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Toy Story of Terror!: recensione

Toy Story of Terror!, Il primo special televisivo targato Pixar, rimanda involontariamente agli albori della compagnia. All’inizio degli anni novanta, infatti, la Disney, prima di siglare l’accordo con il neonato studio d’animazione, concesse a Steve Jobs e John Lasseter di realizzare uno special televisivo a tema natalizio di mezz’ora, basato sui personaggi di Tin Toy. In questo modo, la transizione da cortometraggi di tre minuti a un film di novanta sarebbe stata più facile. Poco prima dell’inizio dei lavori, tuttavia, i vertici Disney fecero pressione affinché Lasseter e soci si mettessero subito al lavoro sul lungometraggio e dello special, di cui rimangono alcuni disegni concettuali e delle idee per la trama, non si fece più nulla.
In seguito, lo studio si sarebbe dedicato unicamente ai film, lasciando ai corti il compito di sperimentare con i nuovi talenti e software della casa. Ora, a vent’anni di distanza, la Pixar chiude il cerchio e mostra come le proprie capacità di racconto si adattino a ogni formato.

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Sulla strada per le vacanze, Molly e sua madre sono costrette a soggiornare una notte al Sleep Well Motel, a causa di una gomma forata. La bambina ha portato con sé alcuni dei suoi giocattoli, ma quando Mr. Potato scompare misteriosamente Woody e gli altri sono costretti a uscire dalla valigia di Molly e avventurarsi tra i meandri dello spettrale motel in cerca del loro amico.

Tutto si può dire di Toy Story of Terror!, che giochi sul sicuro, declinando nel contemporaneo gli spunti del passato - ancora una volta i giocattoli sono preda di un collezionista, che però vende direttamente su internet - che sia ruffiano (con l’effetto nostalgia dato da pezzi di storia come Combat Carl, il dispenser di caramella Pez, il Transitron, che strappa più di una risata) e innocuo, tranne che non sia un orologio narrativo calibrato fin nei minimi ingranaggi. Ogni scena, ogni inquadratura, ogni dialogo sono parte del flusso initinterrotto di informazioni che assolvono il duplice compito di intrattenere il pubblico e muovere in avanti la storia. Niente è lasciato al caso ed è da manuale il modo in cui vengono piantati dei semi tematici che germogliano e crescono nel corso del secondo e terzo atto.
Questa è la forza e al tempo stesso la debolezza del mediometraggio. Non c’è respiro, non c’è un attimo di contemplazione, tutto è talmente compresso da far sembrare che le scene ci passino tra le dita come sabbia, pur nella loro perfezione cristallina. Vero è che il regista Angus MacLane (già artefice dei corti BURN-E e Small Fry) qualche sequenza di vuoto nel primo atto se la concede, ma è fisiologica a creare il silenzio che precede il sussulto, non certo ad allentare il ritmo forsennato del prodotto.

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La cowgirl Jessie (Joan Cusack), le cui motivazioni si ricollegano con un’operazione di retro-continuity ai suoi trascorsi (viene infatti ricordato il lungo periodo passato dalla bambola in una scatola claustrofobica, anche se in Toy Story 2 non la si manifesta questa idiosincrasia, nonostante passi parte del film chiusa in una confezione), è la protagonista riluttante dello speciale, ma a rubare la scena, molto più di quanto facesse in Toy Story 3 è Mr. Pricklepants, impersonato dal timbro fermo e volutamente attoriale di Timothy Dalton, impegnato a commentare lo svolgersi degli avvenimenti in un buffo gioco postmoderno alla Rango.
Non si lesina sulle citazioni, sia dirette (il poster di The Good Dinosaur, i nomi dei personaggi della saga incisi sulle pietre tombali) sia indirette (Psyco, Buried, Kill Bill Vol. 2), financo agli omaggi al cinema della Hammer delle musiche incolore di Michael Giacchino, che si fa ricordare solo per il tema che accompagna i titoli di coda. Ma c’è poco da fare, i suoi lavori “brevi” su One Man Band o La luna erano tutta un’altra cosa.

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Toy Story of Terror!
è tanto televisivo quanto cinematografico. Si sente infatti la presenza invadente di rigidi parametri commerciali che non permettono ai realizzatori di sgarrare sul minutaggio: i ventuno minuti e trenta secondi sono costruiti intorno ai tre slot pubblicitari, che vanno a colmare i minuti restanti per raggiungere la mezz’ora, e il passaggio da un atto all’altro è reso evidente da cliffhanger scontati e poco ispirati, che fanno perdere di unità all’opera una volta vista in sequenza. A parte questa sbavatura, il lavoro di montaggio è come al solito curatissimo; su questo versante e su quello dell’impatto visivo, il mediometraggio si gioca tutta la sua cinematograficità: le angolature della macchina da presa virtuale sono drammatiche, al limite della stilizzazione (si veda lo scontro finale tra Jessie e Mr. Jones, montato alla perfezione, in cui i tagli obliqui del quadro costringono l’occhio a muoversi costantemente), pur mantenendo un gusto per la composizione più classica (l’inquadratura in cui l‘intrico di tubi e ferraglia sotto al lavandino che isolano e incorniciano Combat Carl e Jessie).

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Certo, per essere uno speciale di Halloween, la storia è abbastanza sui generis e tocca solo marginalmente l’universo horror o quello legato alla festività staunitense - e materiale su cui lavorare, smontando stilemi o parodiando la tradizione, ce n’era a iosa; le scene tensive non mancano, ma niente - nè le luci, i set o il design dei personaggi (si pensi all’iguana Mr. Jones, la cui pelle è renderizzata con una consistenza morbida e quasi priva di spigolosità visive) - concorre a creare un vero senso di paura, men che meno di terrore. In questo senso, era molto più inquietante l’ernstiana parata dei giocattoli di Sid, il teppista-antagonista del primo Toy Story.

Tirando le somme, il primo special tv Pixar offre intrattenimento di buona fattura e un mestiere solido, ma non tocca i livelli a cui lo studio di Emeryville ci ha abituati. Fosse stato trasmesso qualche anno addietro, i difetti di Toy Story of Terror! sarebbero passati inosservati; in un palinsesto televisivo così qualitativamente ricco come quello odierno, il mediometraggio - che pure ha registrato ascolti molto alti (poco più di dieci milioni di spettatori) - sconta alcune ingenuità e si rivela soltanto un onesto e buon prodotto.

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