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Collezionare Image Comics, le tavole originali di Enrico Salvini in mostra a Napoli Comicon

Proseguiamo il nostro approfondimento sui 25 anni Image Comics, dopo i due articoli sulla storia (li trovate qui: parte 1 e parte 2), grazie alla collaborazione come media partner di Napoli Comicon. Proprio alla manifestazione partenopea, verrà allestita una mostra di tavole originali della casa editrice americana. Fra coloro che contribuiranno con un gran numero di tavole, troviamo Enrico Salvini, collezionista di lunga data che abbiamo intervistato per l'occasione.
 
Ciao, Enrico. Benvenuto su Comicus.
Sei un grande collezionista di tavole originali, raccontaci com’è nata la tua passione e qual è stata il primo originale che hai comprato.

Grazie a voi per avermi qui, Gennaro, e ai lettori che avranno voglia di leggermi.
La passione è nata per puro caso a una Lucca Comics pre-XXI secolo, credo nel '94. Stavo girando alla ricerca di comics quando ho visto uno stand con delle immagini in bianco e nero appese. Non era nessuno degli storici frequentatori della convention e non ricordo proprio il suo nome, ma mi è rimasto ben impresso il suo sguardo quando gli ho chiesto se erano fotocopie...  :D
Per qualche motivo l'idea che esistessero le tavole non mi aveva mai nemmeno sfiorato, ma quando ho visto una pagina di Iron Man di John Romita Jr. ho capito subito che qualcosa stava per cambiare, per usare un eufemismo. Era pagina 3 del numero 260, con testa di latta contro il Living Laser, e ce l'ho tuttora.

Al momento di quanti pezzi è composta la tua collezione e qual è l’ultimo nuovo arrivo?
Alcuni anni fa ho deciso che era inutile avere centinaia e centinaia di pezzi che non guardavo mai, perennemente confinati in portfolio Itoya che non venivano aperti da anni, quindi ho scelto di potare la collezione e dare a una casa d'aste un palmo di tavole in modo da poter poi reinvestire il ricavato in pochi pezzi da appendere al muro: ha funzionato ed ora sono il fortunato possessore di cosette che cercavo da anni senza potermele permettere. La collezione è comunque sempre bella ciccia, sui 400 pezzi, e gli ultimi arrivi sono due tavole a colori da Voodoo Child di Bill Sienkiewicz e una cover di Wonder Woman di Frank Cho. Assieme a quelli sono arrivati altri due pezzi da uno scambio a tre con un caro amico e un collezionista francese: sul mio muro quindi ora ci sono una cover di Mike Mignola da Rook, un personaggio di serie Z su cui Mike ha però fatto un lavoro da urlo, e una cover in b/n di Moon Knight sempre di Sienkiewicz. Il prossimo che aspetto invece è una commission di Robin Gnista, l'illustratore svedese che si è occupato della copertina di Holy Smoke, debut-album dei tuoi concittadini Lee Van Cleef, una band stoner/psichedelica che mi ha fatto esplodere la testa.

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Fra le tue passioni c’è naturalmente quella per la Image Comics che hai conosciuto quando è esplosa nel mondo del fumetto. Cosa ti ricordi di quel periodo e di quei fumetti, cosa avevano di diversi dagli altri?
La Image è arrivata sul mercato circa un paio danni dopo che avevo ricominciato a leggere le testate della Star e Play e un anno dopo il mio passaggio alla lingua originale. È stata una botta di adrenalina incredibile perché Todd McFarlane, Erik Larsen, Jim Lee e gli altri al lavoro su cose proprie erano fantastici.

Qual è la tua serie Image preferita?
Direi Savage Dragon, un po' perché mi sono sempre piaciuti il personaggio iniziale e l'evoluzione della serie e un po' perché ammiro la tenacia e la fantasia di Erik Larsen, un artista che ho sempre trovato divertente sia a livello grafico che di contenuti, oltre che per la creatività senza briglie nel creare personaggi assurdi. Lo leggo dal primo numero della miniserie, che ricordo di aver comprato in copie multiple da American Entertainment, un catalogo postale che spingeva molto sull'aspetto speculativo dei comics, e continuo a prendere i paperback adesso. È l'unico dei personaggi Image che continuo a seguire: ho provato a rileggere WildCats, Cyberforce, Wetworks, Youngblood e Supreme e non ce la faccio proprio, le storie sono veramente improponibili. Spawn ancora ancora, ma è una serie stralenta: Jack Kirby e Stan Lee avrebbero condensato il primo anno in un unico numero!  :D
Anche alcune serie non della primissima ora, come Pitt e Maxx sono illeggibili, sebbene con un artwork sensazionale. Sam Kieth era stellare, ma non aveva proprio un'idea chiara di dove andare a parare.
So che adesso Image ha una qualità di storie infinitamente più alta, ma è un po' che ho smesso di comprare comics perché la collezione di tavole assorbe tutti i miei fondi.

Sappiamo che alcune tavole della tua collezione verranno esposte al Napoli Comicon. Ci puoi dire quali saranno?
Ci sarà una bella selezione che dovrebbe piacere a chi la Image la segue dagli inizi: dei sette originali mi mancano McFarlane e Liefeld, il primo per questioni monetarie e il secondo perché non ho mai visto nulla della prima mini di Youngblood, che era imperdibile per la sua scandalosa tamarraggine, ma ho parzialmente recuperato con una doppia splash di Supreme inchiostrata da lui. Quindi ci sono WildCats di Lee, Wetworks di Whilce Portacio, Savage Dragon di Larsen, Shadowhawk di Jim Valentino, Cyberforce di Marc Silvestri e poi Dale Keown e Jae Lee.

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Fra le tavole Image che possiedi, qual è la tua preferita e perché.
Sono un po' indeciso tra una interna da WildCats Trilogy di un Jae Lee al picco assoluto della sua forma e una pin-up (e copertina di un magazine) di Savage Dragon di Erik Larsen con tutti i personaggi della Image prima ora.
ll Jae Lee di quel periodo mi piaceva da impazzire perché univa alla sua delicatezza di tratto, in seguito divenuta eccessiva, un'inchiostratura assieme morbida e affilata. Comunque è difficile scegliere, perché anche la cover di Shadowhawk 4, con matite di Valentino e chine di "Schiacciasassi" Larsen è un gran bel pezzo, in cui Jim viene completamente sepolto dalle chine di Erik.

Nei nostri articoli dedicati all’Image abbiamo accennato anche alle speculazioni che hanno poi portato alla crisi del fumetto americano degli anni ’90. Cosa ricordi di quel momento e che ne pensi di quest’aspetto del collezionismo?
Senza ipocrisia, ricordo che quel momento l'ho cavalcato senza risparmio, sia con Image che Valiant. Come molti ero impazzito per le cover "limited" e avevo scoperto American Entertainment, un catalogo postale da cui acquistare copie multiple a prezzi scontati con la possibilità di ottenere le varie gold foil, di cui te ne davano una -generalmente- ogni 25 copie standard. Wizard Magazine spingeva tutta la faccenda alla grande, quindi quando compravi cinquanta copie di un numeri 1 beccavi un paio di limitate, vendevi le standard a 5, 10, 20 volte il prezzo di copertina e poi riuscivi a vendere una delle gold facilmente a 100.000 lire, che allora erano soldini, e li ributtavi in nuovi ordini. L'ho fatto per un po' di tempo, fino ad arrivare a vendere un raccoglitore di trading card della Defiant con dentro la serie completa e una card speciale a mezzo milione di lire. Erano tempi così, una bolla pazzesca che poi avrebbe fatto dolorosamente implodere il mercato, infatti l'anno dopo a Lucca Comics avresti potuto lasciare lo stesso raccoglitore sul tavolo al giovedì per ripassare domenica e trovarlo ancora li. Image funzionava bene con i numeri 1, mentre Valiant era un delirio per tutti i numeri prima del crossover Unity in quanto erano stati tirati in poche copie e trovarli con le card dentro, o con le copertine intonse (tipo il numero 10 di Solar, completamente nero) non era facile, quindi si ottenevano prezzi mooolto interessanti.
Comunque, dopo American Entertainment, che poi è diventato Entertainment This Month, ho cominciato anche a fare acquisti da Kingpin Comics, che funzionava esattamente come la borsa. I fumetti, se volevi, manco te li spedivano: tu compravi 50 copie (o più) di Maxx 1, o Bloodshot 1, o di che diavolo usciva quella settimana, poi aspettavi il loro bollettino settimanale che ti diceva che se li volevi rivendere, invece del prezzo pagato (che era sempre inferiore a quello di copertina a seconda di quanti ne compravi) potevi avere il doppio, o 5 volte tanto, o anche più, quindi vendevi e acquistavi altro. Poi è arrivato Turok 1 con la sua copertina chromium foil embossed e il boccone gli è andato di traverso perché gli sono rimasti, dopo un breve picco di ipervalutazione, tutti sul groppone e la nave è affondata portando, alla fine, alla situazione di adesso, in cui la tiratura media dei comics è quella della Valiant della prima ora.
 
Sappiamo che oggi non segui più il mondo del fumetto come un tempo, cosa ti ha portato a questa scelta?
È una semplice questione di soldi: avendo famiglia, i fondi che ho disponibili per gli hobby sono decisamente più limitati e le tavole hanno la precedenza. Comunque compro ancora paperback e qualche Artist's Edition stampata direttamente dagli originali, ma comics nuovi mi capita di leggerli se li trovo alla mia biblioteca comunale. Questo ovviamente mi fa anche restringere l'interesse per le tavole a cose che leggevo in passato, ma la cosa non mi disturba più di tanto perché le tavole di adesso in linea di massima sono senza balloons, una cosa che mi disturba un po' perché si perde un po' del senso del fumetto, e si vedono sempre più spesso soluzioni logistiche che non amo, tipo le matite su un foglio e le chine su un altro, o pagine con dei panel vuoti perché copiati e incollati successivamente con Photoshop. Le stat di una volta, o le fotocopie, mi stanno bene perché la pagina è comunque completa, ma una tavola con dei buchi vuoti proprio no, e questo è un problema che si pone sempre più spesso.

Tornando al collezionismo, com’è cambiato dagli anni ’90 a oggi il mercato relativo alle tavole originali? È un fenomeno in crescita?
È assolutamente un fenomeno in crescita, sia come diffusione che come prezzi. Ormai per me gli acquisti sono diventati quasi impossibili, infatti scambio molto avendo accumulato cose interessanti durante un periodo in cui i costi di questa forma di collezionismo erano decisamente più abbordabili anche per cose di pregio. Quando ho cominciato c'erano solo annunci su riviste di settore e UN catalogo, quello di Graphic Collectibles, che Mitch Itkowitz era così gentile da mandarmi via fax permettendomi di riuscire ad acquistare cose belle. Poi l'arrivo di internet ha spalancato le porte del paradiso: io ho avuto il mio primo account e il mio primo website nel '95, un mese esatto dopo la fondazione di Ebay, e tramite Usenet si sono formati i primi gruppetti di collezionisti sparsi per il mondo, che anni dopo hanno trovato casa nei gruppi di Yahoo per confluire infine su Comicartfans. Tutto questo ha portato alla luce collezioni e la possibilità di vendere, comprare e scambiare molto più facilmente, contribuendo a una rapida espansione dell'hobby. Per me poi il massacro è cominciato con la frequentazione annuale della San Diego Comic Con (e non solo...) dal 1995 al 2007, e li c'erano concentrati in un unico posto tutti i dealer di original art che uno potesse desiderare, con la conseguente disponibilità di materiale che andava dalle 2 alle 6 cifre. Con l'arrivo poi delle case d'aste è arrivata anche l'esplosione dei prezzi fino a portare l'hobby a livelli impensabili anche solo 20 anni fa, tanto da far pensare a una bolla che prima o poi scoppierà, ma probabilmente non prima che sul mercato arrivino i veri pezzi da 90, quelli che porteranno le 7 cifre ad essere una realtà abbastanza "comune".

Un’ultima domanda: potendo esprimere un desiderio, quale originale impossibile vorresti aggiungere alla tua collezione? 
Hmmm, è come chiedere "Che disco porteresti su un'isola deserta?", è davvero difficile sceglierne una sola per la varietà di motivi per cui si collezionano tavole: nostalgia, amore per una storia, valore artistico, importanza di una storia... Probabilmente, pur non essendo tra i miei personaggi preferiti, la cover del numero 72 o del 74 dei Fantastic Four. Kirby era assolutamente in fiamme in quel periodo, e Silver Surfer e Galactus sono tra le più grandi creazioni di sempre, ma anche rimanendo solo confinati al Re c'è una tale quantità di sue cover e doppie splash fuori dal mondo da far girare la testa. Se me lo richiedi domani avrai una risposta diversa, comunque! :D

Le tavole nell'articolo e nella gallery in basso sono:
Cyberforce #4 pgs.14/15, Marc Silvestri & Scott Williams
Kiss Psycho Circus #31 pg.3, Clayton Crain & Kevin Conrad
Pitt #1 pg.15, Dale Keown
Pitt trading card, Jae Lee
Savage Dragon #15 pin-up, Erik Larsen
Shadowhawk #4 cover, Jim Valentino & Erik Larsen
Superpatriot Liberty & Justice #2 pg.18, Dave Johnson
Supreme #1 pgs.04/05, Brian Murray & Rob Liefeld
Wetworks #4 pgs.4/5, Whilce Portacio & Scott Williams
Wilds Cats #4 pg.10, Jim Lee & Scott Williams
Wild Cats #21 pg.24, Travis Charest & Troy Hubbs
Wild Cats Trilogy #2 pg.19, Jae Lee

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La storia della Image Comics, parte 2: Declino e rinascita

  • Pubblicato in Focus

Dopo avervi narrato la nascita e l'ascesa della Image Comics, ecco la seconda parte del nostro approfondimento sulla casa editrice americana che quest'anno celebra i suoi 25 anni di vita. Ricordiamo che Napoli Comicon, di cui siamo media partner, dedicherà una mostra di tavole originali alla Image.

Image Comics: la storia
Parte 2: Declino e rinascita

Come vaticinato in precedenza da molti analisti, a metà degli anni ’90 scoppia la bolla speculativa che investe e ridimensiona fortemente l’industria del fumetto americano. Il boom del quinquennio precedente risultava essere solamente l’effetto di un mercato drogato da speculatori senza scrupoli, senza un reale allargamento del bacino di utenza. Sul finire degli anni ’80 era iniziata la pratica, in voga soprattutto in casa Marvel, di stampare copie alternative dello stesso albo, diversificate solo da una copertina alternativa, le cosiddette variant: queste potevano avere un’illustrazione differente, oppure un disegno con un rilievo gold o platinum. Spesso gli albi venivano imbustati con delle trading cards allegate, e il lettore doveva acquistarne più copie se voleva completarne la collezione. Si trattava di strategie commerciali che avevano poco a che fare con la qualità degli albi e che attirarono l’attenzione di affaristi e profittatori altrimenti per nulla interessati al settore. Vengono quindi ordinate molte copie di uno stesso albo, sperando che col tempo l’edizione speciale di uno di questi possa aumentare di valore, speculando sul prezzo. Il boom del mercato dei comics non risulta corrispondere ad un reale aumento del numero degli acquirenti o tanto meno dei lettori. L’effetto domino si scatena quando interi scatoloni di albi restano invendute nei magazzini delle fumetterie, che cominciano a chiudere una dopo l’altra. Ne scaturirà, dopo anni di vacche grasse, un’inesorabile contrazione del mercato che lascerà solo macerie dietro di sé, portando alcuni colossi come la Marvel a dover dichiarare bancarotta.

La Image, pur non avendo mai speculato troppo su cover variant e affini, risente comunque della crisi del settore, aggiungendo ai problemi oggettivi dell’industria contraddizioni mai risolte all’interno dell’azienda. L’editore deve fare i conti con un progressivo disamoramento, salvo qualche eccezione, dei soci fondatori dalle serie che hanno creato. Il caso più emblematico è l’annunciato cross-over con la Valiant Comics, conosciuto come Deathmate, di cui vengono ordinate milioni di copie in prevendita dai distributori, certi di andare sul sicuro vista la mania di cui i fumetti Image sono oggetto. La Valiant consegna i propri capitoli mentre la Image buca clamorosamente le consegne, compromettendo l’evento e recando un danno enorme ai rivenditori che avevano prenotato gli albi. Quando la serie viene completata sono passati molti mesi e l’interesse intorno al cross-over è svanito, lasciando migliaia di albi invenduti sugli scaffali delle solite, incolpevoli fumetterie. La difficoltà nel rispettare le consegne sarà una piaga che da quel momento in poi affliggerà costantemente le serie targate Image. Molti dei soci fondatori, d’altronde, ormai pensano ad altro.

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Todd McFarlane ha lasciato i disegni di Spawn nelle mani del pur capace Greg Capullo per lanciarsi nel settore del merchandising e delle action figure tratte dalle sue creazioni, oltre a frequentare Hollywood nella speranza di cedere vantaggiosamente i diritti di sfruttamento di Spawn a qualche studio cinematografico. Stesse aspirazioni coltivano Marc Silvestri e Rob Liefeld: quest’ultimo in particolare è una fucina di idee, tanto da fondare un ulteriore etichetta, Maximum Press, per la realizzazione di progetti personali. Gli altri soci adombrano il sospetto che Liefeld abbia sottratto del denaro dalle casse della Image per finanziare la Maximum Press, facendogli prima causa e poi allontanandolo dalla casa editrice che aveva contribuito a fondare. Improvvisamente, una crepa attraversa quel granitico blocco di talenti che aveva saputo sfidare e sconfiggere il colosso Marvel. Una prima avvisaglia si era già avuta quando Jim Lee e Liefeld, senza avvertire i soci, avevano accettato la proposta della Marvel di correre al capezzale di quattro moribonde serie classiche: è il 1996 e la Casa delle Idee annuncia il ritorno a casa di dei due autori per realizzare Fantastic Four, Iron Man, Avengers e Captain America con il collaudato stile Image. L’evento passa alla storia come il progetto Heroes Reborn, la Rinascita degli Eroi, e ottiene una visibilità e un successo clamoroso, che le quattro serie classiche, in epoca di predominio delle testate mutanti, non conoscevano dai tempi di Stan Lee e Jack Kirby. Ma McFarlane e gli altri soci avrebbero presto incassato un colpo ancora peggiore. Nel 1999 Jim Lee annuncia di aver venduto la sua etichetta, la Wildstorm Productions, alla DC Comics, sottraendo alla Image uno degli studi che la componevano e uscendo di fatto dalla casa editrice. Alla base c’è una valutazione personale di Lee, che vede profilarsi all’orizzonte un periodo duro per gli editori indipendenti e ritiene che i suoi personaggi troveranno una miglior collocazione all’interno del DC Universe; l’artista verrà coinvolto inoltre in progetti di altissimo profilo e di grande successo per la casa editrice, come Batman: Hush del 2002, e inizierà una scalata ai vertici dell’azienda in cui oggi riveste il ruolo di Editore Responsabile. La fuoriuscita della Wildstorm e di Jim Lee è una mazzata quasi fatale per la Image, che in un colpo solo perde la sua vera superstar e il suo disegnatore di punta, un parco personaggi di tutto rispetto che era stato valorizzato negli anni da scrittori come Warren Ellis e Alan Moore, e, come se non bastasse, i nuovi progetti di questi ultimi che erano di imminente uscita proprio per la Wildstorm: la linea America’s Best Comics, interamente curata da Moore e le  nuove e attesissime serie di Ellis, Planetary e The Authority. Entrambe, come la sotto-etichetta di Moore, avrebbero visto la luce presso la nuova Wildstorm inglobata nella DC.

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Alla fine degli anni’90 la Image è una realtà editoriale in declino: ha rappresentato meglio di qualsiasi editore lo spirito del decennio che si sta chiudendo ma fatica a rinnovarsi. L’idea di un universo supereroistico con cui sfidare il duopolio Marvel/DC è ormai fallita, soprattutto dopo l’abbandono di Lee; inoltre l’epoca degli anti-eroi violenti e arrabbiati è finita. Kingdom Come di Mark Waid e Alex Ross ha suonato la carica per il ritorno in pompa magna degli eroi classici: in casa DC, Grant Morrison scrive il rilancio della JLA, immaginandone i membri come dei di un pantheon; parallelamente, alla Marvel, Kurt Busiek e George Pérez, la più “classica” delle coppie immaginabili, riportano gli Avengers alla loro perduta grandezza. Tutto ad un tratto gli antieroi Image, così cool fino a pochi anni prima, sono fuori moda come il Sega Mega Drive. Spawn vivacchierà ancora per qualche anno grazie alle matite di Capullo prima di uscire per sempre da quella top ten degli albi più venduti che lo aveva ospitato fin dalla sua nascita; perderanno appeal anche gli eroi misticheggianti della Top Cow di Marc Silvestri come Witchblade e The Darkness, che avevano conosciuto una fugace stagione di successo grazie ai disegni, tra gli altri, del prematuramente scomparso Micheal Turner.
Lee se n’era andato, come Whilce Portacio che abbandonerà per qualche anno il mondo del fumetto in seguito ad un grave lutto famigliare. Liefeld era stato cacciato. Silvestri ed Erik Larsen torneranno occasionalmente alla Marvel per qualche progetto speciale. Il solo McFarlane resterà sempre coerente con se stesso e non lavorerà mai più con nessuna delle due major.
Ma la Image aveva ancora qualcosa da dire. Bisognava solamente chiudere con i supereroi e cercare nuove strade.

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All’inizio del nuovo millennio si fa strada nell’industria del fumetto un nuovo modo di scrivere, definito decompresso, che adotta i ritmi dilatati e dialogati di serie televisive come NYPD Blue. Maggior artefice del successo di questa nuova tendenza è Brian Micheal Bendis, che dopo essersi fatto un nome con fumetti noir indipendenti in bianco e nero come Jinx, Torso e Goldfish, viene scelto da McFarlane per i testi di una serie spin-off di Spawn, incentrata sulle indagini dei detective Sam & Twitch. La consacrazione dello scrittore di Portland avviene però con Powers, serie a metà tra poliziesco e fumetto di supereroi che impone un nuovo corso in casa Image. I dialoghi serrati di Bendis e lo stile squadrato e cartoonesco del disegnatore, Micheal Avon Oeming, si distaccano notevolmente da quanto prodotto dalla casa editrice fino a quel momento. Sotto la grande “I” avevano già fatto capolino prodotti dalle ambizioni più autoriali, basti pensare a The Maxx di Sam Kieth, Astro City del duo Busiek - Anderson, Rising Stars e Midnight Nation di J. Michael Straczynski, ma è Powers a rappresentare meglio di ogni altra serie la nuova Image degli anni 2000. Bendis farà talmente parlare di sé che verrà cooptato da Joe Quesada e Bill Jemas per la Marvel del nuovo corso post-bancarotta, realizzando Ultimate Spider-Man, l’aggiornamento delle origini del tessiragnatele per gli anni 2000, cambiando per sempre il linguaggio del fumetto di supereroi con una run leggendaria di Daredevil e dando il via alla rinascita degli Avengers con un ciclo decennale che è causa diretta del ritorno del gruppo sotto i riflettori e delle iniziative cinematografiche ad esso collegate.

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L’esplosione di Bendis è solo uno dei meriti della Image del nuovo millennio, che per la prima volta decide di mettere in secondo piano l’aspetto grafico per investire pesantemente sulla sceneggiatura e su autori che possano portare nuove idee e una ventata di freschezza. La svolta decisiva avviene con la nomina di Jim Valentino ad Editore Responsabile. Valentino, con un passato nell’editoria indipendente già prima della sua esperienza in Marvel, decide di allargare lo sguardo oltre l’orizzonte del fumetto di supereroi e di mettersi alla ricerca di progetti alternativi e di nuovi talenti. Oltre a Bendis, la Image pubblica in quegli anni i primi lavori di un giovane predestinato, Robert Kirkman, come Tech-Jacket, Brit e soprattutto Invincible. Ma è con The Walking Dead del 2003, su disegni di Tony Moore prima e Charlie Adlard poi, che avviene la consacrazione dell’autore. Si tratta di una serie post-apocalittica, in un mondo devastato dove pochi superstiti devono farsi strada tra orde di zombi e la cupidigia degli esseri umani, oltretutto in bianco e nero, su cui nessuno sembra voler scommettere. Grazie al passaparola e all’abilità di Kirkman nel tenere il lettore incollato alla sedia e a tornare per il numero successivo, la testata diventa la più venduta della Image e il simbolo della rinascita della casa editrice, ispirando inoltre il serial televisivo omonimo trasmesso in USA dall’emittente AMC.
L’operato come Editore di Valentino mira a rafforzare quindi Image Central, cioè il gruppo di testate non collegate agli studios dei soci fondatori. Nel 2004 gli succede Erik Larsen, che continua la sua opera di scouting: sua è la scoperta di Jonathan Hickman, autore presso Image di The Nightly News, Pax Romana ed East of West, nonché futuro sceneggiatore di Fantastic Four e Avengers per la Marvel. Larsen riesce anche a fare da mediatore tra Liefeld e gli altri soci, che ne accettano il ritorno anche se non più come partner associato ma come semplice artista. I personaggi dell’autore possono comunque fare ritorno a casa, sotto l’ombrello Image.

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L’Image dei giorni nostri prende definitivamente corpo con l’arrivo, come editor, di Eric Stephenson e con la nomina, come partner associato, di Robert Kirkman e del suo studio Skybound. L’operato di Stephenson guarda al superamento del fumetto di supereroi, ormai presenti in minima parte nel catalogo Image, al varo di progetti di qualità e più vicini alla sensibilità indie e, cosa più importante, alla ricerca costante di nuovi talenti ma anche di nomi più consolidati, che possono essere “soffiati” a Marvel e DC offrendogli la proprietà delle proprie opere, controllo creativo e altre condizioni vantaggiose che le due major non potrebbero, né vorrebbero, proporre. Non deve stupire quindi se un numero sempre più consistente di sceneggiatori abbandonano le testate dei due colossi per portare i propri progetti personali all’ombra della grande “I”: è il caso di Brian K. Vaughan e Fiona Staples con Saga, space-opera amatissima da pubblico e critica; di Matt Fraction e Chip Zdarsky con Sex Criminals, divertente attacco al comune senso del pudore tipico del puritanesimo americano condito da crime – story; di  Jeff Lemire e Dustin Nguyen con Descender, rivisitazione fantascientifica della favola di Pinocchio e di Jason Aaron e Jason Latour con Southern Bastards, straordinaria saga di eredità paterne e bassezze umane arricchita da tocchi alla True Detective. E la lista potrebbe proseguire a lungo.

Anche se con esiti diversi dalle premesse iniziali, il sogno di una zona franca, un’isola felice dove gli autori possano lavorare liberi da qualsiasi vincolo si è infine realizzato. Il sogno dei soci fondatori rimasti, Marc Silvestri, Jim Valentino, Erik Larsen e naturalmente Todd McFarlane, che resta saldamente in sella come Presidente.
La vicenda di un consorzio di studios facenti capo a sette artisti straordinari, dediti al culto dell’immagine e di un’estetica superficiale che si trasforma nel faro del fumetto indipendente e di qualità è uno di quei paradossi e di quelle parabole che possono accadere solo nel magico mondo dei comics americani.
Citando Todd McFarlane all’indomani dell’abbandono di Jim Lee:
“Whilce ha lasciato. Rob ha lasciato. Jim è ritornato alla Piantagione (la DC Comics, ndr). Ma la Image Comics continuerà per sempre. Abbiamo costruito un'entità che va oltre il singolo individuo”.

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La storia della Image Comics, parte 1: Nascita e ascesa

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In occasione dei 25 anni della Image Comics, Napoli Comicon dedicherà una mostra alla nota casa editrice indipendente. Comicus, fra i media partner della manifestazione partenopea, realizzerà una serie di articoli a tema. Partiamo oggi con un approfondimento sulla nascita della Image e sui suoi primi anni di vita.

Image Comics: la storia
Parte 1: Nascita e ascesa

Agli inizi degli anni ’90 il mercato del fumetto americano registra le vendite più alte della sua storia. A fare da traino a questo trend è il successo, presso la Marvel Comics, di alcune serie realizzate da giovani artisti dall’approccio grafico rivoluzionario, come Todd McFarlane, Jim Lee e Rob Liefeld. Accomunati dalla capacità di far letteralmente esplodere su pagina i propri disegni, grazie ad un tratto potente e adrenalinico, pur con le loro specifiche peculiarità, i tre illustratori sono i maggiori responsabili del rinnovamento grafico che investe il settore a partire dalla fine degli anni ’80, quando vengono messi sotto contratto dalla Marvel per lavorare su alcune delle serie più prestigiose dell’editore. Su Amazing Spider-Man McFarlane rivoluziona il look dell’Uomo Ragno, tornando alla versione di Steve Ditko ma aggiornandola per i tempi moderni, ritraendolo in pose impossibili che lo avvicinano ad un aracnide, allargando a dismisura le lenti della sua maschera e introducendo la ragnatela spaghetti, che da quel momento in poi sarà una caratteristica del personaggio. Liefeld e Lee operano invece nel settore “mutante” della casa editrice, quello di maggior successo: il primo trasforma New Mutants da una serie incentrata sulla crescita e sulla formazione di un gruppo di giovani mutanti a una saga su un gruppo d’assalto paramilitare, introducendo nuovi personaggi come Cable e Deadpool, che diventano presto beniamini del pubblico; il secondo forma su Uncanny X-Men un binomio perfetto con Chris Claremont, realizzando eroi ed eroine di una bellezza impossibile e illustrando meravigliosamente il saluto finale dello sceneggiatore alla serie che ha scritto per 16 anni.

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Per la prima volta dai tempi di Jack Kirby, un artista diventa popolare e oggetto di culto presso i fan quanto i personaggi che disegna, ma con una differenza sostanziale: le vendite delle serie realizzate dai tre autori sono stellari. La Marvel capisce di avere in casa la proverbiale gallina dalle uova d’oro e annuncia l’uscita, per l’estate del 1991, di tre nuove serie: Spider-Man, curata per i testi e disegni da Todd McFarlane; X-Men, che si fregerà dei disegni di Jim Lee; X-Force, nata dalla ceneri di New Mutants e realizzata da Rob Liefeld. Ciascuno dei tre numeri d’esordio segna un record di vendite, nell’ordine di milioni di copie: il podio viene conquistato da X-Men 1 con otto milioni di copie, a tutt’oggi l’albo più venduto della storia del fumetto americano. Lee, Liefeld e McFarlane hanno talento come artisti, ma se la cavano discretamente anche come uomini d’affari: sanno bene quanto il loro apporto sia determinante al successo delle serie da loro realizzate, e vorrebbero vedere il loro lavoro adeguatamente ricompensato. Il perno del loro malcontento ruota soprattutto intorno alla questione delle royalties, cioè il riconoscimento di un compenso in denaro per lo sfruttamento di personaggi di propria creazione. Inoltre c’è un problema creativo: McFarlane e Liefeld, in particolare, vogliono il controllo delle testate da loro curate, senza la mediazione di alcun editor. La Marvel non è d’accordo con la posizione dei tre autori ritenendoli semplici impiegati, per quanto talentuosi, e individuando il motivo del successo delle serie da loro curate nel fascino dei personaggi di proprietà della compagnia. Ci troviamo in un momento storico in cui la Marvel è in causa addirittura con Jack Kirby, co-creatore dei principali personaggi dell’azienda, a cui non vengono riconosciuti i diritti d’autore. Una riunione drammatica nella sede della casa editrice tra McFarlane, Lee, Liefeld e Terry Stewart, il presidente, sancisce l’insanabile rottura tra la Casa delle Idee e i tre artisti, che abbandonano l’azienda sbattendo la porta. Ma Liefeld e soci avevano un piano di riserva.

L’artista, che già da tempo aspirava a pubblicare personaggi di sua creazione, aveva ricevuto un’offerta dalla Malibu Graphics, piccolo editore di fumetti in bianco e nero, per pubblicare fumetti originali di cui l’autore avrebbe mantenuto controllo creativo e diritti d’autore. Liefeld aveva avuto modo di confrontarsi su questa proposta con McFarlane, il cui malcontento era pari al suo, e aveva chiesto consiglio a Jim Valentino, in quel momento al lavoro in Marvel su Guardians of the Galaxy ma con un passato nell’editoria indipendente. L’insoddisfazione e il timore di non cavalcare quel grosso business che era diventata l’industria del fumetto nei primi anni ’90, frutto di una bolla speculativa che in pochi anni avrebbe mostrato le sue conseguenze disastrose per il settore, attanagliava anche altre star della Marvel, come Erik Larsen, successore di McFarlane su Amazing, Marc Silvestri, che aveva lasciato il posto di disegnatore degli X-Men a Lee per essere dirottato su Wolverine, e Whilce Portacio, amico e collaboratore di Lee su X-Men, nonché disegnatore di X-Factor. Liefeld e McFarlane, dopo aver persuaso definitivamente la superstar Jim Lee, seppero intercettare le inquietudini degli altri artisti, convincendoli a seguirli. Il dado era tratto, e in un giorno di metà febbraio del 1992, con un comunicato, la Malibù Graphics annunciò la nascita di un’etichetta indipendente, un marchio autonomo che sarebbe stato creato e gestito dai sette fuoriusciti della Marvel, i sette membri fondatori: la Image Comics era nata.
La casa editrice si costituisce come un consorzio di sei studios facenti capo ognuno ad un socio fondatore:

-   Todd McFarlane Productions di Todd McFarlane
-   Extreme Studios di Rob Liefeld
-   Wildstorm Productions di Jim Lee, al cui interno trova spazio anche Whilce Portacio
-   Top Cow Productions di Marc Silvestri
-   Highbrow Entertainment di Erik Larsen
-   ShadowLine di Jim Valentino.

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La scommessa iniziale è quella di creare un universo supereroistico in grado di rivaleggiare con quelli di Marvel e DC, permettendo nello stesso tempo agli artisti di mantenere i diritti d’autore sui personaggi, il controllo creativo delle serie, oltre a percepire un maggior guadagno grazie al pieno sfruttamento delle royalties. E nella maggior parte dei casi, la scommessa viene vinta.
La prima testata a debuttare sotto la grande “I”, il logo della Image, è Youngblood di Rob Liefeld, gruppo di eroi che lavorano per il governo Usa, il cui numero 1 diventa l’albo indipendente più venduto della storia del fumetto americano fino al quel momento. Segue a ruota Spawn di Todd McFarlane, bizzarra ed efficace commistione tra fumetto si supereroi e horror, che batte il record di Liefeld. Si viaggia nell’ordine di milioni di copie, e il duopolio Marvel/DC comincia a vacillare. Altro grande successo è WildC.A.T.S. di Jim Lee, il cui numero 1 si piazza al secondo posto degli albi più venduti nel 1992, dietro solo al celebre numero contenente la Morte di Superman. Fatta eccezione per la creatura di McFarlane, frutto di un’ispirazione genuina, i supergruppi di Lee e Liefeld sono evidentemente modellati sugli X-Men e su gli altri gruppi mutanti della Marvel, il marchio più popolare e remunerativo della storia della casa editrice. La formula è ben nota: si mettono insieme un mentore, un carismatico leader sul campo, un solitario misterioso e affascinante, varie bellezze dal fisico perfetto e un forzuto inarrestabile. Se Liefeld condisce il tutto con improbabili e provocatorie distorsioni anatomiche, Lee può contare su uno stile che coniuga potenza steroidea ma anche grazia e delicatezza nel realizzare forme perfette che blandiscono la pupilla del lettore. Una formula collaudata a cui non si sottraggono Marc Silvestri, con la sua Cyberforce e, in una declinazione sci-fi e paramilitare, Whilce Portacio con i suoi Wetworks. Buon successo raccolgono anche Savage Dragon di Erik Larsen, unica serie tra quelle iniziali tutt’ora in corsa insieme a Spawn, e Shadowhawk di Jim Valentino, bizzarro caso di vigilante urbano afflitto dal morbo dell’AIDS.

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Il messaggio della Image degli inizi è chiaro fin dalla scelta del nome: potere agli artisti e all’immagine, che deve essere preponderante sui testi. È il trionfo dell’estetica, per quanto ipertrofica: salvo poche eccezioni, i primi albi Image sono un tripudio di vigilanti muscolosi, ipertiroidei e dediti all’azione, perennemente arrabbiati, con denti digrignati e occhi a fessura, pronti ad aggredire qualche nemico. Se latitano sceneggiature degne di questo nome, maniacale è invece la cura della confezione: fa il suo ingresso la carta patinata e si investe nella colorazione al computer, grazie a pionieri come Steve Oliff e Brian Haberlin. I fumetti Image sono bellissimi da guardare, ma imbarazzanti nel momento in cui se ne affronta la lettura. È l’esito finale, in terra americana, di quel revisionismo del supereroe il cui processo è ormai giunto a compimento senza aver più nulla da dire, se non specchiarsi superficialmente in pose tanto aggressive quanto ridicole, per quanto ben accette da milioni di adolescenti che vi vedono riflesse le proprie inquietudini ed insicurezze.

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Consci di questi limiti e delle loro modeste capacità alla macchina da scrivere, McFarlane e soci correranno ben presto al riparo chiamando al proprio capezzale i migliori scrittori su piazza: ecco arrivare Alan Moore, Frank Miller, Neil Gaiman, Dave Sim e Grant Morrison sulle pagine di Spawn, ancora Moore su Supreme di Liefeld, dove trasformerà un misero emulo di Superman in un omaggio commosso alla Silver Age dei comics, e su WildC.A.T.S., dove realizza il ciclo definitivo della squadra di Lee in coppia col mirabile Travis Charest. Intanto sulle pagine di Stormwatch, serie di secondo piano della Wildstorm di Jim Lee, arriva l’innovatore inglese Warren Ellis, che la trasforma in una saga di supereroi governativi e cospirazioni che lascerà una traccia tale da influenzare anche le serie mainstream di Marvel e DC, tanto da poter essere annoverata tra i cicli di storie più influenti del decennio.
La Image chiude la prima metà degli anni ’90 consolidandosi in una quota di mercato di tutto rispetto, e diventando a tutti gli effetti il terzo polo del settore. Dì lì a poco, però, la crisi del settore, problemi interni e l'abbandono di alcuni fondatori creeranno una notevole crepa nelle fondamenta Image Comics, che la porteranno a una fase di declino. Ma la rinascita è vicina.  Di questo, però, ve ne parleremo la prossima settimana in un nuovo articolo.

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Le streghe anomale di Snyder e Jock, la recensione di Wytches

A leggere Wytches, si ha l'impressione corroborante che l'horror sia, per le arti visive e narrative, il genere atavico e immortale capace di veicolare sempre, se sostenuto da buone idee e sconfinato affetto per i suoi codici, riflessioni e inquietudini attuali. Che il segreto stia nell'implicito accordo fra chi racconta e chi fruisce, di immedesimazione totale e incondizionata, nel rinnovare l'immaginario infantile o nell'amplificare paure attraverso metafore della spaventosa quotidianità, quest'ultima opera di Scott Snyder e Jock è un bignamino d'amore, nostalgico eppure modernissimo, verso tutto un genere di storie che parte da Stephen King e arriva fino La Casa di Sam Raimi. Snyder nelle note dice di essersi grandemente ispirato alle estati trascorse nei boschi della Pennsylvania per costruire l'ambientazione e le atmosfere di questa storia. Le streghe “anomale” del titolo e il corollario di elementi classici che le circonda – i sacrifici, il patto, il calderone, i boschi, ecc...- sono quindi  rivisitate con freschezza e mestiere,  offrendo molto – The Walking Dead docet – proprio in quanto mettono in comunicazione le paure “fantastiche” dell'infanzia con quelle attuali  delle sfide evolutive e familiari.

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La trama è questa: c'è una ragazzina insicura che soffre e un padre che la deve proteggere a tutti i costi. Semplice, essenziale, ma qui Snyder ti inchioda e ti coinvolge. C'è sensibilità nel tratteggiare i personaggi in modo credibile, approfondito e originale e una grande cura nel farli muovere in uno scenario sottilmente inquietante, dove i particolari più orrorifici, dosati, preparati e poi presentati con misura e senso del ritmo, si fondono con un'atmosfera che si fa via via più opprimente: persone normali, le cui normali paure sono croce e risorsa alla stesso tempo, ma che si muovono in un mondo irrazionale e spietato più grande di loro. Il mondo adolescenziale di insicurezze, sogni e immaginazione, ma in qualche modo puro, che si contrappone al mondo adulto corrotto dall'opportunismo e dall'avidità non è un'idea certo nuova, ma viene sposata da Snyder in modo così candido, autentico e convinto che il lettore dopo poche pagine è naturalmente costretto ad un approccio partecipe verso Sailor Rooks e la sua famiglia e a immedesimarsi con i loro dubbi, senso di impotenza e sofferenza.

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I confini labili, l'ambiguità dei personaggi, la fatica a tenere insieme i pezzi della loro vita, si traspongono in tavole-quadro dalla forma estremamente libera in cui trovano posto semplici vignette rettangolari, spesso dall'angolazione inusuale, e distribuite a mo' di patchwork, in cui corpi e volti dei personaggi faticano quasi a entrare e che fanno progredire la storia attraverso dialoghi che, anche quando prolissi (vedi gli ultimi capitoli), risultano sempre comunque funzionali alla narrazione: mai di troppo, mai superflui.
La potenza e complessità delle immagini è infatti elemento di fascino ulteriore e decisivo: le matite sottili e nervose di Jock, il cui tratto “sporco” che fa ampio uso di neri fa da contraltare visivo, in termini di essenzialità e “oscurità”, alla sceneggiatura di Snyder, è arricchito dall'ottimo lavoro di colorazione di Matt Hollingsworth che alle tecniche classiche sovrappone quella “a spruzzo” con acquerelli e acrilici, restituendo un effetto globale di cupa e onirica surrealtà, molto adatto alla storia poiché permette di mostrare e celare al contempo, confondendo lettore e personaggi su ciò che è vero, ciò che potrebbe e ciò che non lo è.

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Lettura piacevolissima, avvincente e scorrevole questo Wytches, ci si ritrova alla fine della storia in un attimo e poi a ri-scorrere le tavole per il puro piacere di riempirsi gli occhi. In attesa del seguito che, visto il risultato di questa mini-serie, sarebbe quanto mai gradito.

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