uno degli obiettivi principali di ogni stato o potenza mondiale, in una sorta di corsa all’oro per poter studiarne la natura tramite crudeli e brutali esperimenti, con tanto di ricompensa economica, si vocifera, per chi riesce a consegnarne uno alle autorità. Comincia quindi una caccia all’uomo senza esclusione di colpi e il povero Kei dovrà chiedere aiuto ad un suo vecchio amico d’infanzia, Kai, unica persona a non giudicarlo e ad emarginarlo per la sua appartenenza a quella spaventosa razza. Ma sulle sue tracce si metteranno anche altri Ajin, interessati alle sue capacità e intenzionati a reclutarlo per scopi malvagi.

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Sebbene la trama sia intrigante, ci sono numerosi aspetti che lasciano interdetti relativamente al modo in cui vengono trattati nel volume. Innanzitutto già suona strano che in una classe di liceali un professore si metta a parlare di queste strane creature senza contesto apparente della sua discussione, che difatti emerge dal nulla e nel nulla termina. In secondo luogo tutti sembrano disprezzare questi esseri, senza che però se ne conosca la vera essenza o natura, ma solo per la loro diversità e per la loro capacità di “resuscitare”, da sempre un invidiabile tabù per l’umanità, religiosamente quanto fisiologicamente parlando. È comprensibile infatti la solita xenofobia razzista mossa dall’incomprensione, dall’ignoranza e dalla paura del diverso, ma un minimo di alternativa di pensiero potrebbe quantomeno essere tollerata in una società civile, invece qui no, tutti contro il povero Kei, ad eccezione di Kai. Anche la stessa famiglia del protagonista, quantomeno la sorella e la madre, non mostrano un minimo di preoccupazione né di apprensione per la sua posizione, anzi, si limitano a condannarne la natura e a tradirlo, rivelando agli agenti incaricati di affrontare questa minaccia informazioni importanti sulla sua fuga. Va bene il cinismo, ma ad un certo punto la cosa diventa ridicola. Soprattutto quando, nelle ultime pagine del volume, dopo essere sopravvissuti agli attacchi di numerosi inseguitori e contendenti della taglia, per creare un hype con tanto di cliffhanger finale, la narrazione subisce degli scatti improvvisi che permettono a Kei di comprendere gli eventi in una maniera deduttiva estremamente forzata, da far impallidire Sherlock Holmes.

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Il ragazzo infatti impara dal nulla a guidare una motocicletta, avendo osservato in precedenza le movenze dell’amico, cosa che neanche l’implementazione della capacità tramite floppy nel cervello di Neo in Matrix avrebbe dato risultati così soddisfacenti. Ma prima della conclusione, riesce anche a dedurre, da un calcolo talmente approssimativo quanto ridicolo che esistono molti più Ajin di quelli effettivamente identificati dal governo, solo facendo una brutale media tra morti annuali in Giappone e morti al minuto e vedendo che i conti non tornano (da notare la presenza di formule a caso, curve demografiche e altri grafici di dubbia interpretazione in sovrapposizione alle figure per dare il senso di un ragionamento profondo, sebben irrealistico data l’età del protagonista). Ma non contento, deduce anche che gli Ajin sono sulle sue tracce, che rapiranno sua sorella, una delle poche persone che sa del suo rapporto con Kai, e che lo contatteranno, anzi che contatteranno il suo amico, per questo gli ruba il cellulare. Infine per concludere in bellezza, decide anche di voler uccidere tutti quelli che tenteranno di far del male agli esseri umani che a suo parere non meritano questo trattamento. Beh, che dire, chapeau!

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La parte grafica è invece molto ben realizzata, con tavole dalla composizione interessante e molto originale, anche ricorrendo spesso alle splash page o a pagine caratterizzate da un’unica vignetta. I disegni puntano molto sul realismo e sono per questo molto dettagliati, soprattutto nelle scene più splatter. Le atmosfere sono cupe, tetre, sono presenti retini molto fitti e dense campiture di nero. A volte però pare che ci siano delle dimenticanze nel riportare l’espressività dei personaggi, soprattutto del protagonista, che in alcune inquadrature non ha sempre la stessa espressione, indipendentemente dalle circostanze narrative.

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Insomma non un’opera particolarmente entusiasmante questo Ajin, almeno a giudicare dal primo volume. La potenzialità per sviluppare una storia coi controfiocchi c'è sicuramente, ma al momento non la vediamo espressa al meglio. Se si sorvolano queste forzature narrative e si considera lo status quo introdotto al termine del tankobon, in cui ci ritroviamo nel bel mezzo degli eventi, potrebbe anche essere che nei prossimi volumi la storia sia molto più godibile e che tolto il dente del dover dare il via alla trama, se ne andrà anche il dolore che ha accompagnato questa scelta. Chi vorrà proseguire lo scoprirà.

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Star Comics: anteprima di A Silent Voice #1

  • Pubblicato in News

Comunicato stampa:

A Silent Voice, il seinen con protagonista il delicato caso della giovane non udente Shoko Nishimiya e il suo quaderno, unico punto di contatto tra lei e il mondo, vi attende dal 7 Maggio in tutte le fumetterie e su Amazon.

La scuola, primo luogo di interazione sociale dell’individuo può insegnare molto sulla vita già dalla tenera età.

Shoya Ishida frequenta le scuole elementari e non sopporta in alcun modo le femmine. Adora invece mettersi alla prova con i compagni maschi, ingaggiando assurde prove di coraggio.

Le cose cambiano quando nella sua classe arriva una nuova alunna, Shoko Nishimiya, una bambina non udente che usa un quaderno per comunicare con gli altri... Shoko viene subito presa di mira dai bulletti della scuola, in special modo da Shoya.

Il ragazzino, però, non può ancora sapere che gli effetti del suo comportamento innescheranno la miccia che sconvolgerà la sua prospettiva sulle cose, stravolgendo il suo futuro e quello della sua compagna...

Il viaggio nella vita di Shojia Ishida e Shoko Nishimiya ha inizio.

SFOGLIA ON LINE le prime pagine di A silent voice 1 disponibile in tutte le fumetterie e Amazon dal 7 Maggio.

Info serie: A SILENT VOICE 1 di Yoshitoki Oima - 11,5x17,5, B, 192 pp, b/n, Sovracoperta, € 4,90. Disponibile in tutte le fumetterie e Amazon dal 7 Maggio.

www.starcomics.com

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Maison Ikkoku 1

Rumiko Takahashi di sicuro non ha bisogno di presentazioni e non per nulla viene definita spesso la “regina dei manga”; se si dà anche solo una veloce scorsa alla lunga lista di opere da lei realizzate si trovano lavori che hanno segnato la produzione letteraria fumettistica nipponica, e non solo, in maniera molto profonda; dai classici e intramontabili Lamù e Ranma ½, ai toni più avventurosi e shonen di Inuyasha e del più recente e ancora in corso Rinne, la quantità di temi, generi, atmosfere e ambientazioni, e la qualità con cui essi vengono affrontati dalla Maestra mantenendo sempre un tratto caratteristico e identificativo del suo stile unico, l’hanno di certo consacrata come una delle autrici che hanno reso grande la nona arte del Sol Levante.

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Ed è grazie alla Star Comics che possiamo apprezzare in Italia, nella bellissima Perfect Edition, il manga Maison Ikkoku, in una versione riveduta, corretta e ammodernata rispetto alla sua prima edizione nostrana sempre a cura Star (1998-2000), che rappresenta una delle opere dell’autrice più sentimentali, dolci e meglio realizzate, ma soprattutto con una conclusione degna di tale nome -a differenza di Ranma e Lamù-, che funge da pilastro imprescindibile della moderna commedia degli equivoci. Si tratta di una storia d’amore della classica tradizione manga, fatta di tribolazioni infinite, incomprensioni, patemi di cuore, romanticherie e altri aspetti che seppur sdolcinati, non ammorbano assolutamente la freschezza, la spontaneità e la fruibilità dell’opera, in quanto vengono trattati con grande maestria e sensibilità dall’autrice che prova definitivamente le sue eccezionali abilità narrative, condendo il tutto con la sua spiccata capacità di creare situazioni imbarazzanti, doppi sensi e giochi di parole ed equivoci erotici.

E la grandezza dell’opera risiede prevalentemente nella capacità di costruire una storia che sebbene risulti vintage dal punto di vista artistico, almeno agli occhi di un lettore abituato alle produzioni più recenti, a livello di trama e tematiche mantiene una modernità intrinseca che la svincola dalle contingenza temporale di creazione, ossia l’inizio degli anni ’80, sviluppando una narrazione matura, più da seinen, che travalica gli incasellamenti di genere, superando il confine limitante al solo pubblico femminile dello shōjo, ed ampliando il suo target coinvolgendo anche la fetta maschile di mercato. Ricordiamo anche che dalla serie è stato tratto un anime in 96 episodi nel 1986, portato in Italia nel 1993 in due stagioni con il nome di Cara dolce Kyoko, che ora è distribuito in Home Video da Yamato Video.

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La trama dell’opera è quindi molto conosciuta nel nostro Paese, soprattutto ai trentenni che più sono riusciti godersi l’ondata di anime che ha proliferato negli anni ’90 sulle reti televisive italiane. Per ripercorrerla in maniera sintetica, la storia ruota attorno alle comiche e spesso assurde vicende degli inquilini del Ikkoku-kan, una pensione giapponese che ospita un campionario a dir poco bizzarro di personaggi. Partendo ovviamente dai protagonisti troviamo Yūsaku Godai, giovane studente universitario, senza un soldo e spesso fallimentare nello studio, e la giovane vedova Kyoko Otonashi, bellissima amministratrice dello stabile di cui Godai si innamorerà a prima vista. Ad essi si aggiungono Akemi, una ragazza di certo non pudica, sempre intenta a provocare lo studente con abiti succinti, che lavora come cameriera in un locale del Tokyo; Hanae Ichinose, una casalinga non più tanto giovane che adora sparlare e spettegolare sul prossimo, che vive insieme al marito, che non si vede mai, e al figlio Kentaro di 10 anni; Yotsuya, un personaggio difficile da decifrare, di cui si sa poco ma che è sempre pronto a far scherzi a Godai e ad approfittarsi di tutti. Ad essi si aggiunge anche un rivale in amore come il bellissimo e ricchissimo istruttore di tennis del quartiere Shun Mitaka, che darà del filo da torcere allo sfortunato universitario.

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Una cosa che ben si nota è che seppur la storia sia prevalentemente incentrata sulle vite dei due protagonisti, le vicende degli altri personaggi non sono per nulla secondarie e il loro ruolo nella commedia è essenziale per dar vita ad una serie di eventi che permetta l’avanzare della trama. La loro caratterizzazione peraltro non è per nulla superficiale e viene approfondita e portata avanti dall’autrice per tutta l’opera, arrivando a una chiusura anche per i loro percorsi narrativi.
E il creare personaggi anagraficamente più anziani di qualche anno rispetto ai classici adolescenti liceali che ammorbano gli slice of life odierni, permette all’autrice di trattare con una certa coscienza aspetti più maturi come il matrimonio, la perdita di una persona amata, l’idealizzazione dell’amore e della persona che ne è oggetto, le responsabilità associate alle azioni e alle dichiarazioni, la necessità di stabilità economica, le sfide e le difficoltà della creazione di un nucleo familiare.

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Passando alla parte grafica, non possiamo far altro che constatare la bellezza, la genuinità e la morbidezza del tratto, tipico della produzione orientale anni ’80 come l’Orange Road di Izumi Matsumoto o il Touch di Mitsuru Adachi. Le tavole in scala di grigi sono realizzate con grande perizia e anche la composizione stessa della pagina è ben studiata per far terminare la gag umoristica o lo scambio di battute principali alla conclusione della stessa; spesso viene sfruttata anche una struttura più dinamica e meno formale, con figure dal grande dinamismo che da sole occupano gran parte dello spazio a disposizione. Ritroviamo poi il classico tratto deformed quando vengono portate in scena delle scenette comiche in cui i personaggi hanno sempre delle reazioni esagerate e completamente fuori dalla norma, che vengono magicamente rese proprio con questo accorgimento stilistico. Sottolineiamo poi la presenza di una forte componente maliziosa ed erotica, che ha reso grande l’artista in opere come Lamù e Ranma, che viene introdotta in modo mai volgare e con una dolcezza spesso unica.

Non ci resta quindi che consigliarvi assolutamente questo capolavoro intramontabile, vero gioiello della narrativa contemporanea che verrà apprezzato da ogni buon lettore. L’edizione, come accennato in precedenza, è molto curata, con brossura e alette in terza e quarta di copertina, quest'ultima in carta ruvida di buona grammatura, e carta opaca tendente al panna per le pagine interne. La foliazione elevata permette di gustarsi molti capitoli in ciascun volume, prolungando così la lettura in attesa dell’uscita del seguente tankobon a cadenza mensile. Non fatevelo sfuggire per nessun motivo, ne rimarrete affascinati.

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Ryuhei Tamura in Italia, intervista al papà di Beelzebub

Durante la convention fumettistica Napoli Comicon 2015 abbiamo avuto il piacere di incontrare il mangaka Ryuhei Tamura, autore del noto Beelzebub (pubblicato in Italia da Star Comics), e di scambiare quattro chiacchiere con lui. Ecco qui di seguito la nostra intervista.

Intervista realizzata da Gennaro Costanzo con la collaborazione di Giorgio Parma e Pasquale Gennarelli. Si ringrazia la Star Comics e Mari Nakagawa per il supporto.

Salve Ryuhei, benvenuto su Comicus!
beelzebub comicusCome è stato l'impatto con l'Italia in questi giorni di fiera? È la prima volta che vieni in questo Paese?
Sì, è la prima volta che vengo in Italia. Prima di venire in questo Paese, in particolare a Napoli, ho fatto diverse ricerche in Giappone e ho trovato moltissime informazioni negative sulla città, e sulla pericolosità della stessa, ed avevo un po' paura di venire qui. Ma poi mi sono trovato davvero molto bene, Napoli è una bellissima città, molto affascinante. Anche il cibo italiano è fantastico.

Iniziamo subito con una domanda relativa all'opera magna da lei realizzata che si è recentemente conclusa: Beelzebub. Come è nata l'idea di questo manga? Aveva già in mente la conclusione sin dall'inizio o si è delineata con il procedere della storia?
Sì, prima di iniziare la serializzazione del manga già avevo pensato ad una possibile conclusione dello stesso, ma solo vagamente. Volevo scrivere sicuramente fino alla sua conclusione la storia di Beel e Oga, ma non avevo pensato esattamente a come farla terminare. Questo anche perché i manga che vengono pubblicati su Shonen Jump sono molto influenzati dai voti dei lettori, e se manca un buon riscontro l'opera viene rimossa dalla rivista, quindi molti manga finiscono anche i 10 capitoli, mentre quelli che hanno successo continuano anche per molti anni. Quindi era anche inutile pensare già alla conclusione ad inizio serializzazione.

Come si riesce a padroneggiare così tanti tipi di personaggi completamente diversi come la gothic lolita Hilda, il donnaiolo e totalmente degenerato Takayuki Furuichi, lo stesso delinquente Tatsumi Oga o Hidetora Tōjō, senza renderli semplici macchiette? Ha seguito delle linee guide o dei modelli d'ispirazione? Ci sono stati dei modelli di riferimento per il character design?
Non sono così bravo a disegnare ogni singolo personaggio, però per esempio nel caso di Hidetora Tōjō, che doveva risultare un uomo molto forte, ho cercato di descrivere in modo molto netto e chiaro le sue principali caratteristiche, disegnandolo con un fisico possente, imponente. Nel caso di Aoi Kunieda invece dovevo rappresentare una ragazza carina e quindi il suo design è stato improntato principalmente su quello, mentre per Tatsuya Himekawa mi sono divertito moltissimo a realizzarlo, soprattutto per via del ciuffo Pompadour, che era molto difficile da realizzare ma davvero divertente.

Una delle caratteristiche più importanti di Beelzebub è la capacità di alternare atmosfere comico-demenziali a momenti più seri e riflessivi, passando per scene di vita quotidiana e tratti estremamente adrenalinici e action. Quali di queste parti sono state più impegnative da scrivere? Le gag comiche le vengono naturali oppure c'è un grosso studio anche dietro di esse?
Io stesso mi stanco facilmente di continuare a leggere sempre scene comiche, quindi mi viene proprio voglia di cambiare atmosfera. Quando da piccolo leggevo i manga vedevo che era così che si realizzavano le storie e quindi ho imparato anche io a farlo. Lo stesso lettore si stanca a leggere sempre le stesse cose. Quindi ho alternato scene comiche a molta azione. Mi piace scrivere entrambe, ma sono quelle comiche che mi vengono più spontanee e quindi sono più facili per me da scrivere.

L'opera è stata tradotta non solo in Italia, ma anche in altri Paesi al di fuori del Giappone. Quando realizza una tavola tiene conto della esportazione eventuale dell'opera al di fuori del Sol Levante? Questo fattore influenza la scelta di alcune scene per tenere conto di un pubblico diverso da quello nipponico?
Quando ho iniziato a scrivere il manga non avrei mai minimamente pensato di poter essere pubblicato all'estero. Quindi disegnavo principalmente pensando per i lettori giapponesi, non ci ho mai fatto attenzione.

Ci può dire la scena che più le è piaciuto scrivere e che ricorda con maggiore piacere e il motivo di questa scelta?
La scena che mi è piaciuta di più è quella in cui Hilda perde la memoria e quando si sveglia fraintende la situazione e pensa di essere la moglie di Oga. Questa scena piace a molti non solo a me.

Ci sono degli scrittori particolari a cui si ispira a livello di sceneggiatura o degli artisti che ammira e che l'hanno ispirata particolarmente?
Sicuramente Akira Toriyama e il suo manga Dragon Ball hanno avuto un fortissimo impatto su di me.

Ora che è terminata la sua opera principale, è già al lavoro su qualche altro progetto? Potrebbe rivelarci qualcosa?
Sto ancora pensando a quale possa essere il mio nuovo lavoro. Ma quello che vorrei fare è creare un'opera che non tradisca i lettori di Beelzebub nel senso che voglio mantenere l'atmosfera comica tipica della commedia ma vorrei anche inserire altri elementi per non annoiare i lettori.

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