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Crossover 1 e 2, recensione: l'opera meta-fumettistica di Donny Cates

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Il crossover, ovvero l’incrocio narrativo che porta personaggi titolari di serie diverse a essere parte della stessa storia, è uno degli espedienti maggiormente utilizzati nel mondo dell’entertainment. Nato con finalità prevalentemente commerciali, sfrutta il forte richiamo che l’incontro/scontro tra varie icone dell’immaginario popolare esercita non solo sui fan, ma pure sul pubblico più generalista. Diffusissimo nel fumetto supereroistico fin dalla Golden Age, è stato frequentemente impiegato dalla Marvel - e a partire dagli anni Ottanta anche da altri editori (DC in primis) - per cementare la propria continuity, diventando in tempi più recenti, l’asse portante dei cosiddetti “eventi”, saghe a lungo respiro che le due major americane propongono quasi a scadenza regolare, nella speranza di rinvigorire collane in declino, per riportare sotto la luce dei riflettori personaggi un po’ trascurati o, banalmente, per offrire al pubblico trame dirompenti e di ampie proporzioni che possano mantenere sempre vivo l’interesse verso determinati character.

Tali operazioni spesso, in realtà, non incidono più di tanto sulla “vita” dei protagonisti o addirittura tradiscono quelle che erano le premesse originali. Ciò nonostante, non si può negare che i crossover costituiscano ancora un’attrattiva irresistibile per i lettori. Non sorprende, quindi, che un vero appassionato come Donny Cates abbia deciso di dedicare proprio ai crossover una delle sue ultime fatiche, tanto da usare il termine stesso come titolo della serie. Questa – pubblicata negli USA dalla Image e raccolta in Italia dalla Saldapress in bellissimi volumi cartonati – è, tuttavia, molto più che un semplice omaggio alle iperboliche scazzottate tra eroi, villain ed esseri cosmici di smisurata potenza, che sono solite riempire le pagine di quegli albi legati tra loro, principalmente grazie alla straordinaria creatività che lo sceneggiatore texano esibisce tutte le volte che è libero di muoversi oltre i confini imposti da Marvel e DC. In questi casi, il nostro Donny si trasforma in un vulcano in eruzione da cui fuoriescono idee a ripetizione, che in parte rivelano anche la sua voglia di scardinare alcune regole della letteratura disegnata apparentemente inviolabili, pur senza rinnegare mai l’indirizzo popolare della sua scrittura, la quale resta costantemente lontana da ogni velleità autoriale e ben ancorata a uno spirito bonario, che nulla ha a che fare con l'estremismo trasgressivo di Garth Ennis o con l’acida irriverenza dell’ultimo Alan Moore.

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Eppure, le sequenze iniziali della serie potrebbero persino avere il sapore del déjà vu, dato che - evento catastrofico a parte – mostrano l’inspiegabile arrivo dei personaggi dei fumetti nel mondo reale, una trovata indubbiamente singolare, ma già esplorata da altri in passato (si pensi, per esempio, a 1985 di Mark Millar e Tommy Lee Edwards). Ciò nondimeno, quella che in principio sembra anche una stramba denuncia del razzismo e del cristianesimo oscurantista dell’America profonda, viene presto impreziosita dall’inconfondibile tocco del giovane scrittore trasformandosi in un gioco meta-testuale in piena regola dove il termine crossover cambia rapidamente di significato, passando dal suddetto incontro tra esseri umani e personaggi dei fumetti (surrealmente distinguibili dalle persone in carne e ossa perché “colorati” in bassa qualità con la tipica retinatura dei vecchi comic book), al classico incrocio tra eroi di collane diverse, fino ad arrivare all’ingresso nella trama di character di altri autori (su tutti Madman di Mike Allred, i detective Chris Walker e Deena Pilgrim protagonisti di Powers di Brian Michael Bendis e Michael Avon Oeming e un cattivone molto popolare – soprattutto grazie alla TV - di cui non riveliamo il nome per non rovinare la sorpresa a chi ancora non si è avvicinato alla serie) e, inaspettatamente, alla comparsa di Cates stesso e di alcuni suoi illustri colleghi che diventano addirittura parte del cast dei comprimari della vicenda (omaggiando e, forse, prendendo amabilmente in giro gli ultimi numeri dell’Animal Man di Grant Morrison).

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È sicuramente questa - almeno per quanto si è visto sinora – il passaggio più divertente dell’opera, sebbene il lungo preambolo iniziale, necessario a introdurre i protagonisti e a definire lo scenario, sia tutt’altro che trascurabile, essendo illuminato fin dalla prima vignetta dal brio dell’autore texano, al solito abilissimo nel dosare avventura, commedia (di frequente appannaggio dello spassosissimo Dottor Blaqk, già apparso in altri titoli di Cates e divenuto ormai molto più che una semplice parodia del Dottor Strange) e melodramma. Poi però, dopo il gustoso interludio scritto da Chip Zdarsky che, con grande autoironia, scherza sul suo pseudonimo (il cartoonist canadese si chiama in realtà Steve Murray, ma pure gli addetti ai lavori spesso se lo dimenticano), facendo prendere vita al suo alter-ego artistico, il lettore viene trascinato in una farsa delirante, in cui la vicenda perde progressivamente ogni traccia di verosimiglianza. A questo clima goliardico - che sembra voler fare il verso a quello che si respira nel dissacrante Airboy di James Robinson e Greg Hinkle - si uniscono entusiasticamente anche Bendis, Oeming e Robert Kirkman che, similmente a Zdarsky, utilizzano le loro creazioni più famose per farsi beffe di sé stessi. E, nel generale vortice autocitazionista, la parte del leone spetta ovviamente a Cates che, con la sua abituale sfrontatezza, si ritaglia un ruolo determinante nella trama. Sorprendentemente, tuttavia, il suo veniale narcisismo non penalizza assolutamente lo scorrere degli eventi i quali, anzi, finiscono per risultare persino più appassionanti agli occhi del pubblico, a dispetto di alcuni snodi narrativi che – a onor del vero - vengono parzialmente sacrificati nella seconda metà della serie.

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Per dare vita a questa innocua ma piacevolissima follia, l’autore di Buzzkill e God Country si affida ancora una volta alle matite di Geoff Shaw (sostituito in brevi intermezzi da Oeming e Phil Hester), il quale ripaga l’amico con una prova più ispirata del solito, che è pure il sintomo evidente di una maturità artistica ormai prossima per il disegnatore americano. Eliminato il tratteggio spigoloso e un po’ sporco dei suoi primi lavori, Shaw fonde brillantemente il dinamismo del fumetto supereroistico moderno a un’espressività dei volti tendente al caricaturale (soprattutto quelli maschili), uno stile che esalta l’anima avventurosa della vicenda ma che, contemporaneamente, evita di far passare in secondo piano l’approccio parzialmente umoristico voluto da Cates. In aggiunta, la costruzione delle tavole è estremamente variabile e segue alla perfezione il ritmo imposto dalla trama, con un’alternanza di splash-page e di pagine fitte di vignette che separano in maniera netta i passaggi più concitati da quelli più riflessivi. L’artista di Denver, oltretutto, pare aver acquisito una maggiore dimestichezza con le ombreggiature, le inquadrature dei personaggi e i dettagli degli sfondi, il che – grazie anche all’ottimo lavoro di Dee Cunniffe ai colori - garantisce un preciso allineamento dei disegni ai frequenti cambi di registro emotivo presenti nella sceneggiatura.

Che altro dire? Nulla se non che attendiamo con ansia di leggere il prossimo story arc, il quale si preannuncia ancora più deflagrante dei due pubblicati finora. Non trattenete il fiato nell’attesa, però. Cates è impegnato in così tanti progetti, che non sembra intenzionato a tornare molto presto alla sua strampalata meta-creatura.

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Primo sguardo a Daredevil #650

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Il numero 2 della nuova serie di Daredevil di Chip Zdarsky e Marco Checchetto sarà anche il #650 della testata secondo la numerazione legacy, ovvero tenendo conto di tutte le precedenti numerazioni della collana.

Daredevil #650 era stato originariamente annunciato dallo stesso Zdarsky nell'agosto 2021, mentre la storia si stava avviando verso l'evento crossover Devil's Reign recentemente concluso. Originariamente, il numero sarebbe dovuto coincidere con il 38 della sua serie, ma il titolo è stato rilanciato nel frattempo con un nuovo numero 1.

Per quanto riguarda i contenuti di Daredevil #2/#650, la Marvel ha annunciato tutta una serie di autori coinvolti tra cui Rafael DeLatorre, Alex Maleev, Paul Azaceta, Phil Noto, Chris Samnee, Klaus Janson e Mike Hawthorne, insieme ad altri non ancora svelati.

Di seguito, alcune tavole non letterate ad opera di Marco Checchetto e Rafael DeLatorre. Daredevil #650 uscirà il 17 agosto, con cover di Checchetto, Bill Sienkiewicz, Gary Frank e Pete Woods.

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Chip Zdarsky sarà il nuovo sceneggiatore di Batman

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Chip Zdarsky prenderà il posto di Josh Williamson come nuovo sceneggiatore di Batman a partire dal numero 125 del 5 luglio, che per l'occasione sarà doppio. L'albo darà il via a un arco narrativo di sei numeri intitolato "Failsafe" che introdurrà una nuova misteriosa minaccia per l'eroe.

A unirsi a Zdarsky ci sarà Jorge Jiménez, che ha già lavorato sulla serie.

Zdarsky non è estraneo a Batman, avendo recentemente lanciato il titolo Black Label Batman: The Knight, illustrato da Carmine Di Giandomenico.

Lo sceneggiatore, attualmente a lavoro su Daredevil della Marvel, ha affermato che ha intenzione di restare a lungo sulla testata e che le sue idee si espanderanno a tutti i titoli della linea di Batman.

"Quando la DC mi ha contattato per scrivere Batman, ho subito pensato a cose che potevano davvero sfidare il personaggio mentalmente, fisicamente e in termini di relazioni", ha dichiarato Zdarsky. "Failsafe è il suo Doomsday. Quando ho iniziato a tracciare la storia, ero davvero entusiasta di dove avrebbe potuto portare la serie".

Ovviamente, la run di Batman di Zdarsky verrà lanciata subito dopo Justice League #75 di maggio, in cui la storia "La morte della Justice League" darà vita a un nuovo scenario per la DC Comics portando all'evento Dark Crisis.

Di seguito le prime immagini di Batman #125 di Chip Zdarsky e Jorge Jiménez con le variant di InHyuk Lee e Simone Di Meo.

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Spider-Man: L’ombra del Ragno, recensione: e se Peter Parker diventasse Venom?

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Il concetto di What If…? nasce in Marvel nel 1977 grazie all’omonima serie durata 47 numeri. L’idea alla base era semplice, ovvero esplorare realtà in cui gli eventi chiave del suo universo narrativo si svolgessero in maniera differente. Ad esempio, cosa sarebbe successo se il ragno non avesse morso Peter Parker? E se invece che zio Ben il ladro che il giovane Peter lasciò andare avesse ucciso sua zia May?
Il concetto, declinato a tutti i personaggi, è stato proposto ai lettori in diverse incarnazioni: una seconda serie di 114 albi dal 1989 al 1998 e poi in miniserie, speciali e tanto altro fino ad oggi quando la Marvel, forte anche del successo dell’omonima serie animata su Disney+, ha deciso di rilanciare What If…? con una nuova formula: non più serie regolari, non più one-shot, ma miniserie che possano sviluppare in più albi quelle storie che generalmente si esaurivano nelle canoniche 22 tavole. Ad aprire le danze troviamo Spider-Man: L’ombra del Ragno di Chip Zdarsky e Pasqual Ferry, serie in 5 albi raccolti ora da Panini Comics in un volume unico.

Per riallacciarsi alla trama imbastita da Zdarsky bisogna fare un salto indietro a metà anni ‘80 quando la saga nota come Guerre Segrete portò i principali eroi Marvel su un pianeta creato dall’entità nota come Arcano. Fu durante questi eventi che Spider-Man adottò per la prima volta il costume nero che, una volta tornato sulla Terra, scoprì trattarsi di un essere vivente che intendeva stabilire una connessione sempre più profonda con il suo ospite. Quando Peter si accorse che il simbionte influiva negativamente sulla sua vita, portandolo a commettere azioni sempre più riprovevoli, decise di separarsene definitivamente, conseguenza che portò poi alla nascita di Venom. Ma cosa sarebbe successo se Peter avesse fatto la scelta opposta, se avesse deciso di non scacciare l'alieno ma di unirsi a lui in maniera più profonda abbracciando definitivamente il lato oscuro? È quello a cui Zdarsky e Ferry danno risposta in questo volume.

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La storia ci mostra un Peter abbattuto e combattuto sul suo ruolo di eroe in un periodo difficile per lui: ha abbandonato gli studi con sua zia May che per questo l’ha allontanato, accusandolo di voler sprecare la sua vita, e MJ ha appena scoperto che lui è Spider-Man. Il simbionte, intanto, gli insinua sempre più dubbi: a cosa serve combattere il crimine se poi i cattivi tornano a scorrazzare liberi poco dopo? Non sarebbe più efficace eliminarli definitivamente?
Mentre indaga sulla natura del proprio costume con l’aiuto dei Fantastici Quattro, un doppio scontro con Hobgoblin porta alla morte di May: è la fatidica goccia che fa traboccare il vaso. Peter decide di tenere il costume e fermare i criminali nella maniera più radicale possibile. Ma uno Spider-Man che oltrepassa il confine diventa un problema per tutti, buoni o cattivi che siano. Lo capiscono fin da subito Jonah Jameson e - soprattutto - Kingpin che, se prima tollerava la presenza di supereroi nella sua equazione criminale, non è disposto a farlo ora quando la loro pericolosità è esponenzialmente cresciuta.

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Se uno dei dogmi della Marvel era quello di non far commettere mai omicidi a Spider-Man, Zdarsky ci svela il lato oscuro di un Peter Parker che cede ai suoi istinti più bassi e primordiali. Lo sviluppo psicologico del personaggio risulta qui graduale e credibile e in generale ben gestito durante tutto lo sviluppo della storia che, dunque, beneficia dei 5 albi a disposizione della nuova formula dei What If...?.
Così come per Spider-Man: La storia della mia vita, Zdarsky parte da eventi già narrati e noti, discostandosene sempre di più man mano che la trama procede. In un certo senso, così come nell’opera precedente, tende però spesso a prendere strade fin troppo derivate e singolari, finendo per tradire un po’ quelle che sono le premesse iniziali. Nel caso de L’ombra del ragno sembra quasi non essersi voluto spingere troppo in fondo portando, da metà racconto in poi, la narrazione su binari superoistici più canonici e concilianti.  Ad ogni modo, l’opera presenta una sua coerenza interna, momenti intensi, alcune ottime intuizioni e uno sviluppo psicologico ben approfondito dei personaggi.

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Altalenante, invece, la prova di Pasqual Ferry che propone ottime tavole ad altre fin troppo scarne e sottotono. Se la costruzione delle stesse funziona comunque dall’inizio alla fine, è principalmente nei volti e nelle espressioni dei protagonisti che l’artista spagnolo non sempre convince e deve ricorrere all’utilizzo del colore di Matt Hollingsworth per donare profondità e tridimensionalità, oltre che a riempire gli sfondi spesso scarni se non del tutto assenti.

Spider-Man: L’ombra del ragno si propone, dunque, come una lettura solida e interessante, che sembra però non voler osare troppo e a cui, in generale, manca quel tocco capace di farle fare il salto di qualità necessario a renderla qualcosa di più che una semplice buona storia. Difetto che, in maniera forse minore, toccava anche Spider-Man: La storia della mia vita, non a caso sempre a firma di Zdarsky.

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