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Emanuele Amato

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Ed Gein: la madre di tutti i serial killer, recensione

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“Il miglior amico di un ragazzo è la propria madre” (Psycho)

Quando si parla di icone ci si riferisce a personaggi o figure, sia reali che di finzione, che hanno rivoluzionato un determinato immaginario. Icona di follia nella cinematografia e letteratura è Norman Bates, personaggio creato dalla penna di Robert Bloch e reso celebre dall'attore Anthony Perkins nella trasposizione cinematografica di Psycho diretta da Alfred Hitchcock. Altro caposaldo iconico del genere thriller è Il silenzio degli innocenti, romanzo di Thomas Harris prima e film diretto da Jonathan Demme poi. Divenne icona fondamentalmente per la leggendaria interpretazione di Sir Anthony Hopkins nel ruolo dello psichiatra e omicida seriale Hannibal Lecter. Le vicende ruotano intorno alle indagini di un serial killer chiamato Buffalo Bill, assassino che scuoiava le proprie vittime. La pelle asportata veniva utilizzata per ricreare un vestito dalle forme femminili. Cosa hanno in comune questi due serial killer (ci riferiamo a Bates e Buffalo Bill) dalla ferocia inaudita e dal modus operandi così diverso? La risposta è presto data: Ed Gein.

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Ed Gein è un serial killer che, con le sue azioni, gelò il sangue nelle vene adun America che, fino ad allora, non conosceva dove poteva arrivare la brutalità umana. È il serial killer che ha ispirato più romanzi, racconti e film dell'orrore di chiunque altro. A lui si ispirarono Jeff Gillen e Alan Ormsby per il loro Macellaio di Woodside nel film Deranged.
A livello sociale per l'America fu una batosta. Il mostro era sempre altrove, mai in casa. I paesini di provincia erano considerati posti tranquilli, dove nulla mai poteva accadere. Tutte brave persone, tutto insospettabile, eppure i mostri erano lì, nascosti in bella vista. L'opinione pubblica fu scossa nel profondo e paure arcaiche vennero fuori. Il mostro era uscito allo scoperto, nessuno era più al sicuro ormai. L'efferatezza delle sue azioni erano talmente forti che alcuni lati delle sue vicende furono l'energia vitale che Bloch utilizzò per il suo romanzo Psycho. Fondamentalmente venne sfruttato il rapporto morboso, al limite dell'assurdo, con la madre. Per quanto riguarda Buffalo Bill, invece, il suo scuoiare le persone per indossarne la pelle. Anche Leather face di Non aprite quella porta di Tobe Hooper, richiama il noto serial killer. Possiamo citare anche  Three on a meathook, film del 1973, diretto da William Girdler, dove una fattoria isolata nella campagna americana si rivela una casa dell'orrore: un agricoltore folle e suo figlio rapiscono e uccidono giovani ragazze e le appendono a ganci da macellaio. Ovvero, la stessa scena che vide la polizia quando entrò nella casa di Ed Gein.

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Questo controverso personaggio è il protagonista del terzo albo della collana The Real Cannibal, serie di opere dedicate ai più efferati serial killer della storia. Edizioni Inkiostro, dopo il mostro di Rostov, Andrej Romanovič Čikatilo e Charles Manson, sceglie le gesta di Gein.
La sceneggiatura è di Jacopo Masini che narra le vicende in una struttura non lineare. Salti temporali tra il passato del feroce killer, dove approfondisce il rapporto morboso con la madre e il presente, ovvero quando viene catturato, sfruttando il punto di vista dello sceriffo di Plainfield, Art Schley. Questa modalità permette una maggiore comprensione della follia di Ed, analizzando le ossessioni e la rigida, asfissiante ed estrema educazione cattolica della madre. Vediamo scorrere con taglio cinematografico, la vita di Edward Gein, ripercorrendo i momenti salienti con la figura di Augusta Wilhelmine Gein, ovvero sua madre. Fanatica e con una visione misogina di tutte le altre donne, traumatizzò il piccolo Edward fin dall’infanzia. Non che Ed non abbia dimostrando, fin dalla tenera età, una malsana inclinazione verso il macabro. Nel finale diventa tutto un po’ troppo rapido ma, ovviamente, era impossibile poter raccontare una storia realmente enorme in una foliazione così ridotta, ovvero 44 tavole.

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Il racconto parte dalle fonti e dai documenti storici e questa caratteristica lo rende più definibile come graphic journalism che narrazione pure delle gesta di un maniaco in quanto la ricostruzione essenzialmente fedele. L’aspetto di cronaca è evidente soprattutto nelle tavole di Francesco Paciaroni. Il giovane disegnatore riprende più volte le foto d’archivio scattate dalla polizia durante le indagini. Paciaroni però ristruttura il tutto non soffermandosi sui dettagli in maniera ossessiva, rendendo personale e stilisticamente macabra ogni tavola. L’inchiostrazione sbavata di bianchi e neri pesanti, ma non eccessivi, dona una sensazione di incompiuto che rafforza l'idea di sporco, nell’accezione emotiva del termine. Il tratto realistico è leggermente acerbo ma funziona. I volti dei personaggi hanno un registro grottesco in perfetta linea col mood dell’opera.

L’introduzione della vicenda avviene tramite l’ormai celebre Alfredo Petronio, capostipide della famiglia Petronio, protagonista della celebre saga The Cannibal Family. Queste prime tavole sono illustrate dal boss di casa Inkiostro, Rossano Piccioni. Il cartonato, infine, è ben curato e in un formato 21x28 che amplifica la fruizione della tavole.

Il Corvo: Memento Mori 1, recensione: Vittime, non lo siamo tutti?

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Si possono dire tante cose sul fenomeno de Il Corvo - opera nata dalla mente di James O’Barr negli ormai lontani anni '80 - fumetto underground che richiama quel movimento Dark e Gothic musicale tra The Cure, Joy Division, Bauhaus da cui trae ispirazione per estetica ed emotività, unita all’esorcizzazione della vicenda molto personale della morte della sua fidanzata. Sull'opera originaria se ne è parlato tanto, quello che ci interessa è soffermarci sui suoi sequel. L’opera di O’Barr era conosciuta nell’ambiente, ma divenne mito e culto dopo la versione cinematografica ad opera di Alex Proyas con protagonista il defunto Brandon Lee, una morte avvenuta sul set dello stesso film che ne aumentò l’epicità definendo, forse per sempre, le sembianze nel nostro immaginario della figura di Eric Draven.
Successivamente son stati fatti altri film ed altre storie a fumetti che portano il nome de Il Corvo, ma nessuna è rimasta a lungo impressa finendo tutte presto nel dimenticatoio. Non che il fumetto di O’Barr brilli in sceneggiatura e disegni, ma dentro aveva una carica di rabbia, delusione, disperazione ed infinito amore che han portato il titolo a divenire il mito che è oggi.

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Nel 2019 arriverà al cinema il reboot dell’opera originale, con Jason Momoa come protagonista di cui molti si son già lamentati, parlando più con l’emotività che con la razionalità. Ricordiamo che il personaggio di O’Barr era bello pompato, a differenza di Brandon Lee, ma questa è un’altra storia. Siamo nell’era dei reboot, sequel e quant’altro e, ci piaccia o no, è così. Era solo questione di tempo prima che toccasse anche al Corvo. Sulla scia di questo rilancio, arrivò anche l’annuncio di Memento Mori, un progetto importante che vede la BD Edizioni di Marco Schiavone e la IDW co-produrre l’opera per il mercato americano ed internazionale. Questa volta però il parto è tutto italiano: autori italiani con location italiana. La probabilità di un faschio era dietro l’angolo, nonostante il titolo, ma non è stato così. I nomi in ballo sono grossi: Roberto Recchioni, Werther dell’Edera, Matteo Scalera, Davide Furnò, Alberto Ponticelli, solo per dirne alcuni.
L’opera è strutturata in 4 spillati mensili da 33 pagine. In ogni albetto è presenta la storia madre, scritta da Roberto Recchioni e disegnata da Werther dell’Edera e una mini storia autoconclusiva che aggiunge pezzi al puzzle, prodotta da diversi autori. In questo primo numero vediamo Matteo Scalera con colori di Moreno Dinisio.

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Passiamo quindi a Memento Mori. La storia riprende il tema classico introdotto da James O’Barr: la vendetta. Se nell’opera prima c’era Eric Draven che, come ormai tutti sanno, richiama foneticamente The Raven, ovvero il corvo, nell’opera di Recchioni abbiamo David Amadio. Già da questo possiamo intuire quale direzione verrà presa, ma procediamo con ordine.
Recchioni ambienta la vicenda nella sua Roma (chi al posto suo non l’avrebbe fatto), in maniera però del tutto motivata, essendo la città la capitale mondiale del cattolicesimo e sede della Città del Vaticano. Un attentato kamikaze ammazza decine di persone durante una processione, compreso David, chierichetto della chiesa, e la sua amata Sarah. Al ragazzo viene data la possibilità di vendicarsi grazie alla figura del corvo, lo psicopompo. Insomma le tematiche intuibili sono la vendetta e lo scontro tra religioni.

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La sceneggiatura di questo primo albo è tesa e diretta. La prima parte introduce la sacralità della città e la faccia della medaglia oscura della religione, quella della spada. David è la spada che farà sgorgare sangue in nome di Dio. Ma che ne sappiamo noi di Dio? Lui stesso lo dice in una delle scene più belle del volume, lo scontro con un suo coetaneo dal diverso credo. L’ambientazione di Roma e il mood oscuro si percepiscono dalla prima all’ultima vignetta. Lo storytelling dell’autore, sempre asciutto e deciso, rende le sequenze e il personaggio di David molto melodrammatiche, senza eccedere però in teatralità ostentate. Una drammaticità che Recchioni muove e gestisce bene.

Il lavoro di Dell’Edera e della Niro è impressionante. Pagine pulite e dalla facile leggibilità, con flashback appena sketchati e dalle tonalità chiare, e nei momenti d’azione sempre molto enfatici ma mai eccessivi. L’albo così risulta molto efficace, la sequenza iniziale, in particolare, offre un ritratto notturno di Roma affascinante che non scade nella classica immagine da cartolina che ci viene sempre propinata. Le tonalità di blu ne amplificano la cupezza, con lampi in tonalità di arancione. Tutto diventa praticamente meno Goth e più punk, partendo proprio dal design di David, vigilantes in All Star. Da brividi il ‘nuovo’ Corvo in piedi, sulle spalle dell’angelo che troneggia su Castel Sant’angelo.

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La short story presente in questo albo è firmata da Matteo Scalera che, in modo meno didascalico e più libero, struttura la narrazione in maniera dettagliata e dal dinamismo esemplare. "Virtù Sepolta", questo il titolo firmato da Scalera, si addentra ancora di più nel tema della vendetta, ma in maniera completamente differente, mostrandone le conseguenze e il risultato finale. La colorazione di Moreno Dinisio, arricchisce il bianco e nero con un tocco di giallo.
L’albo, infine, è arricchito da un ottimo comparto redazionale firmato da Micol Beltramini, mostrando le origini del mito e la lunga storia che portò alla pubblicazione. Altra nota di merito è la cura dell'edizione: lo spillato, in soft touch e con alette interne nere che, aprendo completamente, richiamano le ali di un corvo, rendono grazia alla storia.

Dopo averne letto il primo albo possiamo dire che, a differenza dell’opera di O’Barr - che aveva più cuore che metodo -, tutto è pensato in maniera dettagliata e con arte. Struttura e narrazione pulita e ragionata che, al momento, è di certo superiore a tutti i sequel apparsi fino ad ora.
Quel timore di base di un titolo fatto solo per sfruttare l'appeal commerciale del personaggio sembra essersi affievolito con una prima parte realmente ben giostrata e che mostra la qualità e la professionalità degli autori per questo ambizioso progetto.

I maestri del mistero. Il ritratto di Dorian Gray, recensione: il capolavoro di Oscar Wilde a fumetti

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Gli adattamenti non sono mai facili, soprattutto se si tratta di opere immortali e capolavori di genere. La sfida è impegnativa ma non impossibile se conosci il mezzo del tuo lavoro, lo spirito della storia da adattare e ci aggiungi un pizzico di intraprendenza e coraggio. Edizioni Star Comics già precedentemente è stata promotrice dell’adattamento di opere letterarie nella collana I Maestri dell’Avventura e I Maestri dell’Orrore, sotto la supervisione di Roberto Recchioni. Ora, nella nuova collana intitolata I Maestri del Mistero, troviamo 4 opere che hanno fatto la storia della letteratura: Il giro di vite di Henry James, Il mastino dei Baskerville di Sir Arthur Conan Doyle, I delitti della Rue Morgue di Edgar Allan Poe e infine Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde. Quest’ultimo, ovvero il capolavoro dello scrittore irlandese, è affidato a Giovanni Masi ai testi e Marianna Ignazzi ai disegni.

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Per chi non la conoscesse, la trama è la seguente: il romanzo narra le vicende di un giovane ragazzo inglese, Dorian Gray a cui un pittore di nome Basil fa uno splendido ritratto. Dorian, sedotto dai discorsi filosofici sull’importanza della giovinezza di un ricco dandy inglese, tale Lord Wotton, arriva a desiderare di poter rimanere sempre giovane anche a costo di perdere la sua anima. Il mefistofelico patto va in porto e il quadro inizia ad invecchiare al posto di Dorian, ormai senza anima. Avido di piacere, si abbandona agli eccessi più sfrenati, mantenendo quindi intatta la freschezza e la perfezione del suo viso e del suo corpo.

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La solida e ben scandita narrazione di Masi evidenzia gli esatti snodi importanti del romanzo e presenta scene ben congegnate. I dialoghi sono fitti, col giusto tono e la giusta dialettica dell’epoca, ma forse eccessivamente fitti. Molte vignette sono surclassate da dialoghi che lasciano poco spazio all’immagine. Non è facile catturare e sintetizzare l’opera di Wilde, questo è certo. Tagliando eccessivamente si sarebbe caduti nella trappola di salti concettuali che avrebbero fatto perdere il senso della vicenda. La verità quindi si trova nel mezzo. Le parti fondamentali dell’opera son dunque rispettate, le altre un po’ meno. Gli eccessi di Dorian nella lussuria più sfrenata vengono riassunti in un paio di doppie splash-page, riducendone l’impatto descrittivo e le reazioni di scalpore della gente alle cosiddette “bassezze morali” per i piaceri della carne. Il passaggio della caduta morale di Dorian viene eccessivamente compressa. Scelta comunque accettabilissima avendo il focus sulle dinamiche della perdita dell’anima e conseguente scelta di porre fine alla dannazione.

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Il tratto di Marianna Ignazzi è delicato e preciso. La caratterizzazione stilistica di Dorian rispecchia perfettamente i canoni estetici espressi da Wilde. Il Gray della disegnatrice ha eleganza, bellezza, purezza e fascino. Anche i comprimari hanno la giusta resa visiva, come il sofisticato charme di lord Henry Wotton che risulta tagliente ed essenziale. La doppia splash dell’incontro tra Basil e Dorian ha in sé una dinamicità impressionante: tutto avviene nella stessa stanza ma in momenti diversi, senza nessuna griglia a suddividere il tempo, riuscendo in una narrazione scandita comunque in maniera lineare e strutturalmente forte.

Il volume ha un’introduzione alla figura di Oscar Wilde fatta dallo stesso Recchioni e da Kevin Scauri e, a fine volume, un apparato critico supplementare all’opera a cura di Michele Monteleone, che impreziosiscono l’edizione. Il cartonato soft-touch ormai è una scelta sempre gradita e non di poco conto.

Ugo-go-go. L’ecuzzo ribelle, recensione

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BaBao è la linea editoriale della Bao Publishing dedicata a un target più giovane. Divisi per fascia d’età, in diversi livelli, dall’1 al 3, rientrano in essa diversi graphic novel dai contenuti per i più piccoli e dal forte impatto educativo, senza perdere lo spirito della casa editrice milanese per la componente imprescindibile della qualità narrativa. Ugo-go-go, l’ecuzzo ribelle fa parte di BaBao livello 2, ovvero opere pensate per bambini dai 7 anni in su.

La storia è scritta da Ilaria Mattioni, docente di Storia della comunicazione educativa e Storia dell’educazione giovanile presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Piacenza, che ha pubblicato nel 2017 il suo primo romanzo per ragazzi - Stelle di Panno - con la casa editrice Lapis. I disegni e i colori, invece, sono affidati ad Emanuele Racca, art director per l’associazione culturale Switch on future e collaboratore per Graphic News come autore di reportage a fumetti. Insomma, un bel team per un progetto che ha come mission, quella di trasmettere un messaggio profondo ai giovani lettori, ovvero chiedersi il perché delle cose e comprendere che magari trasgredire ad imposizioni senza senso non è sempre un male. La ribellione può portare a nuove prospettive e migliorie, afferma l’identità e lascia intravedere nuove prospettive sottolineando l’importanza della scoperta. Di contro gli adulti sono sempre un po’ restii al cambiamento, a quel salto nel vuoto del non sapere e al superamento della comfort zone che ci fa sentire sicuri.

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Le vicende raccontano la storia dell’ecuzzo Ugo-go-go, ovvero uno degli esseri che vivono nelle valli di Eco Perfetta, che ripetono le cose dette dai gridoloni, ovvero noi esseri umani. In poche parole, sono coloro che danno vita all’eco. Ugo-go-go è stanco di ripetere le sciocchezze ripetute dai gridoloni, che, lo portano a mettere in discussione i compiti e la ragion d’essere della propria specie. Da generazioni la loro vita è dedita alla ripetizione precisa, pulita e perfetta di ciò che viene detto, senza sbavature. Ci sono testi, scuole e tradizioni che riportano e insegnano il modo migliore per ripetere. La tecnica precisa e l’importanza della ripetizione. Per Ugo-go-go è un gran “rimbombo”. Bis-bis-nonsaquantevoltebis-nipote di colui che ha fondato la comunità cittadina nella valle, decide che vuole smetterla. Proprio quando, dopo tanto tempo in cui non passava più un gridolone, si avvicina una scolaresca. Da qui si snoda poi la vicenda e le peripezie dell’ecuzzo, in una narrazione molto fresca.

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La sceneggiatura di Ilaria Mattioni presenta una struttura lineare e dinamica. Le oltre 150 pagine si lasciano leggere agevolmente, essendo appunto pensate per un pubblico molto giovane. La caratterizzazione dei personaggi è precisa e ben delineata. Ugo-go-go è rappresentato come il ribelle che non sta alle decisioni senza chiedersi il perché di determinate azioni. La sfumatura giusta di ribellione che non si lascia trascinare, in maniera passiva, dagli eventi o dagli altri. La cristallizzazione e l’accettazione dello status quo, in cui le persone si trascinano ogni giorno, è messa a dura prova da chi, come il protagonista, cerca l’innovazione, la propria via, magari sbagliando, ma provando, senza rimpianti e prendendosi tutte le conseguenze delle proprie azioni. Anche l’aspetto di Ugo-go-go rispecchia i canoni del ribelle, con un’impostazione visiva da ragazzo sbarazzino. Merito dei disegni di Racca che hanno uno stile semplice ed efficace. Le tavole sono impostate con una griglia a poche vignette. Generalmente sulle tre con un massimo, in una sola tavola, da 5. Strutturazione scelta proprio per non appesantire la lettura e facilitare la focalizzazione da parte del bambino. I colori accesi risaltano i disegni mantenendo l’effetto ipnotico verso le tavole.

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In generale, quindi, si comprende subito lo studio e la grande esperienza nella narrazione infantile, oltre allo stile comunicativo sicuro e fatto ad arte. Cambiando prospettiva, ovvero considerando la lettura da parte di un adulto, la storia non risulta noiosa, anzi, appassiona fino all’ultima tavola. La Bao sforna quindi un’opera da leggere al proprio figlio, nipote o da regalare a qualcuno che necessita di materiale o esempi di come si debba fare narrazione per bambini.

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