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La recensione di Marvel's Iron Fist

L'anteprima dei primi episodi di Iron Fist, ultima produzione Marvel/Netflix ha scatenato una ridda di recensioni così unanimamente negative come non se ne leggevano dall'uscita del blockbuster Batman v Superman: Dawn of Justice. Il riverbero di tali opinioni, prodotto dal web e dai siti specializzati ha fatto sì che la serie che narra le vicende del ricco rampollo Danny Rand partisse in salita o per lo meno che ci si approcciasse ad essa con un misto di perplessità e curiosità. Al netto di tutti e 13 episodi visti si può affermare che i giudizi letti sinora si sono dimostrati quanto meno esagerati, in parte ingiusti, in molti casi superficiali.

Bisogna, prima di entrare nel merito di Iron Fist, sottolineare ancora una volta che l'Universo televisivo sviluppato dalla Casa delle Idee insieme a Netflix ha caratteristiche estremamente omogenee, molto particolari e molto lontane dal più famoso MCU o da serie più mainstream come Agents of S.H.I.E.L.D.: atmosfere cupe, ritmi lenti, azione dosata con cura e mai esagerata. Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage e ora Iron Fist inoltre sono delle complesse storie di secret origins di eroi cosiddetti “minori” che vengono distribuite lungo 12-13 episodi invece che liquidarle in un pilota di 45-60 minuti: questa, come le altre sopra elencate, è una scelta stilistica molto precisa, che può non piacere, ma comunque originale, moderna e adatta al tipo di personaggi che si vuole presentare. La lentezza non è di per sé un disvalore, la mancanza di azione a tutto spiano non è motivo sufficiente di disinteresse, la cupezza scoraggia forse il binge watching, ma sollecita una visione meno superficiale. Nessuna di queste serie è un prodotto “leggero”, ma piuttosto un tipo di intrattenimento che sfida il neurone dello spettatore, che lo costringe ad aspettare, ad avere uno sguardo diverso e a non abituarsi a lieti fine. Se non si cerca tutto questo, certamente è meglio stare lontano anche da Iron Fist, che in questa prima stagione si è dimostrata una serie con grossi difetti, ma anche con molti elementi interessanti.

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Fra i primi va annoverata senz'altro la scelta del protagonista: Finn Jones non è un volto e soprattutto un corpo adatto a interpretare Iron Fist. Poco espressivo e carismatico, non credibile nelle scene dove è richiesta cattiveria, o rabbia o grinta; molto insicuro e impacciato nelle scene di azione. Ad ogni buon conto aspettiamo di vederlo in The Defenders prima di parlare di vero e proprio miscasting. Altra pecca ineludibile e complementare a quanto detto finora è la caratterizzazione del protagonista: Danny Rand fa tenerezza ma è veramente troppo insipido. Non c'è la questione morale come per Matt Murdock/Daredevil, né le questioni sociali e razziali di Luke Cage, né le istanze di genere di Jessica Jones. C'è un’iniziale critica al turbo-capitalismo al quale si oppone la spiritualità e l'approccio umano di Danny Rand, ma tutto resta così abbozzato e annacquato che ben presto gli sceneggiatori lasciano questa idea per strada. Fra i difetti c’è poi anche un certo “orientalismo” di maniera con una sfilza di riferimenti superficiali a monaci, disciplina triadi, colpi speciali, ecc... Infine la regia, che vaga nel buio senza una direzione precisa per almeno metà degli episodi.

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A parte la faccia di Finn Jones, sulle altre magagne si può lavorare e correggere, soprattutto se la seconda serie sarà in grado di riprendere le fila dei molti misteri ancora aperti dopo il finale di stagione.
Iron Fist infatti ha dalla sua elementi interessanti: mano a mano che gli episodi procedono le scene di azione migliorano o comunque si passa dall'imbarazzo totale a coreografie accettabili. Per il futuro, magari con un po' di allenamento...
Un elemento intrigante è poi la rete di misteri “misteriosi” (per citare Carlo Lucarelli) che si infittisce progressivamente, creando una sorta di thriller corale, dal sapore vagamente shakespeariano, dove nessuno può fidarsi di nessuno e Iron Fist diventa uno degli eroi Marvel più soli e solitari di sempre. Questo aumenta il fascino del personaggio, così come il buon cast di comprimari: accanto alle brave Carrie-Ann Moss e Rosario Dawson a ricordarci di riverire ora et semper Nostra Signora La Continuity, abbiamo Jessica Henwick nella parte di Colleen Wing, personaggio accattivante ma che scade un po' negli ultimi episodi, ma soprattutto abbiamo il terzetto della famiglia Meachum, David Wenham (il padre, Harold), Tom Pelphrey (il figlio, Ward) e Jessica Stroup (la figlia, Joy): ambigui, affascinanti, totalmente disfunzionali. Forse i personaggi meglio caratterizzati e interpretati della serie, che hanno il già citato pregio di far risaltare, per contrasto, il ruolo del protagonista rendendocelo se non altro un po' più prossimo e simpatico. Infine fra i punti di forza, anche se ancora molto fra le righe o appena accennato, c'è il tema del rapporto padri/figli: Iron Fist parla sostanzialmente di figli che cercano i padri e di padri che giudicano i figli e del peso di responsabilità e aspettative fra le generazioni. Queste idee, se ben sviluppate, potrebbero dare spessore e interesse ad una serie che per ora è ancora in cerca di una sua identità precisa.

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