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Come quando eravamo piccoli, intervista a Jacopo Paliaga e French Carlomagno

Per la sempre interessante collana Le città viste dall'alto della Bao Publishing, è disponibile da qualche settimana il volume Come quando eravamo Piccoli, primo graphic novel di Jacopo Paliaga e French Carlomagno, già autori del webcomic Aqualung. Il racconto narra di Pietro, un brillante autore televisivo tornato da Hollywood in Italia dalla sorella dopo un amore finito male. L'incontro con una ragazza conosciuta per caso rimetterà le cose nella giusta prospettiva.
Abbiamo letto il fumetto e colto l'occasione per intervistare i due giovani autori. Nella gallery in basso, invece, potete ammirare alcune tavole del volume.

Intervista a cura di Gennaro Costanzo e Giorgio Parma.

Salve, benvenuti su Comicus.
Da dove nasce questo progetto e come si è arrivati alla pubblicazione per BAO Publishing? Come si colloca all'interno della collana Le città viste dall'alto?

French: Il progetto è nato da una proposta che abbiamo fatto a BAO Publishing nel giugno dello scorso anno, quando dopo essere usciti online con i primi episodi di Aqualung, Leonardo Favia ci scrisse per farci i complimenti per come il nostro webcomic.
Noi avevamo in canna una storia per la collana delle Città viste dall’alto, avevamo voglia di cimentarci con una commedia, così l’abbiamo proposta alla BAO Boutique e, tra soggetti, studi dei personaggi, tavole di prova e altro, l’idea è piaciuta e abbiamo cominciato a lavorarci da subito.
 
Nel graphic novel troviamo moltissimi riferimenti alla cultura pop televisiva e dello show-business in generale e in sé la narrazione è dominata da una forte componente metanarrativa, che ci propone una sorta di biografia rimaneggiata e auto-sceneggiata per farne uno show. Come ti sei trovato a far confluire queste passioni e questi aspetti in una storia a fumetti che emula a sua volta un altro media contemporaneo?
Jacopo: Lo show del protagonista è, appunto, il suo pretesto per raccontarsi, la vita nella vita. Nel caso di Pietro, la sua serie non è fortemente autobiografica, o forse lo era all’inizio, prima di essere sbrindellata dal network.
Per quanto mi riguarda, non ho trovato particolari problemi nel raccontare un media nel media. L’ho preso a parodia, quasi, mescolando set e backstage che ho visitato negli anni a interpretazioni già televisive come possono essere Boris o 30 Rock.

Quanto le commedie americane hanno influenzato questo racconto e in particolare quali hanno giocato un ruolo maggiore?
Jacopo: Parecchio, ma perché ne ho sempre viste molte.
Credo tutta la filmografia di John Hughes, Notting Hill di Richard Curtis, Colazione da Tiffany, Harry ti presento Sally, The Holiday, Silver Linings Playbook, e qualche film di Woody Allen, tipo Io e Annie, Harry a pezzi o Manhattan.

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Magari è un'impressione, ma sembra di percepire una forte componente auto-biografica, magari anche solo come spunto di partenza. È giusto?
Jacopo: In realtà, no. O solo in parte. Grazie al cielo non ho ancora sperimentato la crisi dello scrittore (anche perché questo è il mio primo libro, non sarebbe il massimo della vita) ma c’è del mio in ogni personaggio, tanto in Alice quanto in Pietro, quanto in Rebecca o Lucas. Ognuno rispecchia una piccola parte di me. Caratterialmente, mi sento molto più vicino ad Alice rispetto a Pietro.

Una domanda è d'obbligo, visto che dal protagonista alle varie citazioni, il racconto mostra una forte passione per le serie tv. Quali sono, dunque, le vostre preferite e quelle che vi stanno appassionando maggiormente?
Jacopo: Sto recuperando Orphan Black. E lo dico così, perché non so per quale motivo ma l’avevo snobbata. Grave errore. E sto andando in scimmia per Rick e Morty, che pur essendo di Dan Harmon non avevo ancora visto finché non l’hanno piazzata su Netflix, qualche settimana fa.
La serie a cui sono più affezionato è sicuramente Buffy, che seguivo da ragazzino, assieme a Gilmore Girls e How I Met Your Mother. Sono passato attraverso tutti i teen drama, Dawson’s Creek, One Tree Hill, The OC, e man mano mi sono affacciato a tutte le nuove serie lanciate negli anni del boom televisivo, il periodo d’oro di Lost e Grey’s Anatomy.
Riguardo le serie ancora in onda, sono un grande fan di Frank Underwood, dei Dunphy di Modern Family, aspetto sempre con ansia Fargo e Halt and Catch Fire, mi sono innamorato di Love, la serie di Judd Apatow, che se fosse uscita prima che avessi pensato Come quando eravamo Piccoli ne avrei preso spunto seriamente. La scorsa estate mi sono veramente scassato con Wet Hot American Summer, recuperatela a ogni costo!

French: Oramai divoro episodi di How I Met Your Mother assolutamente a caso quando mi annoio e non so cosa vedere. Le serie che hanno un posto importante nel mio cuore sono molte, seguo da sempre J.J. Abrams, da Felicity ad Alias, fino a Lost. Anche io sono cresciuto con i vari teen drama, ero un fan accanito di Seth Cohen! Poi le classiche, Breaking Bad, The Walking Dead e altre serie più o meno impegnative. Ma spesso, mi rendo conto di affezionarmi a serie tv che poi, dopo la prima stagione, non hanno più il minimo senso di essere seguite e che continuo a seguire per inerzia, ma non voglio fare nomi per non offendere nessuno. :)

Riguardo il comparto grafico: alcune sequenze del fumetto sono quasi dei veri e propri storyboard presentati al pubblico, con "fermi immagine", sequenze ripetute, focalizzazione su alcuni dettagli e creazione di un layout visivo che richiama fortemente la lavorazione ad un corto cinematografico, dando vita ad un effetto alquanto interessante. Come sono nate queste tavole e quale è stato il lavoro più difficile della loro realizzazione?
Jacopo: Sono nate già in fase di sceneggiatura.
Con French abbiamo pensato di utilizzare una gabbia a sedici per tutto il libro, che ci sembrava un buon respiro per raccontare una commedia.
È una questione di ritmo, soprattutto, quindi - conoscendo benissimo French e come avrebbe reso su carta - ho cercato di alzargli bene la palla e spingerlo a giocare molto su espressioni e cambi sequenze con più o meno respiro.

French: La regia di Jacopo la trovo sempre azzeccata e non per fargli una sviolinata, ma funziona sempre molto bene. Detto ciò, abbiamo una visione abbastanza simile, ci conosciamo bene e questo sicuramente influisce su quelle che sono le scelte dei vari tagli di regia. Io mi sento libero di interpretare le sue parole e, al tempo stesso, mi affido completamente a quello che scrive lui.
Per questo motivo non saprei dire quale sia stata la parte più difficile nella realizzazione. Capita ogni tanto di trovare qualche difficoltà a rappresentare qualche inquadratura o che non ci sia la stessa visione in una vignetta, ma ci confrontiamo costantemente su tutto e questo fa sì che sia sempre tutto molto semplice.

Parlando del character design: come sono nati Pietro, Rebecca, Sofia, Alice e gli altri protagonisti? Se e nel caso in quali personaggi della cultura popolare cinematografica e seriale affondano le loro radici?
French: Bella domanda. In realtà, oltre ovviamente a seguire le linee guida fondamentali per i personaggi, dopo averli capiti e averne parlato con Jacopo, ho pensato di lasciarmi andare e disegnare i personaggi che mi sono sempre immaginato, disegnarli sapendo che mi sarebbero venuti sempre come li volevo. Mi spiego meglio: spesso, davanti a un foglio bianco ci si trova a disegnare senza pensare troppo e a me nella maggior parte dei casi capita di disegnare volti. Ecco, volevo semplicemente che i volti che ho sempre avuto in testa e che disegno senza pensare troppo, fossero quelli dei protagonisti. Mi sembrava un’idea sensata per facilitarmi il lavoro. Poi può essere che ci siano inconsciamente dei riferimenti, ma vi assicuro che non sono voluti.

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Ultima, classica, domanda: quali sono i vostri progetti futuri?
Jacopo: Stiamo lavorando alla seconda stagione di Aqualung, che esce a settembre, e sempre per settembre abbiamo in canna una bella sorpresa di cui non possiamo ancora dire niente, però.

French: Siamo al lavoro anche su altro, sempre assieme, ma finché non lo si viene a sapere da altri, noi non possiamo dire niente.

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Bao: Come quando eravamo piccoli, anteprima

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Riceviamo e pubblichiamo:

Come quando eravamo piccoli

Il graphic novel d'esordio dei talentuosi Paliaga e Carlomagno nella collana BAO Publishing "Le città viste dall'alto", una commedia romantica che racconta la storia di Pietro, brillante autore televisivo, che da Hollywood torna in Italia per dimenticare un amore finito e troverà invece la risposta alla propria stessa inconcludenza.

Scrivere le vite degli altri è infinitamente più facile che vivere serenamente la propria, e a volte il blocco dello scrittore è la cosa migliore che può succedere a un uomo che ha bisogno di ricominciare a vivere.   

BAO Publishing è lieta di annunciare Come quando eravamo piccoli, il primo graphic novel di Jacopo Paliaga e French Carlomagno. Una storia tenera, intelligente, scritta in punta di penna e illustrata con una regia sapiente. 

Pietro è un italiano che ha fatto fortuna in America. Creatore di una serie TV di successo, era fidanzato con l'attrice protagonista, finché lei non l'ha lasciato per un collega del cast. Così Pietro, spiazzato e con la sensazione di aver perso non solo il controllo della serie che ha creato, ma anche della propria vita, torna in Italia, a casa della sorella, e mentre cerca se stesso conosce qualcuno.

Ma lasciarsi andare e accettare di essere cambiato gli risulterà tanto difficile da rischiare di incasinare irrimediabilmente questa nuova, imprevista e imprevedibile sceneggiatura.

Un piccolo gioiello narrativo dai talenti di Jacopo Paliaga e French Carlomagno, i creatori del webcomic Aqualung (www.coldcove.com). 

Come quando eravamo piccoli  è disponibile in tutte le librerie a partire dal 19 maggio 2016



Jacopo Paliaga è nato a Trieste nel 1990. Studia sceneggiatura alla Scuola Internazionale di Comics di Padova, e poco dopo la fine delle lezioni crea la serie Aqualung insieme a French Carlomagno. Come quando eravamo piccoli è il suo primo romanzo grafico. Ha un piccolo cane di nome Spritz che diventa Spritz Aperol da venerdì a domenica.

French Carlomagno è nato a Torino nel 1986. Frequenta il corso di illustrazione allo IED e inizia a lavorare sia come illustratore sia come visualizer e storyboardista presso Armando Testa. Crea, insieme a Jacopo Paliaga, il webcomic Aqualung. Come quando eravamo piccoli è il suo primo romanzo grafico. È abbastanza fiero della sua barba.

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Kobane Calling

Sono passate solo tre settimane dall’uscita dell’ultima fatica letteraria di Zerocalcare, e il suo Kobane Calling, edito da Bao Publishing, è già diventato un caso nazionale. Per la prima volta, infatti, un fumetto si è piazzato in cima alla lista dei libri più venduti in Italia, un successo più che meritato per un’opera che va letta e riletta per coglierne le numerose sfumature.
Preceduto dai reportage che l’autore aveva realizzato per la rivista Internazionale: Kobane Calling, appunto, e Ferro e piume, il libro assume un ruolo importante per tutto il panorama fumettistico italiano; basti pensare che il testo viene pubblicato in una tiratura di 100mila copie. Numeri importanti per un’opera che scommette sulla possibilità di unire impegno sociale e leggerezza, che vuole divertire ma soprattutto far riflettere. Una scommessa che, precisiamo subito, vince a mani basse.

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In circa 270 pagine Michele Reich racconta il suo viaggio da Roma Nord al Kurdistan, attraverso la Siria, l’Iraq, la Turchia, per raggiungere il Rovaja: un’area nel Nord della Siria non riconosciuta dalla comunità internazionale e retta da un confederalismo democratico regolato da un contratto sociale che prevede convivenza etnica e religiosa, partecipazione, emancipazione femminile, redistribuzione delle ricchezze. Una costituzione all’avanguardia che deve fare i conti con la terribile avanzata dell’Isis e che, nonostante tutto, riesce a resistere grazie alle unità di protezione del popolo curdo maschili e femminili.

Un viaggio che l’autore intraprende spinto da un’unica domanda ovvero se si trasferirebbe mai nella Rojava. Per trovare questa risposta egli ripercorre il suo tragitto, accompagnato non più dal fedele Armadillo, ma dalla figura quasi mitologica del Mammut di Rebibbia, quasi a voler sottolineare la differenza di tematiche rispetto alle opere precedenti. È lo stesso Mammut a porgli questa delicata domanda, quasi indispettito dal fatto che l’autore possa allontanarsi dalle proprie radici, da quel senso di appartenenza che ha sempre decantato nelle opere precedenti. La risposta arriva, ma non è così scontata come si possa pensare, è ragionata, ponderata, sorprendente.
Attenzione, però, ciò non significa che ci troviamo di fronte un racconto pesante e didascalico, anzi, il fumettista romano non abbandona la sua consueta ironia, e il suo punto vista strettamente personale, infarcito di elementi nerd e citazioni continue. La tematica più impegnata non altera il linguaggio, sia scritto che disegnato, riuscendo a miscelare perfettamente il racconto della realtà che incontra lungo il suo viaggio alle proprie emozioni, che sono principalmente fobie, angosce e senso di colpa, ma anche stupore, felicità, gioia, il tutto senza mai calcare di ritmo. Il lettore, così come l’autore, durante la lettura/viaggio acquisisce una consapevolezza che non scaturisce solamente dall’esperienza diretta ma anche da un racconto vero, crudo, e quindi estremamente realistico. Senza alcun tipo di retorica Zerocalcare ci mostra la vita quotidiana di chi a Kobane vive e combatte, di chi sogna e chi ama, di chi cerca di ripartire da un’ideale, in uno scenario tanto terribile quanto desolante.

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Il quadro che ne esce, infatti, è totalmente diverso da quello che vogliono raccontarci i mass media. Lo stesso autore, infatti, tende più volte a precisare che questi non sono solo luoghi dove la cultura sembra essere scomparsa, e dove l’intolleranza regna sovrana. Riconosce che le sue aspettative, o meglio dire ansie pre-partenza, crollano di fronte ad un’umanità inaspettata, a una voglia di democrazia e di cultura che noi occidentali fatichiamo a comprendere. Le popolazioni di cui ci fa testimonianza non cercano solo di resistere all’Isis, ma anche di costruire un nuovo tipo di società. Egli vuole raccontare questi tentativi attraverso gli occhi di una delle parti in campo.

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Dalle pagine di Kobane Calling emergono tutta la sensibilità, e l’umanità di un’artista che vuole semplicemente trasmetterci ciò che ha visto, e vissuto, senza alcun tipo di filtro: dalle paure più banali (come vivere senza cellulare per pochi giorni, o fare colazione con le lenticchie), all’orgoglio di essere al fianco di chi lotta ancora per un’ideale. Il fascino e l'ammirazione che Zerocalcare ha per queste persone, per questi luoghi, emerge chiaramente, senza bisogno di parole e, con lui, anche noi ne rimaniamo incantati, pur percependo quel senso di impotenza che ci lascia inermi di fronte ad una situazione così controversa.
Percepiamo chiaramente la passione e l’intensità di un racconto che sembra quasi alternare momenti intimi e personali, a momenti di puro reportage; ha il merito, e soprattutto la bravura, di immergere il lettore in una realtà tanto distante geograficamente ma quanto spesso, purtroppo, anche umanamente. Il messaggio che Zerocalcare ci vuole mandare arriva chiaro, diretto, senza sensazionalismi, sintomo di una maturità espressiva raggiunta pienamente.

Un libro che scorre via in maniera veloce, come una chiacchierata con un amico. Sorrisi, rabbia, lacrime, emozioni che rimarranno dentro, e continueranno a far battere un cuore: il cuore di Kobane.

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