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Doctor Strange: recensione

Dopo aver dato vita ai principali eroi del fumetto americano, da quelli più tradizionali a quelli meno noti, i Marvel Studios puntano tutto sullo Stregone Supremo Doctor Strange, creato da Steve Ditko & Stan Lee nel lontano 1963, affidandolo ad uno degli attori più influenti degli ultimi anni, Benedict Cumberbatch, cercando di conferire una nuova dimensione ad un personaggio che raramente ha goduto di una caratterizzazione così marcata e strutturata come alcuni suoi "colleghi" del MU.

Una scelta che può apparire alquanto azzardata, considerando il background non ricchissimo e particolarmente sviluppato, una fanbase non così ampia, e sopratutto considerando il budget elevato che va associato ad un blockbuster della portata di un lavoro cinematografico targato Marvel/Disney. Tuttavia, la recente run ancora in corso di Jason Aaron e Chris Bachalo ha ridato linfa al personaggio, portandolo ad un nuovo stadio narrativo acclamato da pubblica e critica, settando le basi per questo rilancio che punta a fare di Stephen Strange uno dei personaggi chiave del nuovo universo narrativo della Casa delle Idee.

E come provare a far uscire dal limbo delle comparsate Strange ed estrarlo dallo sfondo piatto in cui sembrava essere precipitato per lunghi anni? Semplicemente ispirandosi alle mirabolanti storie che hanno segnato la comparsa del personaggio sulle scene fumettistiche anni '60. Ossia riportando in auge la follia, la psichedelia metadonica più spinta, il crollo dei sistemi di riferimento, la distorsione della prospettiva e le geometrie contorte, fluide, non euclidee, con figure topologiche assurde e non orientabili. Deliri impasticcati degni ereditari di Jack Kerouac, Allen Ginsberg e William Burroughs. E a rievocare queste atmosfere di sicuro il film non fallisce.

Le prime storie di Ditko emanavano uno stupore allucinante e psicotropo che le ha rese leggendarie. Tuttavia il sense of wonder che poteva trovarsi tra quelle pagine fatica ad attecchire nell'attualità, ora che abbiamo visto praticamente tutto, sommersi come siamo da produzioni visive tra le più svariate. Difficile quindi rendere veramente sensazionale, originale e attraente un prodotto cinematografico, proponendo qualcosa che lasci di stucco lo spettatore, qualcosa che non si aspetti.

Ma se effettivamente dal punto di vista visivo in Doctor Strange troviamo molte scene che ricordano altri lavori, da Inception a Jupiter Ascending, attingendo da effetti speciali e archetipi scenografici già visti, questo non pregiudica per nulla la visione, l'entertainment che la pellicola serve con grandi fasti e ottimo equilibrio.
La spettacolarizzazione non occupa un ruolo marginale, ma è resa la chiave di volta dell'intera opera. Visivamente Strange è impressionante e fenomenale, anche se non propriamente originalissimo. E la trama va armonicamente a braccetto con una visione creativa otticamente orgasmatica, a volte, troppo spesso, piegandosi ad essa.

Una storia interessante quella messa in scena in questo film, soprattutto nella prima parte. L'origin story viene strutturata in modo corretto, dando ampio respiro alla vita del Dottore, uomo e chirurgo di fama mondiale, per poi calarsi negli abissi della magia e delle incantevoli trovate visive, senza far pesare troppo il "training" del protagonista, la fase di set up della figura dell'eroe, che spesso risulta essere il punto debole di un film sulle origini di un'icona. Tuttavia non si può negare che la trama sia sostanzialmente fiacca, prevedibile. Nella parte finale poi si ricade come sempre nel cliché dello scontro apocalittico con forze apparentemente insormontabili che purtroppo caratterizza sostanzialmente tutta la produzione di cinecomic finora.
Solo che questa volta il nemico non è granché carismatico.

Scott Derrickson (regista) e Jon Spaihts (sceneggiatore) realizzano un prodotto avvincente, affascinante, ma costellato di momenti di piattezza narrativa sconfortanti, con dialoghi che cercano di essere profondi ma non riescono a colpire lo spettatore, creando delle pause nel fluire della trama che la rendono troppo statica, annoiando. Ahinoi, Benedict Cumberbatch incarna uno Strange che ancora una volta risulta visivamente perfetto, sebbene anche a livello di incarnazione dello spirito del personaggio, almeno nelle fasi di nascita e crescita dello stesso, non sbaglia. Eppure non siamo per nulla vicini alle grandi prove recitative dimostrate nel corso della sua carriera, complice anche una regia non propriamente capace di valorizzarlo.
Sempre adorabile Rachel McAdams nel ruolo della dottoressa invaghita del Nostro, con un trascorso da amanti per i due, che ricopre il suo ruolo con destrezza e in modo adatto: peccato però che tale ruolo non sia poi così rilevante nell'economia della trama.
Tilda Swinton nei panni dell'Antico è perfetta con il suo look naturalmente androgino, glaciale, che contrasta alla perfezione con il suo stile recitativo che anche se freddo, apparentemente e volutamente, risulta caldamente espressivo, peccato che anche in questo caso, non si sia sfruttato appieno il potenziale del personaggio, riservandogli una fine incomprensibile e un po' posticcia.
Ma è il villain di Mads Mikkelsen che risulta totalmente privo di carisma a danneggiare di molto la pellicola. Non emerge nessuno spunto interessante dalla sua figura, che rimane in secondo piano anche a livello attoriale. Per non parlare delle motivazioni piuttosto scadenti, e non approfondite, che lo hanno portato a smarrire la retta via...

Che dire quindi di questo Doctor Strange? Un'occasione mancata, sotto molteplici punti di vista. Non è un brutto film sia chiaro, la sufficienza stirata se la porta a casa, ma la potenzialità vibrante che possiede il brand non viene sfruttata granché. Guardatelo se volete rifarvi gli occhi e godere visivamente come raramente nel cinema moderno.

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