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Sakamoto Days, recensione del primo episodio dell'anime

  • Pubblicato in Toon

Arriva finalmente in Italia la nuova serie Netflix Sakamoto Days, derivata dall’omonimo manga pubblicato su Weekly Shonen Jump a partire dal novembre 2020 da Yuto Suzuki. Questo anime apre le porte del 2025, con la regia di Masaki Watanabe e la produzione di TMS Entertainment, studio d’animazione già molto famoso per opere  come Dr. Stone, Lupin III, Bakugan, ecc.

La storia verte su Taro Sakamoto, uomo di mezz’età, che gestisce un piccolo konbini a conduzione familiare insieme a moglie e figlia, ma che nasconde un oscuro passato: infatti, è un ex sicario, il migliore di sempre, che ha deciso di sistemarsi e cambiare vita. La nuova vita però lo ha fisicamente modificato, e ora Sakamoto ha un peso decisamente diverso da prima; nonostante questo, non gli impedisce di mantenere  tutte le sue abilità, senza che la sua enorme agilità ne risenta. Una specie di John Wick, che ha sposato una bellissima ragazza, Aoi, ed ha avuto una  figlia, Hana, che Sakamoto vuole proteggere ad ogni costo.

Courtesy of Netflix © TMS/Shueisha

Purtroppo il passato bussa improvvisamente alla sua porta. Conosciamo quindi Shin, un giovane ragazzo che in passato lavorò con lui e che ha sempre considerato il suo  mentore, ma non è lì per fargli visita. La sua vecchia organizzazione, infatti, lo incarica  di eliminarlo. 
Shin ha una particolare abilità: è un telepate. Un vantaggio che non preoccupa il suo  vecchio mentore; anzi, è il giovane assassino che lo teme. Riesce persino a captare  involontariamente gli istinti omicidi che Sakamoto cova ancora, pur senza realizzarli. È così che, avendo capito il suo valore, Shin non riesce a ucciderlo e, dopo un breve  scontro, Sakamoto lo cura e gli offre di indossare il grembiule insieme a lui,  assumendolo nel suo negozio.
 
Questa prima puntata, ricca di azione e di slice of life, impatta nella community come  una ventata di aria fresca, definendolo un po' come l’erede spirituale di Gintama, di cui l’autore è molto appassionato. Non mancano nemmeno i riferimenti ad altre opere, come Slam Dunk, che prende ispirazione dall’amatissimo coach Anzai dello Shohoku.

sakamoto slamdunk

Watanabe, nella regia, ha fatto un ottimo lavoro; nelle sue interviste dichiara: “Quando ho avuto l’occasione di leggere il manga, ho capito subito quanto elettrizzanti fossero le scene d’azione”.  Le ricche linee cinetiche del manga si sposano benissimo con le atmosfere più cupe e le colorazioni più intense che risaltano già nella prima puntata. Così come il cast dei seiyu (ossia i doppiatori), che comprende Tomokazu Sugita, che presta la sua voce a Gintoki Sakata, Escanor e Katakuri, e Shimazaki Nobunaga, che  doppia Mahito, Yuno e Baki.

Courtesy of Netflix © TMS/Shueisha

Sicuramente un prodotto adatto un po' a tutte le fasce d’età, che trova la sua fortuna  nel vagare tra uno stile slice of life e un battle shonen, mantenendo le giuste dosi di  azione e di umorismo.
Questa prima parte avrà 11 episodi, mentre il secondo cour ne avrà altri 11 in uscita a  luglio, cosi da coprire ben due stagioni in questo 2025.

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Catwoman: città solitaria, recensione: la prova di maturità di Cliff Chiang

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Ecco quella che si dice una sorpresa inaspettata. Che Cliff Chiang fosse un bravissimo disegnatore, lo sapevamo fin dalla sua run di Wonder Woman scritta da Brian Azzarello, o, più di recente, dall’ottimo lavoro fatto nella maxiserie Paper Girls della Image, realizzata in coppia con Brian K. Vaughan. Ma che l’artista possedesse anche notevoli doti da narratore, sin qui tenute nascoste (se si escludono rare storie brevi, di cui pochi conservano memoria), era qualcosa molto difficile da immaginare. Almeno fino all’arrivo in libreria di Catwoman: città solitaria. Anzi, dopo aver letto l’opera in questione, viene persino da chiedersi perché il disegnatore americano non abbia provato a cimentarsi prima con la scrittura per quanto, in questo momento, ci interessi di più capire quando sarà possibile rivedere Chiang nuovamente in azione come autore completo. Sarebbe, infatti, un vero peccato se un simile talento dovesse andare sprecato.

Pubblicata negli USA dalla DC Comics sotto l’etichetta Black Label, Catwoman: città solitaria è una miniserie in quattro parti ambientata in un futuro non troppo lontano in cui Selina Kyle, ormai ultracinquantenne e appena uscita di prigione, torna in una Gotham City decisamente cambiata rispetto al passato. Guidata dal sindaco Harvey Dent, apparentemente libero dalla maledizione di Due Facce (sebbene ancora sfigurato in volto), la metropoli, dove un tempo imperversavano criminali e freak di ogni tipo, è diventata una delle città più sicure d’America, complice soprattutto il drastico giro di vite imposto a seguito della sanguinosa Notte dei Folli di dieci anni prima, risultata fatale non solo per il Joker – la mente dietro il tragico evento – ma anche per Batman, Nightwing e il commissario Gordon. Proprio in punto di morte, il Cavaliere Oscuro aveva chiesto a Catwoman di fare ritorno alla Batcaverna, citando un nome: Orfeo. Selina, però, arrestata subito dopo, non era riuscita a portare a termine l’incarico, con la conseguenza di sentire nascere dentro di lei un forte senso di colpa, acuito dal duro ambiente carcerario. Rimessa in libertà, ma ancora ossessionata da quell’ultima parola pronunciata da Batman, decide di vestire di nuovo i panni del suo alter ego mascherato e di coinvolgere vecchi alleati nella soluzione del mistero di Orfeo.

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Graphic novel dal clima crepuscolare, che omaggia a piene mani Il ritorno del Cavaliere Oscuro (a partire dai cinquantacinque anni dichiarati dalla protagonista, gli stessi di Bruce Wayne nel capolavoro di Frank Miller), Catwoman: città solitaria impiega, tuttavia, poche pagine per dare prova di saper vivere di luce propria. Se infatti il parallelismo tra la Selina Kyle piegata dal tempo trascorso in prigione e da inevitabili limiti fisici dovuti all’età (che le impediscono di apparire come la spericolata antieroina della continuity ufficiale del personaggio) e il disilluso e tormentato Batman di Miller risulta piuttosto evidente, Chiang cerca fin dall’inizio di non far sprofondare la trama nella cupezza e nella paranoia della miniserie culto del 1986. Oltretutto, benché l’artista di origini asiatiche non aggiri in alcun modo la metafora politica (onnipresente ne Il ritorno del Cavaliere Oscuro), il racconto assume progressivamente altre caratteristiche, con toni da commedia sempre più marcati e uno stile che, mixando brillantemente supereroismo e heist drama, si discosta nettamente dalla disperante distopia immaginata dal creatore di Elektra.

È, però, la sceneggiatura nel suo complesso a rendere la miniserie di Chiang un’opera capace di soddisfare anche lettori particolarmente esigenti, con dialoghi di gran classe che, nonostante i frequenti cambi di registro, mutano di gradazione con sorprendente naturalezza, passando dalla solarità e dallo scherno degli intermezzi più scanzonati, all’intimismo e alla malinconia di quelli dove invece prevale la riflessione o il dramma. C’è pure spazio per un po’ di romanticismo old style e addirittura per un citazionismo nostalgico che, lontanissimo dal fan service di maniera, tanto di moda negli ultimi anni, testimonia il sincero rispetto dell’autore verso il glorioso passato dei personaggi. Chiang si dimostra anche abilissimo nel saper bilanciare i tempi scenici, non soltanto alternando di continuo i momenti di tensione con altri più giocosi, ma pure impostando la trama in modo che all’inizio siano l’introspezione e i pensieri dei protagonisti a essere privilegiati, con ampi passaggi dedicati ai rimpianti e ai ricordi dolorosi - che, per quanto prevedibili, diventano gli elementi necessari a inquadrare la vicenda e a comprendere gli eventi successivi - per poi schiacciare il piede sull’acceleratore, in un crescendo di intensità lento, ma costante, fino all’attesa resa dei conti finale. Solo l’ingresso di Etrigan ci è sembrato un po’ pretestuoso e, per certi versi, privo di reale utilità all’economia della storia, sebbene, con ogni probabilità, esso rappresenti un ulteriore richiamo a quella mitologia DC assai cara all’artista americano.

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Sempre riguardo alla sceneggiatura, sarebbe imperdonabile non fare il minimo accenno alla magistrale caratterizzazione dei personaggi. A cominciare naturalmente da Selina, che Chiang immagina come una donna indurita dagli anni e dalle pesanti sconfitte morali subite nel corso della vita, ma ancora orgogliosa e indomabile. Un character con cui è impossibile non empatizzare, destinato a restare a lungo nella memoria dei lettori. Tanto quanto i principali comprimari, tra i quali un Killer Croc in versione totalmente inedita (in grado di regalarci sia i passaggi più divertenti della serie, che quelli più melodrammatici) e una determinatissima Poison Ivy, per nulla resa meno riottosa dai chili di troppo accumulati con l’età. Particolarmente riuscita anche l’idea di dipingere l’Enigmista come un simpatico e affascinante mascalzone, che oltre a contrastare nettamente con il perverso e spietato assassino mostratoci recentemente da Tom King (maggiormente in linea con l’ultima incarnazione cinematografica del personaggio), contribuisce attivamente a mantenere la vicenda su binari meno foschi e tenebrosi.

Scontata, infine, in un contesto del genere, la forte voglia di riscatto di gran parte dei protagonisti che, se per alcuni significa trovare una maniera per indirizzare la propria esistenza verso una nuova direzione - a costo di rinnegare un passato eroico, divenuto persino quasi ingombrante –, per altri vuol dire semplicemente recuperare la dignità perduta pur nella consapevolezza delle estreme conseguenze che questo comporterebbe. Sentimenti e fragilità del tutto umani, che l’autore riesce a mettere spesso in evidenza, senza mai contraddire l’impostazione avventurosa del racconto.

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A ogni modo, benché sia molto appagante parlare del Chiang scrittore, non possiamo di sicuro trascurare il Chiang disegnatore, dato che questa miniserie ne certifica ancora una volta le grandi capacità artistiche (il buon Cliff, tra l’altro, si è occupato in prima persona anche dei colori). Il suo segno inconfondibile, che unisce mirabilmente la ligne claire franco-belga all’iconica essenzialità del DC Animated Universe (limitando, però, al minimo le derive cartoonesche) e che riporta la pop art alle sue radici fumettistiche, sfrutta nella maniera migliore possibile la simbiosi con i testi, costruendo tavole con gabbie a variabilità continua (al punto da impiegare le splash page con notevole parsimonia), lavorando diligentemente sull’abbondanza - o sull’assenza - di dettagli nelle vignette e studiando con cura le inquadrature e i primi piani al fine di legare indissolubilmente la narrazione allo scorrere delle immagini. Inoltre, la linearità e la pulizia del tratto o la geometria regolare e solo parzialmente spigolosa delle sue forme, non penalizzano in alcun modo l’espressività dei personaggi né riducono l’energia della storia che, sebbene non raggiunga l’esplosività delle chiassose saghe Image dei primi anni Novanta, non può certo dirsi priva di dinamismo.

Opera accolta da critiche entusiastiche negli Stati Uniti e valorizzata qui da noi da un’ottima edizione da parte di Panini Comics (un cartonato con sovracoperta-poster, nel consueto formato maggiorato delle nuove produzioni Black Label), Catwoman: città solitaria è un volume che non può mancare nelle librerie di tutti gli appassionati di Batman, ma neppure in quelle di chi si professa un semplice cultore del fumetto di qualità. Perché - credeteci - nella miniserie di Chiang di qualità ce n’è davvero tanta.

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Il Pinguino, recensione: Tom King scava nel passato di Oswald Cobblepot

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Terminata la lettura de Il Pinguino (due cartonati confezionati con la consueta cura da Panini Comics, che raccolgono i dodici numeri della maxiserie dedicata all’alter ego di Oswald Cobblepot, pubblicata negli USA tra il 2023 e il 2024) viene spontaneo chiedersi che cosa abbia fatto la DC per meritarsi un autore come Tom King. La domanda non nasce da qualche forma di antipatia verso la casa editrice di Superman e Batman, ma piuttosto dalla semplice constatazione che da parecchi anni le due major del fumetto d’oltreoceano (un discorso identico si potrebbe fare anche per la Marvel) non rappresentano più il punto d’arrivo di tanti sceneggiatori e disegnatori affermati. Forse, l’essere stato incluso nel team creativo che si occuperà del nuovo universo cinematografico DC, capitanato da James Gunn, ha giocato un ruolo determinante nelle scelte professionali dello scrittore americano, ma, paradossalmente - Love Everlasting a parte - la sua firma ha cominciato ad apparire su alcuni progetti creator owned (Animal Pound, Helen of Windhorn) solo dopo aver ricevuto quell’incarico. A nostro avviso, invece, è più probabile che il buon Tom abbia deciso di proseguire la sua esperienza presso l’editore californiano, perché ancora sinceramente entusiasta di poter gestire molti dei suoi storici character.

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Non che la cosa ci dispiaccia, comunque, vista l’altissima qualità con cui King continua a impreziosire le sue opere. Una qualità che, neanche a dirlo, ritroviamo nella serie del Pinguino, la quale non solo assolve al compito di riportare nel mondo di Batman (dopo essere stato messo provvisoriamente fuori gioco da Chip Zdarsky nei primi episodi del suo ciclo, sull’omonima testata del personaggio) uno dei suoi iconici nemici, ma prosegue l’egregia azione di approfondimento - e per certi versi di rinnovamento - delle personalità di questi ultimi, che l’autore statunitense ha iniziato con l’Enigmista, nell’ottimo one shot che ha inaugurato la collana Batman: una brutta giornata (ristampata di recente da Panini in edizione cartonata) e continuato con il Joker, in alcuni numeri della nuova incarnazione di The Brave and the Bold, di pochi mesi fa. In ognuno di questi lavori, King scava nel passato dei personaggi, mostrandoci risvolti parzialmente o totalmente inediti, cercando una spiegazione della loro deriva criminale, evitando tuttavia di commettere l’errore di portare i lettori a empatizzare con essi. Con le dovute differenze e sfumature – che dimostrano come lo scrittore abbia ormai una conoscenza così profonda delle nemesi più importanti del Cavaliere Oscuro, da potersi permettere il lusso di introdurre in loro qualche cambiamento, senza che questi ne modifichino in alcun modo l’essenza -  i tre villain vengono rappresentati come irrimediabilmente malvagi e spietati, benché per il Pinguino non sia trascurato il suo forte desiderio di rivalsa verso una società che, a causa dei suoi difetti fisici, lo ha sempre tenuto ai margini. Non è un caso che Stevan Subic, l’artista chiamato a illustrare i due capitoli della saga ambientati nel passato – che ricostruiscono, in una lunga digressione dalla vicenda principale, l’ascesa di Cobblepot da semplice barista dell’Iceberg Lounge a capo della malavita di Gotham City – ritragga l’antagonista di Batman in maniera grottesca, estremizzandone l’aspetto “freak”. Al contrario di Rafael De Latorre, il disegnatore titolare della serie, che, invece, pur non smorzando la figura sgraziata del personaggio, ne limita la deformità, lasciando spazio solo alla sua bassa statura e alla sua obesità. In questo modo, diventa più credibile la trama elaborata da King che vede il Pinguino ricattato dall’agente federale Nuri Espinoza per costringerlo ad abbandonare Metropolis – dove, dopo essere stato “esiliato” dai figli Aiden e Addison, si era rifatto una vita da normale cittadino – e tornare a Gotham City, al fine di reimpossessarsi del suo impero criminale. Primo passo per portare il Crociato Incappucciato davanti alla giustizia, nel piano perverso che la cinica (per usare un eufemismo!) Amanda Waller, superiore diretto dell’agente Espinoza, ha ordito contro tutti i superumani (un anticipo del crossover Absolute Power, che presto vedremo anche in Italia).

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Tolta questa premessa – ennesima stoccata dello scrittore verso l’opacità delle agenzie governative americane, che nasce dai suoi trascorsi alla CIA (un’esperienza di cui, evidentemente, non ha ancora smaltito le tossine) – la serie procede inizialmente attraverso l’ingresso di nuovi comprimari a ogni episodio, tutti necessari al Pinguino per restaurare il suo potere a Gotham City. I personaggi coinvolti sono o recenti creazioni dello stesso King (oltre a Nuri Espinoza abbiamo pure il killer “elegante” noto come l’Aiuto) o figure secondarie del sottobosco DC come Lisa St. Claire, la Force of July e Black Spider, che lo sceneggiatore americano, al solito, reinterpreta alla sua maniera. Lisa St. Claire, per esempio, è stata fino agli anni Settanta una delle protagoniste di diversi fumetti rosa, ma nelle mani di King diventa addirittura la ex signora Cobblepot (o meglio, una delle ex, dato che tra mogli decedute, fidanzate e flirt vari, il nostro Ozzy ha sempre avuto una vita amorosa alquanto invidiabile!), affascinante e machiavellica proprietaria di un casinò di Las Vegas, per nulla restia a invischiarsi in affari poco puliti. Oltre a questo, per rendere ancora più palese su quale attore della vicenda puntare i riflettori, la narrazione in terza persona cambia “voce” di continuo, soprattutto nei numeri finali, quando il succedersi degli eventi diventa vorticoso e incalzante, garantendo all’autore statunitense, attraverso poche didascalie, la possibilità di inquadrare tutti i personaggi e di approfondirne le intenzioni. Lo stesso vale per Batman, che, viste le dinamiche in gioco, rimane, però, spesso sullo sfondo. Persino il suo proverbiale fiuto investigativo viene messo in discussione, in particolare nei due episodi ambientati nel passato, accennati sopra, dove un Cavaliere Oscuro ancora alle prime armi, si lascia trarre in inganno da un giovane Oswald già abile doppiogiochista.

Il Pinguino, dal canto suo, oltre che reale motore della serie, è anche il collante che mantiene agganciate le storie personali dei vari comprimari alla vicenda principale. Il risultato è un fumetto scritto benissimo, che spazia brillantemente dal thriller all’action drama, con sprazzi di black comedy e un pizzico di supereroismo (quel tanto che basta a non farci dimenticare che siamo sempre e comunque all’interno del DC Universe). In più, per quanto Oswald Cobblepot abbia smesso da tempo i ridicoli panni del gangster da operetta appassionato di volatili, con cui è stato ritratto per molti anni, King porta a compimento il restyling del personaggio, trasformandolo definitivamente in una sorta di Wilson Fisk in versione DC, di cui, pur non condividendone affatto l’aspetto fisico, ne riprende la scaltrezza e la perspicacia. Così come, inevitabilmente, la brutalità e l’assenza di scrupoli.

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Sul versante grafico, il brasiliano De Latorre asseconda le intenzioni dello scrittore come meglio non si potrebbe. Con il suo tratto essenziale - benché sempre incisivo ed estremamente  rispettoso delle anatomie - e aiutato dalle tonalità volutamente spente del colorista Marcelo Maiolo (che diventano ancora più buie nelle parti disegnate da Subic, per esaltare il carattere parzialmente gotico di quegli intermezzi), l’artista sudamericano gioca efficacemente con le espressioni facciali, scegliendo le inquadrature in modo tale che il lettore possa percepire chiaramente lo stato d’animo dei vari personaggi, quasi come se non ci trovassimo di fronte a figure di carta, ma ad attori in carne e ossa. De Latorre, inoltre, è bravo a limitare gli sfondi o a “eccedere” con essi quando anche i dettagli si rivelano elementi fondamentali del racconto, dimostrando pure di non avere alcuna difficoltà a gestire la gabbia a nove vignette, tanto amata dallo sceneggiatore statunitense, alternandola con sorprendente fluidità a tavole costruite in maniera totalmente differente (fino ad arrivare ad autentiche splash page, all’occorrenza), concorrendo attivamente a imprimere il ritmo narrativo cercato da King e a far sì che il fumetto del Pinguino possa essere considerato l’ennesimo colpo messo a segno dall'autore di Washington DC. Con un unico rammarico: che la testata abbia chiuso dopo soli dodici numeri. È vero che l’attuale scrittore di Wonder Woman dà il meglio di sé su story arc brevi e ben definiti. Non provare, però, a sfruttare il potenziale richiamo derivante dal recente arrivo sul piccolo schermo del serial dedicato al personaggio (reperibile in Italia sulle reti Sky) lascia comunque un po’ stupiti. Pubblico diverso, certo. Mai come in questo caso, tuttavia, tale verità è apparsa così evidente.

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