Menu

Le Storie 13 – Il moschettiere di ferro

Nel variegato mondo della collana Le Storie mancava ancora un racconto in stile cappa e spada; questo vuoto è stato colmato dall’albo di ottobre, Il moschettiere di ferro, scritto da Giovanni Gualdoni e disegnato da Giorgio Pontrelli.

La storia prende spunto dalle vicende raccontate da Alexandre Dumas ne I Tre Moschettieri e Vent’anni dopo, ponendosi temporalmente proprio tra i due racconti dello scrittore francese.
Luigi II di Borbone, cugino del re di Francia Luigi XIII, viene convocato da alcune persone vicino al re per cercare di porre fine alla crescente egemonia del cardinale Richelieu che, attraverso la sua influenza sul sovrano, ha acquisito sempre più potere nel regno. Tra le conseguenze principali di questo dominio c’è l’eliminazione dell’ordine dei moschettieri, sostituiti formalmente nel loro compito di protezione del re dalle guardie personali di Richelieu stesso.
Proprio mentre il protagonista si approccia a questo sconcertante scenario, entra in scena un misterioso moschettiere dalla corazza di ferro, che si scoprirà presto essere un automa costruito da un “giocattolaio progettista di automi” su commissione del cardinale; tuttavia, qualcosa sfugge dalle mani del progettista, in quanto questo primo esemplare costruito sembra avere una coscienza personale che contrasta con gli ordini che gli vengono impartiti. Infatti, proprio per questo motivo, risparmia la vita al cugino del re e inizia a schierarsi dalla parte dei ribelli.
L’albo si sviluppa raccontando il tentativo di Luigi di Borbone di fare chiarezza sulle trame orchestrate da Richelieu affrontando anche l’avversità di D’Artagnan, il cui ruolo viene ribaltato rispetto a quello dei romanzi di Dumas vista la sua vicinanza al cardinale.

Il moschettiere di ferro non manca di diverse trovate interessanti, riuscendo a reinterpretare in maniera accattivante vicende e contesti storici su cui si sprecano i precedenti.
Tra tutti spicca la figura di D’Artagnan che, come detto, in questo albo appartiene alla schiera dei “cattivi”; il suo personaggio, al di là dell’interessante ribaltamento di prospettive, offre degli spunti notevoli soprattutto quando viene accentuato il paragone con i tre moschettieri, suoi compagni nel precedente romanzo. L’abolizione dell’ordine ha costretto i quattro a trovare un nuovo scopo nella vita, ma il protagonista del racconto di Dumas è schiavo del suo ruolo e pur di preservarlo è disposto a tradire quegli ideali per i quali ha già combattuto in passato.
Ovviamente anche lo steampunk rappresentato dal moschettiere di ferro offre diversi spunti di riflessione sia parlando del personaggio stesso sia, come si vedrà in seguito, considerando l’ambientazione complessiva: come sottolineato anche nella storia, il moschettiere non ha un nome perché è la sua natura stessa, quella di essere coperto da corazza, che non rende possibile per definizione una sua umanizzazione. Tuttavia, in contrasto a ciò, l’elemento che più spicca della sua figura è proprio il suo lato umanizzato e il rapporto con il padre, che richiama il "Pinocchio" di Collodi nelle tematiche di relazione fra il creatore e la sua creazione, nonché nell’ambizione della creatura nata artificialmente di guadagnarsi una sua dignità al pari di qualsiasi altro essere umano. Sotto questo punto di vista è un peccato che a livello illustrativo il suo personaggio risulta essere quello delineato peggio, a fronte invece di una caratterizzazione molto incisiva su tanti personaggi secondari di importanza e spessore minore.
Di fronte a figure così forti, alle quali si aggiunge anche un eccellente cardinale Richelieu, è la caratterizzazione del protagonista che esce ridimensionata in quanto troppo stereotipata; al di là del suo ruolo nella trama, il suo valore aggiunto al racconto è praticamente nullo e durante lo svolgersi della vicenda non viene offerto nessuno spunto che possa caratterizzarlo rispetto a un tipico eroe di qualsivoglia racconto. Luigi di Borbone è il personaggio dell’eroe che affronta il nemico combattendo, sacrificandosi per i più deboli e tutte le altre caratteristiche tipo del caso. Così facendo però, non riesce appunto ad avere alcun tratto distintivo che possa apportare qualcosa alla storia.

L’ambientazione dell’albo, come detto, parte inequivocabilmente dal cappa e spada, ma è altrettanto chiaro che vi siano molte contaminazioni provenienti dai generi più diversi. Il già citato Pinocchio, per quanto riguarda la figura principale del moschettiere, un tocco di esoterismo legato alle figure del cardinale Richelieu e del rabbino Wegener e un forte richiamo in generale a un genere di romanzo più legato a contesti di avventura ottocenteschi; si pensi per esempio a temi quali la discesa nel sottosuolo o alle macchine come mezzo per la conquista del mondo, con riferimenti abbastanza forti al mondo di Jules Verne, a La Lega degli straordinari Gentleman o, per rimanere in ambito Bonelli, al Greystorm di Serra.
Questo tipo di ambientazione è anche favorito dai disegni di Pontrelli che, soprattutto verso le tavole finali che più si avvicinano al contesto appena descritto, riesce ad esprimere al meglio la giusta atmosfera gestendo bene  il passaggio di genere, anche se appare chiaro il divario rispetto alle tavole iniziali che risultano essere meno suggestive
Questo mix di per sé potrebbe anche funzionare ma è evidente che, se un lettore cerca una storia in stile Dumas, ne rimarrà indubbiamente deluso.

Le trovate narrative interessanti e una buona caratterizzazione dei personaggi si scontrano purtroppo con uno svolgimento degli eventi che non si mantiene sempre sullo stesso livello. Si parte con l’arrivo del duca Borbone a Parigi molto lento; in seguito, la comparsa dell’automa e il racconto della sua genesi riescono a vivacizzare notevolmente la storia che, tuttavia, viene nuovamente rallentata da una parte centrale che risulta nettamente di transizione verso il finale, pur essendo essa funzionale allo svolgimento della vicenda. La parte conclusiva appare un tantino frettolosa nel suo ruolo di momento di regolamento di conti anche se non manca di conferire il giusto pathos questi frangenti.
In generale, la trama appare piena di spunti che potenzialmente potrebbero essere davvero impattanti, ma nessuno di questo viene portato avanti in maniera convincente. L’autore, in questo modo, si trova a dover gestire troppe sottotrame che inevitabilmente lo portano a trascurare la chiusura di ognuna di queste dando troppa poca importanza e risalto a quelle principali, che meriterebbero viceversa maggiore attenzione.
Da segnalare, come già espresso, la buona prova ai disegni di Pontrelli caratterizzata da eccellenti primi piani (soprattutto per i personaggi femminili) e spunti suggestivi nelle vignette più ampie, in particolare nella parte finale del racconto.

In conclusione, Il moschettiere di ferro è una storia che riesce a combinare bene delle idee di fondo anche complesse e innovative con uno svolgimento invece piuttosto semplice (non che questo sia un difetto). Ovviamente chi ha letto Dumas è avvantaggiato nel capire i richiami che Gualdoni inserisce nel racconto, ma proprio la semplicità della storia riesce comunque a rendere abbastanza immediata la fruizione per tutti.
Tuttavia tutte gli elementi che vengono inseriti in questo racconto alla fine appaiono anche un po’ fini a se stessi, dando un risultato finale abbastanza inconcludente. La storia ha il pregio di essere leggera e lasciarsi leggere piacevolmente, ma alla fine alcune scelte narrative, tra cui soprattutto una parte centrale di transizione troppo lunga e insignificante, finiscono per penalizzarne la valutazione complessiva.

Dati del volume

  • Editore: Sergio Bonelli Editore
  • Autori: Testi di Giovanni Gualdoni Disegni di Giorgio Pontrelli
  • Formato: brossurato, 116 pp., in b/n
  • Prezzo: 3,50 €
  • Voto della redazione: 5
Torna in alto