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Superman di Geoff Johns 1 - L'ultimo figlio di Krypton, recensione: Rinnovare l'Uomo d'Acciaio

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Quando nel 1999 debuttava nelle fumetterie americane Stars and S.T.R.I.P.E., recupero da parte della DC Comics di vecchi personaggi di epoca bellica aggiornati per il nuovo millennio, nessuno avrebbe immaginato che il soggettista di quella serie dalla durata effimera sarebbe diventato l’autore maggiormente associato all’editore per tutti gli anni a venire. Geoff Johns iniziava in sordina una carriera che lo avrebbe visto diventare in pochi anni l’architetto assoluto dei maggiori eventi del DC Universe, il “Re Mida” capace di trasformare in oro qualsiasi serie da lui toccata. La sua capacità di estrarre le caratteristiche iconiche di personaggi classici e un po’ datati, come la maggior parte di quelli appartenenti alla library DC, per inserirle in un contesto attuale e renderle di nuovo appetibili, aveva contraddistinto le sue lunghe e felici gestioni di Flash, JSA e Green Lantern.

La sua consacrazione definitiva avviene nel 2005, quando la DC decide di festeggiare il ventesimo anniversario della pubblicazione dell’epocale Crisis on Infinite Earths con la pubblicazione di un evento altrettanto ambizioso, Infinite Crisis. Nella mini di 6 numeri, e in una pletora di speciali e tie-in associati, Johns e gli altri autori coinvolti celebrano la tradizione immaginifica dell’editore di Burbank, riportando in scena il Multiverso che era stato cassato dalla precedente “Crisi” ed elementi classici ad esso associato. In tal senso, Crisi Infinita rappresentò il culmine di una tendenza, quello del recupero di stereotipi della Silver Age rimossi dall’universo DC ai tempi della prima “Crisi”, che era iniziato sulle collane dedicate a Superman dirette dagli editor Eddie Berganza e Matt Idelson. L’evento, scritto da Johns per i disegni di Phil Jimenez e George Pérez, ebbe un forte impatto sul pantheon di personaggi DC e ne avrebbe condizionato le vicende per gli anni successivi. L’editore decise per un rilancio “morbido” delle sue principali collane, escludendo di azzerarne la numerazione a favore di nuovi scenari narrativi e di nuovi e prestigiosi team creativi. Così, mentre Grant Morrison iniziava la sua lunga gestione di Batman, Geoff Johns prese in carico le testate dedicate all’Uomo d’Acciaio, in quello che rappresentò il punto d’arrivo della sua carriera. Si sarebbe occupato principalmente di Action Comics, mentre avrebbe aiutato a lanciare il nuovo corso di Superman lasciandola poi nelle mani del suo co-autore e esimio collega Kurt Busiek.

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Panini Comics ha iniziato a raccogliere l’intera run scritta da Geoff Johns per le collane dell’Azzurrone in prestigiosi volumi cartonati, di cui il primo raccoglie le due saghe iniziali firmate dall’autore: Su, su e via!, sceneggiata insieme a Busiek per i disegni di Pete Woods e Renato Guedes, e L’Ultimo Figlio di Krypton. Quest’ultima è il piatto forte di questo primo tomo, perché vede la collaborazione ai testi tra Johns e Richard Donner, il mitico regista del primo Superman cinematografico, per i disegni della superstar Adam Kubert.

Entrambe le saghe si svolgono un anno dopo la conclusione di Crisi Infinita. La DC infatti stabilì che le proprie collane avrebbe effettuato un salto temporale di un anno dopo la conclusione del cross-over, un lasso di tempo in cui Superman, Batman e Wonder Woman si sarebbero momentaneamente ritirati, lasciando ad altri eroi il compito di proteggere il mondo. Questo gruppo di storie sarebbero state raccolte sotto l’ombrello denominato One Year Later. Le vicende di un mondo privato della sua iconica trinità di eroi sarebbe stato invece raccontato nel settimanale antologico 52.

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Su, su e via! è il classico “starting-point” post-evento editoriale, in cui si fa il punto sull’essenza di un personaggio per poi lanciarlo verso il futuro. Ritroviamo un Superman privato dei suoi poteri, a seguito dello scontro con il malvagio Superboy – Prime nel finale di Crisi Infinita, che da un anno si limita a vestire esclusivamente i panni di Clark Kent. La carriera di giornalista e il matrimonio con Lois Lane vanno a gonfie vele, ora che i compiti di supereroe sono appannaggio dei suoi colleghi della Justice League e della Justice Society of America. Inutile dire che minacce come Lex Luthor, l’Intergang e altri villain della colorata gallery degli avversari dell’Uomo d’Acciaio non tarderanno a ritornare più temibili che mai, mettendo sotto pressione un Clark depotenziato ma determinato a ritrovare le capacità per affrontare i suoi avversari.
Su, su e via! è tanto una classica “origin story” quanto una tipica avventura di Superman, all’interno della quale l’Uomo d’Acciaio compie un “viaggio dell’eroe” in otto capitoli, dal quale esce rinvigorito e rafforzato. Johns e Busiek riescono a rivitalizzare brillantemente tutti i classici comprimari delle storie dell’azzurrone come Lois Lane, Jimmy Olsen, Perry White e Lex Luthor, e ad approfondire il loro rapporto con Clark, così come si fanno apprezzare le nuove versioni di villain classici come Kryptonite Man, Bloodsport e Prankster. I due sceneggiatori scrivono una lunga lettera d’amore al personaggio, con un trasporto che ne fa perdonare l’eccessiva lunghezza, di almeno un paio di capitoli. Sul fronte artistico, Pete Woods e Renato Guedes svolgono un lavoro diligente ma senza particolari guizzi stilistici. L’impostazione della tavola è piuttosto classica, ma il tratto di entrambi, improntato alla linea chiara e esaltato dai colori luminosi di Brad Anderson, non manca di soddisfare il palato del lettore, soprattutto nelle numerose scene d’azione.

Per L’Ultimo Figlio di Krypton, la seconda saga contenuta nel volume e reale inizio della gestione Johns dopo il lungo prologo in tandem con Busiek, lo sceneggiatore decise di avvalersi della collaborazione di Richard Donner, il mitico regista del Superman del 1978 e suo mentore di gioventù. Ancora fresco di laurea, infatti, il giovane Geoff Johns aveva cominciato la sua carriera nel mondo dell’entertainment proprio come assistente del cineasta.
Il coinvolgimento di Donner nelle sceneggiature della collana storica di Superman, Action Comics, avviene in un momento in cui molte personalità del cinema stanno collaborando con le major dei fumetti, basti pensare alle storie di Kevin Smith per Daredevil e Green Arrow, di Reginald Hudlin per Black Panther e Spider-Man, o all’acclamato ciclo di Joss Whedon per Astonishing X-Men. Ma la presenza al fianco di Johns di colui che regalò il Superman di Christopher Reeve al mondo ha in sé un valore metatestuale e metaforico molto forte, perché l’eco di quel film epocale e spartiacque è ben presente in L’Ultimo Figlio di Krypton. Comincia qui un topos che sarà presente in molti lavori successivi dello scrittore, la rielaborazione personale delle opere fumettistiche e cinematografiche fondanti per la generazione a cui appartiene Johns, quella nata negli anni ’70. Se in questa saga lo sceneggiatore affronta il mito del Superman di Donner, nel futuro Doomsday Clock farà i conti col Watchmen di Alan Moore, mentre Three Jokers sarà un omaggio al The Killing Joke di Alan Moore con echi del Batman di Tim Burton.

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L’Ultimo Figlio di Krypton si apre con un Superman nuovamente nel pieno delle sue forze, intento ad ascoltare le registrazioni a lui lasciate dal padre Jor-El, in una Fortezza della Solitudine composta da cristalli come nel film del 1978. La routine della sua doppia vita come supereroe e giornalista viene improvvisamente sconvolta dall’arrivo, in una navicella atterrata direttamente a Metropolis, di un ragazzino che sostiene di essere l’ultimo sopravvissuto di Krypton. Una rivelazione che sconvolge tutte le certezze acquisite di Clark, che non potrà perdere troppo tempo in riflessioni per salvare il bambino, insieme a Lois, dalle mire dell’esercito. Intanto fa il suo arrivo sulla terra il Generale Zod con i suoi alleati Ursa e Non, per cercare il figlio del loro antico avversario, Jor-El, che li aveva esiliati nella Zona Fantasma.

La saga imbastita da Johns e Donner è un’epopea di respiro cinematografico, un vero e proprio blockbuster su carta che esplode nelle splash-page spettacolari di Adam Kubert, che si trasferì alla DC dopo un decennio in esclusiva alla Marvel per coronare il sogno di disegnare Superman. Una permanenza effimera, durata solo un paio d’anni prima di far ritorno nei lidi più familiari della Casa delle Idee, che hanno prodotto però tavole interessanti come quelle di questo Last Son of Krypton. L’artista si trovava in un periodo della sua carriera in cui non disdegnava sperimentalismi, evidenti tanto nelle bellissime copertine dipinte in tono di seppia per Action Comics, quanto nella scelta di dare al colorista, in questo caso Dave Stewart, tavole prive di chine che producono una piacevolissima sintesi cromatica tra matite e colori.

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L’ispirazione proveniente dalle due pellicole dirette da Donner è evidente (compreso Superman II che venne girato in larga parte dall’autore ma accreditato a Richard Lester) e Last Son ne trascina nella modernità gli elementi più iconici, a partire da Zod e dai suoi alleati, qui alla prima apparizione post-Crisis (senza contare le versioni provenienti da realtà alternative come quella apparsa in For Tomorrow di Brian Azzarello e Jim Lee). L’iconico avversario interpretato da Terence Stamp non aveva ancora fatto il suo reale debutto a vent’anni dal rilancio operato da John Byrne, che aveva stabilito che Clark fosse l’unico sopravvissuto di Krypton. Ma gli echi della varie versione cinematografiche dell’Uomo d’Acciaio echeggiano in tutta la saga, dal Superman Returns di Bryan Singer allora appena uscito (vedi il rapporto padre – figlio) a, incredibile a dirsi, il Man of Steel di Zack Snyder che sarebbe stato girato solo sette anni più tardi ma il cui finale ricorda molto da vicino quello di Last Son.

Al di là delle possibili ispirazioni e contaminazioni cinematografiche, il volume proposto da Panini Comics mette in luce tutto quello in cui eccelle un autore come Geoff Johns: la conoscenza assoluta dei “ferri” e dei trucchi del mestiere di sceneggiatore di fumetti, la capacità di distillare gli aspetti più complessi della lunga storia di personaggi iconici e di restituirli al lettore come nuovi e facilmente accessibili. E di trovare, in queste storie così popolari e spesso abusate, il potenziale per offrirne versioni rinnovate eppure rispettose della propria leggenda.

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Vita e morte di Luigi XIV. Il Re Sole, la recensione del volume Mondadori Comics

Quando si affronta il compito di raccontare la biografia di Luigi XIV di Francia, meglio conosciuto come il Re Sole, emblema stesso dell'assolutismo e dell'aristocrazia pre-rivoluzionaria, non può non venire in mente lo splendido film di Roberto Rossellini, che nel 1966 ne descrisse con minuzia documentaristica le fasi di presa del potere. Di fronte a tale pietra di paragone il rischio maggiore era di diventare ripetitivi, didascalici e noiosi era dietro l'angolo. Questo pericolo è stato evitato in modo abile e intelligente da Jean-David Morvan, Federique Voulyzè nel volume Mondadori Comics.

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Nella prima parte dell'opera, quella più ampiamente in debito verso la pellicola del regista italiano e intitolata Luminoso come il sole, gli autori mostrano come il delfino Luigi Deodato di Borbone diventi il Re Sole attraverso una serie di “quadri” o scene con poca azione ma molta tensione, grazie ad una narrazione che gioca coi flashback, dialoghi misurati ed essenziali e un montaggio serrato di episodi e momenti cruciali: il rapporto con il potentissimo cardinale Mazzarino, vero e proprio deus ex machina della Francia fino alla sua morte e protettore dell'erede al trono; la presa di coscienza del giovane monarca; l'eliminazione degli avversari politici; l'edificazione della regga di Versailles; la scelta della sfarzo come simbolo di potere e strumento di accentramento; la guerra contro gli Olandesi. Ne risulta un racconto d'insieme estremamente compatto, unito dal fil rouge della presa del potere, ma scorrevole e fluido nella lettura.
La seconda parte dell'opera (Versailles) si concentra primariamente sulla vita di palazzo e, forse perché copre un arco di tempo più lungo – si conclude con la morte del monarca – risulta meno consistente e più sfilacciata: ci sono molte, molte cose da raccontare e mostrare e troppe poche pagine per farlo.

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Il risultato complessivo comunque restituisce bene tutte le contraddizioni incarnate dal Re Sole, anche grazie al comparto grafico curato da Renato Guedes: simbolo vivente del privilegio aristocratico, Luigi XIV viene mostrato durante gli eventi mondani di corte, nello splendore di arredi, vestiti e acconciature dell'epoca, con il rosso e l'oro come colori prevalenti, ad alto contenuto simbolico anch'essi; il manierismo con cui sono rappresentate dame di corte, favorite e gentiluomini benché poco dinamico visivamente trasmette bene l'idea dell'immobilismo della corte a favore del Re. A questa magniloquenza, ricostruita in modo accurato dal disegnatore brasiliano pescando a piene mani dalla ritrattistica del '600 (Luigi fu anche patrocinatore di artisti, architetti e letterati), fanno da contraltare i momenti privati, che spesso coincidono con le decisioni politiche preganti e decisive del monarca: primi e primissimi piani del re o dei pochi che lo circondano, che sfumano o emergono dai neri, i chiaroscuri come cifra stilistica di un potere che è questione assoluta e personale (“lo Stato sono io”), ma anche privata e solitaria, quasi claustrofobica. Versailles, così suggestiva e lussureggiante, assume allora gradualmente i contorni di una prigione dorata, da cui si può comandare, osservare e controllare, ma all'interno della quale la vita di Luigi, dei suoi consiglieri e dei nobili è alla merce dello stesso caos che sembra contraddistinguere la fine del 17° secolo: le malattie, la decadenza e la morte, le tensioni sociali e religiose, lo stato di guerra.

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Unico neo negativo forse il finale che, se da un lato richiama intelligentemente l'incipit e il tema quasi religioso della successione, dall'altra scade in dialoghi eccessivamente scontati e sentimentali, poco in linea con il carattere del re raccontato mostrato fino a quel momento. Difficile, molto difficile, dicevamo, raccontare in poco meno di cento pagine tale complessità umana e sociale, e Morvan, Voulyze e Guedes ci sono riusciti in modo soddisfacente.

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