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Dylan Dog - Il film: recensione

dylan-dog-movie-poster1Sclavi è il nome di un vampiro dormiente, che si ridesta per un attimo quando l'eroe lo sveglia per sbaglio, ma poi ritorna subito al suo riposo. Il maldestro omaggio a uno dei re del fumetto italiano è la perfetta metafora della trasposizione hollywoodiana di Dylan Dog: messa da una parte l'origine del personaggio, con un coinvolgimento a dir poco minimo della casa editrice che gli ha dato i natali, l'America cannibalizza con la peggiore arroganza di cui è capace ciò che non riesce a capire fino in fondo. Forse non si tratta di malafede, ma proprio di un, spiace dirlo, abisso culturale.

Il fenomeno è stato evidente a Roma, dove oggi, 15 marzo, appena un giorno prima dell'uscita cinematografica in 300 copie, è stato presentato alla stampa in prima mondiale il film sul detective dell'incubo, alla cui proiezione è seguito un incontro con il regista della pellicola Kevin Munroe. Fin da subito si era capito che non sarebbe stata una passeggiata, con i tanti giornalisti in sala che, come la stragrande maggioranza degli italiani, sono fan del personaggio, uno dei migliori eroi seriali di tutti i tempi. Se prima della visione della pellicola, già in parte svelata in occasione di vari festival ma mai presentata in forma integrale, c'era qualche mormorio, dopo pochi minuti le speranze di vedere sullo schermo qualcosa di ciò che si è letto nei fumetti spariscono del tutto e si prova a godersi quel poco che c'è, senza però riuscirci.

La cosa incredibile è che gli stessi produttori sono consapevoli della mancanza di originalità della pellicola: "Cosa succede se si mischiano due parti di Underworld, una parte di Zombieland e al tutto si unisce una spruzzata di Grosso guaio a Chianatown? Si ottiene un horror/commedia/thriller originale e bizzarro tratto dal graphic novel italiano di maggior successo di tutto i tempi: Dylan Dog". Ora, al di là dei giudizi tecnici (Dylan Dog un graphic novel?) e sul valore del fumetto per noi italiani, ciò che sfugge ai creatori del film è che mischiando le pellicole citate non si ottiene affatto Dylan Dog, ma un'accozzaglia senza arte né parte.

La storia infatti sembra una copia proprio di Underworld con la classica lotta tra vampiri e licantropi in cui Dylan Dog è una sorta di arbitro incaricato di tenere la pace in una New Orleans tenebrosa e fatiscente, finché, a causa della morte della sua ragazza per mano dei vampiri, decide di farla finita con quel mestiere e diventa un banale detective privato. Quando una nuova ragazza lo contatta perché suo padre è stato ammazzato da un mostro, gli amici e nemici del passato ritornano a fargli visita, portando alla morte del suo assistente pseudo irlandese, poi tornato in vita, però, come zombie. Compito di Dylan sarà evitare una nuova guerra tra le fazioni, oltre a impedire la rinascita di un demone antico, scrollandosi di dosso, tra l'altro, l'infamante accusa di essere solo un cacciatore di mostri.

Il protagonista, interpretato da Brandon Routh, balzato alle cronache per aver dato il volto all'Uomo d'Acciaio nella brutta esperienza di Superman Returns, ha davvero poco della profondità di espressioni e movenze tipica di Dylan, giocando tutto il suo "fascino sullo sguardo e risultando freddo nell'interpretazione. Assolutamente inutile la bella di turno, Elisabeth, incarnata da Anita Briem, mentre risultano convincenti il capo dei licantropi Gabriel (Peter Stromare) e quello dei vampiri, Vargas (Taye Diggs). Una nota a parte merita Sam Huntington che dona al personaggio di Marcus, l'assistente di Dylan diventato zombie, una leggerezza e al tempo stesso uno spessore che sono l'unico tratto interessante del film. Il suo cammino per accettare la sua condizione di non-morto è, infatti, forse il solo filone originale della pellicola, per il resto una lunga serie di "già visto".

I colleghi in sala non hanno di certo nascosto la delusione generale sottolineando più volte le enormi differenze tra il film e il fumetto e chiedendo al regista se fosse consapevole che i fan non la prenderanno certo bene. "Ogni volta che cerchi di interpretare un'icona c’è il rischio che non si riesca a renderla al meglio in un film, allora si cerca di restare il più vicino possibile allo spirito. Non si può appiccicare il fumetto sullo schermo", ha replicato il regista evidenziando, ad esempio, che il problema del maggiolone di Dylan diventato nero a causa di problemi di copyright con la Disney "non è importante, perché in ogni film la batmobile cambia, ma non è questo che rende diverso Batman".

Infatti il problema non è proprio quello dell'automobile, l'ultima delle preoccupazioni, ma tutto il resto. Il personaggio solitario, scettico, ingenuo, poco incline a usare le armi, innamorato più dell'amore che delle donne di cui si innamora, sullo schermo non c'è. Al suo posto un fusto senza espressioni che afferra pistolacce in entrambe le mani "scatenando l'inferno" sui non morti. L'apoteosi dell'americanata fine a se stessa. E non basta di certo fargli esclamare un "Giuda ballerino", peraltro solo nell'edizione doppiata in italiano, per migliorare la situazione.

Quasi commovente in conferenza stampa l'intervento di una giornalista che ha cercato di far capire al regista come il presunto spirito che ha voluto conservare nel film non esiste proprio: "Le faccio i miei complimenti, ha fegato a venire qui, nella tana del leone. Qui Dylan Dog è letto da tutti, non solo dai nerd, le ragazze a scuola sognano di uscire con lui, è un fumetto da adulti, quindi perché avete voluto abbassare così tanto il target?", cioè perché è diventato Twilight condito da Buffy e Tomb Raider? Il regista ha replicato che non è vero che il target è stato abbassato, anzi, solo che in America il film è vietato ai minori di 13 anni e quindi bisognava togliere degli elementi splatter. "Il film è una collezione di tante idee, le mie, quelle degli attori e degli sceneggiatori e quindi è normale che sia una cosa diversa rispetto all'originale".

Ovviamente è impossibile esprimere un giudizio completo sull'operato del regista in quanto non si conoscono tutti i retroscena dei rapporti tra gli sceneggiatori o la produzione, ma ciò che ha lasciato tutti perplessi è proprio questa convinzione di Munroe di aver rispettato lo spirito del detective dell'incubo. "Dylan Dog è un antieroe, lotta per gli ideali del mondo, si trova più a suo agio con il surreale che con il reale, per questo mi è piaciuto il personaggio, così diverso dagli eroi americani", ha detto. Ma quanto si può capire davvero un personaggio se, come ha raccontato, si sono letti solo i sei volumi usciti negli USA e non i quasi 300 episodi italiani della serie regolare più i tantissimi speciali? Sembra proprio che ci sia un abisso culturale tra i lettori italiani e la mente degli americani, incapaci di capire il vero spirito di un fumetto europeo, ma profondamente nostrano anche se ambientato a Londra, e dover condire il tutto con quegli stereotipi senza senso di cui è pieno il loro immaginario per poter arrivare a "un vasto pubblico", che forse ha voglia di qualcosa di diverso. Se Dylan è un antieroe diverso da quelli americani, come ha detto il regista, perché lo si fa sparare ai vampiri come se fosse Blade?

Intanto si parla già di sequel: "Non ci sono ancora notizie ufficiali, l'idea di certo c'è e io vorrei essere coinvolto in prima persona, prima però si deve vedere quanto incassa questo film. In futuro c'è l’idea di portare Dylan in Europa, magari di girare qualcosa in Italia, introducendo Bloch e Xabaras come cattivo e anche il suo rapporto con la madre, ma quando introduci un mondo per la prima volta è difficile mettere tutti questi elementi". Ora non vi resta che andare al cinema e vedere con i vostri occhi: prendetelo come un "what if?": "Cosa sarebbe successo se Dylan avesse compiuto tutte le scelte sbagliate e avesse ceduto al lato oscuro delle scelte commerciali?". La risposta sullo schermo.

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